Probabilmente sarebbe più corretto domandarsi se un’opera per costituirsi come un’opera d’arte non debba essere necessariamente inattuale, sconfinando gradualmente dai territori dei suoi significati originari, scardinando le coordinate storiche, geografiche, sociali che hanno costituito il fondo e lo sfondo della storia o della rappresentazione o del contenuto per assumere i caratteri dell’archetipo, della metafora, del modello di esperienza.
Come ogni grande scrittore, Cesare Pavese è inattuale. Per esempio: “Dialoghi con Leucò” non aveva nessuna condizione di attualità già nello stesso istante in cui è stato pubblicato; non aveva nessuna condizione di attualità quando è stato pensato, nei quattordici mesi in cui è stato scritto. Semplicemente per il fatto che il mito, l’eros, l’infanzia, il fato, l’audacia, la sconfitta, la salvezza, la tragedia, la vita, la morte, il senso del destino attraversano l’esistenza degli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. Non sono attuali. L’attualità di qualcosa è circoscritta in un tempo, in uno spazio, in una condizione. La dimensione sentimentale dell’esistere non si può circoscrivere.
A Britomarti che chiede : “Dunque accetti il destino?”, Saffo risponde così: “Non l’accetto. Lo sono. Nessuno l’accetta”.
E’ alla condizione di inattualità che l’opera d’arte deve la sua durata nei secoli. Deve la sua durata ai suoi nuclei di senso che si allargano, si spandono, si dilatano coinvolgendo continuamente le situazioni con le quali l’umano si esprime e si rappresenta.
E’ nell’inattualità che trova la sua costante, insuperabile attualità. Se ciascuno può trovare in una scrittura letteraria un senso ogni volta diverso, se diverse sono le visioni del mondo e della vita che riesce ad elaborare, se quella scrittura è in grado di realizzare situazioni di rispecchiamento, è proprio perché i suoi significati hanno la capacità di riformularsi, rigenerarsi, riconvertirsi in funzione della condizione esistenziale di colui che legge: in quel momento preciso, in quella precisa situazione, con tutto il carico di emozioni, di sensazioni, di ragioni che appartengono a quel momento e che probabilmente saranno diversi in un momento successivo.
Forse non c’è una volta, una sola volta, che al verso, un solo verso, di una poesia noi si attribuisca un senso identico a quello che abbiamo attribuito in una lettura che abbiamo fatto prima o che attribuiremo in una lettura che faremo dopo. Non c’è personaggio di romanzo che si presenti alla nostra interpretazione sempre allo stesso modo. Non c’è colore di pittura né sfumatura di una musica che provochi sempre la stessa suggestione. Quando si dice – probabilmente esagerando – dell’immortalità dell’opera d’arte, forse si vuole significare – con umiltà, con attendibilità – proprio la sua inattualità, la sua inappartenenza ad una temporalità definita. Si vuole dire la sua natura di metafora, di allegoria, il suo comporsi di realtà e di finzione, di immaginario soggettivo e collettivo, di memoria e di invenzione.
Nel regno dell’attualità che è ogni tempo presente, i luoghi dell’inattualità dell’opera d’arte consentono di osservare l’accadere degli eventi da una distanza che risulta necessaria per la comprensione dei significati radicali di quegli eventi.
Così in certe occasioni si scopre che qualcosa che sembra accadere per la prima volta in realtà è già accaduto anche più volte; che concetti che sembrano nuovi siano già stati espressi in qualche caso anche in tempi lontani; che quello che si propone come verità indiscutibile sia stata in realtà ampiamente discussa e in qualche caso anche smentita.
In certe occasioni si può anche arrivare a scoprire che l’irrimediabile inattualità dell’opera d’arte costituisca la sola attualità di cui sia possibile fidarsi.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 9 agosto 2020]