L’importuno

Il passo alle sue spalle sembrava inseguirlo, risuonava come amplificato nel silenzio della sera inoltrata. Si fermò un momento e si volse a guardare indietro. Gli parve che non ci fosse nessuno per la strada. O forse quel grumo grigio e indistinto che gli pareva di scorgere era una presenza difficile da individuare: un bambino? Un ragazzetto di quelli che non sono contenti se non danno fastidio a qualche passante? Pensò che sarebbe sfuggito al disagio che gli veniva da quella situazione andando a passi larghi e veloci in una zona centrale della città. A mano a mano che procedeva verso il centro quel suono, che si era un poco assopito, risorgeva duro e netto nell’aria limpida della sera, mentre nel cielo alto stelle sgorgavano dall’azzurro con una loro feroce chiarità, con un luccicare di lame dal quale non ci si potesse difendere.

Chi sei?, chiese mentalmente a quel suono, a quell’ombra. Non ebbe risposta. Si fermava davanti alle vetrine per interrompere la persecuzione di quel rumore; ma, stando lui fermo, il suono non cessava, il rumore non sospendeva la sua cadenza di passo forse minaccioso forse solo casuale. Riprese il suo vagabondaggio tra le strade del centro. Aveva la strana sensazione di inoltrarsi in un deserto popolato d’ombre. Andava tra una folla procedente con fatica per lo spazio insufficiente nel quale si muoveva; voleva allungare il passo per fuggire verso un dove dal quale poteva venirgli un minimo di sicurezza: la salvezza, forse. La salvezza! La parola oscillò nella sua mente legata a vecchi lontani ricordi (omelie? letture sacre? esortazioni morali?). Sciocchezze, commentò tra sé e sé. Nel darsi questa risposta si accorse di essere guardato con stupore da un signore che aveva incrociato e osservato rapidamente per la strana foggia del suo cappello: una stravaganza, con una piuma colorata sull’orlo! Ebbe la sensazione d’aver parlato ad alta voce e cercò di allontanarsi subito da quel luogo per non sentirsi inseguito dallo sguardo tra stupito e curioso dell’uomo dal cappello con la piuma.

Si chiese dove potesse andare, perduta la meta precisa che prima lo aveva sospinto verso il centro della città. Continuò a camminare, con l’orecchio teso al rumore alle sue spalle. Chi lo seguiva? Chi lo inseguiva? Perché proprio di un inseguimento pareva trattarsi; il non poter dare un volto all’ignoto inseguitore accresceva il suo malcontento che andava maturando in irritazione e in rabbia. In una vaga, e respinta, sensazione di paura. Divento vecchio, pensò; bisogna adattarsi. A che cosa? non avrebbe saputo dirlo. O forse era necessario accettare i guai dell’età senza pensarci più di tanto.

Per qualche istante credette che il suono alle sue spalle fosse scomparso. No: risorgeva forse da un intervallo di silenzio breve come un sospiro, un battito di ciglia. Solo che ora al suono minaccioso del passo s’accompagnava una altro suono, non privo di dolcezza: lene, un poco soffocato, ma distinto, diverso. La sua attenzione si fece più acuta. Che cosa distingueva i due diversi suoni, come due voci che tentassero di dialogare ma non riuscivano a trovare un minimo d’armonia favorevole ad un dialogo? Le parole ch’egli immaginava d’ascoltare distinguendone il significato non erano ancora proprio di un dialogo che s’avviasse.

Chi sei? disse ad alta voce, voltandosi di scatto verso l’ombra intravista. L’atto e le parole richiamarono l’attenzione di alcuni passanti. Qualcuno, senza ch’egli lo vedesse, si portò la mano alla fronte per suggerire che si trattava di un povero matto.

Chi sei? La domanda s’andava dissolvendo nella sera, tra il luccichio di lama delle stelle che tentavano di gremire il blu notturno sopraffacendo l’inquinamento luminoso che ne rendeva quasi impossibile la visione. Chi sei, tu che m’insegui? Chi sei tu, che non vedo ma sento alle calcagna come un antico rimorso, come un dolore rimasto e risorgente anche dopo che una ferita da lungo tempo s’è rimarginata?

L’ombra non rispondeva. La folla, dalla quale egli si lasciava trascinare, pareva stranamente muta. Eppure tutti avevano aspetto e gesti ovvii, come si leggono nel volto degli altri se li si osserva nel movimento di una strada. Chi sei?, chiese ancora l’uomo. Ci fu un attimo di silenzio, un intervallo sospeso a un’attesa ansiosa, protesa verso una possibile risposta. Chi sei?, chiese per la terza volta.

Allora una voce, o un suono appena, lieve, indicibile, sembrò nell’ombra sussurrare una risposta. Egli era teso nello sforzo di cogliere una parola chiara, ma il suono gli parve rimaner confuso, inintelligibile. Non insistette, non rivolse ancora una volta la domanda con la quale chiedeva al nemico (ma era un nemico?) di scoprirsi. La muta domanda fu raccolta dall’ombra, e il suono di prima si fece risentire, appena un poco più chiaro. E fu possibile all’uomo afferrare qualche parola: Tu sai.

Sapeva? A che cosa alludeva quell’ombra? Che cosa egli sapeva? Certo, sapeva le notti insonni, sentiva il peso delle inadempienze della sua vita, i tradimenti, le omissioni, i vizi della mente, i vuoti del cuore, l’indifferenza di fronte alle sofferenze, gl’inganni costruiti col suono delle parole… Sapeva tutto questo, ma non era – forse- quello cui alludeva la voce misteriosa. La risentì, come una voce che torna alla memoria appannata dalla lontananza. Era una voce bambina, una tremula gemma nuova su un ramo vecchio, uno sgorgo d’acqua da una sorgiva. Ma l’acqua era intorbidata da un rimosso sottofondo fangoso che veniva a galla e contrastava la limpidità e la trasparenza.

La voce si fece risentire: due note d’usignolo notturno che intoni una melodia dolce e dolorosa, struggente. Tu mi cerchi, disse la voce, e non mi vedi. Sono qui, sui tuoi passi. T’inseguo affinché tu mi ricordi.

Egli ricordò il suo bambino morto, nella fredda culla di una stanza ultima e al quale la vita non aveva sorriso a lungo. Tu, riprese la voce, non mi cercheresti… Le altre parole si confusero indistinte.

Chi era, dunque, che gli leggeva nel cuore quell’ansia di ricerca dal giorno che quel bambino aveva lasciato cadere nella sua mano una manina inerte? Tu non  mi cercheresti se… Aveva aggiunto un “se” quella voce? Se non mi avessi già trovato. Egli ebbe un sussulto. Conosceva quelle parole: erano una citazione. Ma come poteva conoscerla un bambino? Si fermò davanti ad una vetrina: sentiva il suo cuore battere furiosamente nel petto. Non mi cercheresti se… Aveva completato la citazione, ma fu invaso da un tremendo senso d’impotenza. Già trovato? come? dove? Lungo quella strada sfavillante di vetrine e stranamente silenziosa? In un paese di morti, dove aveva osato inoltrarsi inconsapevole?

La voce intonò un motivo: un cenno appena, il fantasma di una familiare melodia. Allora capì ciò che fin allora aveva temuto e tentato di respingere. Chi era l’importuno che aveva osato entrare nella memoria del suo unico dolore e risvegliarne i ricordi ostinatamente soffocati lungo gli anni? È Natale, canterellò la vocina. Gli sembrò di riconoscerla, ma si rifiutava di credervi, di cedere a un’allucinazione. Per tutta la vita si era comportato da persona per nulla incline a subire possibili suggestioni. Razionale e pratico. E ora quella voce! Da mettere insieme, pensò, alle voci sulla fine del mondo. È Natale, insistette l’importuno alle sue spalle. La voce aveva una dolcezza che gli toccava il cuore, ma egli non voleva cedere. Non  mi riconosci? Sì, gli pareva di riconoscerlo. Di riconoscere la sua voce. Ma era un’illusione. Insistette, la voce, dietro di lui. Questa notte, come una notte lontana… È nato un bambino: io. Sono anch’io quel bambino e sono il tuo bambino. E domani sarà Natale anche per te.

Egli gettò un grido, chiamò, invocò il nome del suo bambino che non era più. La luce di lama delle stelle balenò nei suoi occhi e d’improvviso la città riebbe il suo rumore, il suo brusio che veniva da ogni lato, la sua folla spensierata, le sue vetrine scintillanti, il suo cielo che ingrigiva tra i fumi.

Si sente male, disse qualcuno. Chiamate un medico, un’ambulanza.

La voce, ora accanto a lui, lo confortava. Dolcemente gli ripeteva: Domani sarà Natale anche per te.

(2012)

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