Per Augusto Benemeglio

Così, di buon’ora, siamo partiti per Gallipoli, verso il suo porto, decidendo di entrare nel borgo antico dalla scalinata che dal mercato del pesce porta nella piazzetta antistante il Castello. Per un attimo ci siamo fermati sotto le mura dell’Angioino, recentemente restaurato, e poi su per via Antonietta de Pace, e ancora più su fino alla Cattedrale. Augusto ha voluto rivederla dall’interno. Cosa che abbiamo fatto rimanendo affascinati da tanta bellezza iconografica. Subito dopo ci siamo immessi nelle sempre più contorte vie e viuzze che da scirocco portano a tramontana. Ammiriamo le chiese, i chiostri, le edicole, i palazzi storici, qualche bottega. Silenziosamente, e sempre più commossi, sostiamo davanti al palazzo che vide nascere Antonietta la repubblicana mazziniana e, ancora toccati, sostiamo davanti a quel piccolo grande monumento storico che è l’antica biblioteca civica e il museo naturalistico, gioiello forgiato dall’intelligenza di quel filantropo che nell’Ottocento era stato il leggendario umanista Emanuele Barba. Benemeglio, con la sua curiosità istintiva, scruta gli angoli, guarda i vicoli chiusi, le svolte e le giravolte. Poi tira un sospiro e alita quel che la sua mente vede: «Sai, ora Gallipoli mi sembra ben messa. È pulita e si sente l’alito dei buoni odori casarecci del cucinato delle donne. Non mancano i profumi dei sensi che si amalgamano col vento salino del mare». Sto ancora annuendo, quando Augusto, tra il triste e il malinconico, dice: «Sai, giusto appena un anno fa come oggi, mi è morto l’unico mio fratello. Sto scrivendo un testo, che sento più come una sorta di rimedio a un rimorso che ho nei suoi confronti. Sai, la vita è sempre più stramba. Da vivi, nonostante entrambi abitassimo in un raggio d’azione non molto distante uno dall’altro, ci siamo visti poco. Questo non me lo so spiegare, ed ora sto cercando almeno con questo scritto su di lui di rimediare a quello che non siamo riusciti a fare accadere in vita. Non appena avrò finito di scriverlo, te lo farò leggere. Che ne dici?».

Annuisco, intanto che il mio pensiero va ad un altro suo poema, quello dedicato alla morte del padre. Ricordo che era la domenica di Pasqua 2002 (Augusto aveva scritto il poema in Sudafrica, a Port Elizabeth, nell’ottobre 1999, lo stesso mese e anno della morte del padre) quando gli inviai il mio commento (Ultimo tramonto in Sudafrica), nel quale scrivevo che egli, nella scrittura: «è sempre vulcanico, oceanico, che sa riempire la scena, eppure, allo stesso tempo, i suoi occhi volgono teneramente al malinconico, volgono verso la luce crepuscolare del sole che scende oltre la linea del fanale di Sant’Andrea». Per tutto questo, Augusto è per me – mi pare ovvio dire un grande amico, perché è tanto di più – ma lo sento soprattutto come «uomo di terra e poeta del mare»  e, in quanto tale, quella volta del suo poema I funerali di mio padre, lo vidi «calarsi nel doloroso percorso della morte del genitore, perché forse non aveva ancora ben compreso la profondità di certi sentimenti». Un padre, quello di Benemeglio, «che sicuramente egli non aveva amato immediatamente, per via delle tante ovvie ragioni della vita, quella sua vita magari particolarissima»  di giramondo per i mari e per tanti porti vissuti. Scrivevo di quei suoi «versi eterei come di nuvole primaverili, luminosi come raggi di un sole meridiano, tragicamente sofferenti per un dramma che si consuma lontano dalla propria coscienza, impossibilitata a sorreggere il transito di morte di un padre che dice addio alla propria vita in un luogo diverso dal tuo, su altre latitudini, altre longitudini, sotto altri cieli, con altre stelle. […] Versi straordinari, belli, efficaci, rivolti al padre morto, che mai, forse, l’autore sarebbe riuscito a pronunciare frontalmente. […] Versi tristi, sotterranei, di grembo maternale, versi bodelairiani, ma anche marcheziani, versi che la memoria non ingannerà mai».Ecco, questo scrivevo a proposito del suo poema I funerali di mio padre.

Da allora ad oggi sono passati dodici anni, ed ecco nuovamente che me lo vedo ritornare a me con un nuovo poema, ancora una volta un atto di dolore per la morte del suo unico fratello. Questa volta Augusto scrive un poema che si spezza ora in prosa ora in versi sciolti, dal titolo L’acqua rotta. (Addio fratello mio). L’incipit non poteva non iniziare se non con il ricordo dei lutti, spesso tragici, che gli sono caduti sulla testa nel giro di pochi giorni. Tanti lutti, tanta disperazione, tanta solitudine. Nel giro di un tempo incredibilmente breve, perde il nipote (Alessandro) e subito dopo il padre dello stesso nipote, cioè suo fratello Alberto. Un dolore che si aggiunge ad un altro dolore. Un dramma che si somma ad un altro dramma: l’acqua si spezza, si rompe, va in frantumi. È una metafora che ci indica l’incontenibilità di un dolore che sfonda qualsiasi possibile orizzonte. Un dolore che gli intoppa il pensiero «da tutte le parti, da tutte quelle sponde arginanti che formano lo schema misterioso del [suo] cervello, che più invecchia e più cresce in vibrazioni e ingorghi, in spessore materico, pietà e acredine, in progetti d’epica e polvere che sono la nostra vita». Scrive di sentirsi «tutta la polvere dentro la bocca, e tutti i gridi e i chiodi che ficcarono nelle mani e nei piedi di Gesù Cristo, la sua guancia bucata, la sua offesa dell’ora spenta, la scena della croce che si ripete ogni giorno e si fa preghiera. Mai avrei creduto che la morte di un fratello fosse così dolorosa, un secco grumo sputato, una tolda increspata, un’acqua tutta stagnante, una bestia zoppa, una pietà dentro la camera del fiato col sonno rovesciato sul cuscino con gocce tossiche, mai avrei pensato che dentro il suo petto senza più respiro si stendesse un cielo così fitto chiuso e cupo; e quella sua mano livida di aghi, il tempo duro del mondo che non si ferma, il tempo scaduto del ritorno dentro una nascita che non sappiamo, che non ricordiamo, che – forse – non vogliamo».

Volutamente ho citato queste parole di Augusto – direttamente il lettore le può leggere all’inizio del libro, come “premessa”,– perché insieme, lette nella loro complessità, mostrano il profondo squarcio del morso che attanaglia la gola del poeta, per cui – lo cito ancora – egli sente di dover fare un «qualcosa [che dia un senso] alla [sua] inutile esistenza, alla [sua] anima ingombra di tante chincaglierie, una sforbiciata di ricordi che non sono altro che zone d’ombra, acqua rotta, abbai, latrati di voci che tempestano il cranio, dov’è racchiusa tutta la materia grigia della discordia». Ecco, questi versi in forma di prosa danno lo spessore – grande – della poetica di Augusto.

[Prefazione a Augusto Benemeglio, Acqua rotta. Il colore del vuoto, Edizioni “I poeti del mare”, Gallipoli, 2013]

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3 risposte a Per Augusto Benemeglio

  1. Antonio Paglialonga scrive:

    Sig. BENEMEGLIO, sono Antonio Paglialonga militare sezione Demanio Capitaneria di Porto Gallipoli! Volevo solo salutarla e sentirla ! Ho sempre con me il Suo libro MARE CHIUSO con la prosa del racconto il PAGLIA!

    • augusto benemeglio scrive:

      Carissimo Paglia,
      ti ricordo benissimo, anche se è trascorsa una vita da allora. Quello è stato il mio primo libro (nel 1980, credo), ti ricordo come un ragazzo dolcissimo, originario del Salento (credo Alezio, ma potrei sbagliarmi), che però viveva al Nord, Milano o Varese, non ricordo bene. Sei stato oggetto del mio breve racconto perché in effetti avevi qualcosa di diverso, originale, gentile, rispetto agli altri marinai.
      Ora anche tu sarai un uomo maturo (non vecchio come me, ma insomma sicuramente con un bel po’ di vita alle spalle), ti auguro ogni bene, naturalmente insieme alla tua famiglia, e ti ringrazio del tuo ricordo. Un abbraccio. Augusto Benemeglio

  2. augusto benemeglio scrive:

    Ringrazio l’amico per “antonomasia”, Maurizio Nocera, dell’articolo, un lungo elogio immeritato, che è stata in realtà la prefazione del mio libro , “Acqua Rotta”, ma colgo l’occasione per ringraziare anche Gianluca Virgilio, sempre estremamente vigile e gentilissimo ad ogni minimo mio richiamo, per la stima e l’amicizia di cui mi ha sempre onorato.

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