di Rosario Coluccia
Quando a Ignazio Baldelli, uno dei maggiori storici della lingua italiana del secondo Novecento, fu affidato il compito di aprire un convegno internazionale con una relazione intitolata «Dante e la lingua italiana», a lui venne in mente un’alternativa al titolo proposto. Trasformando la congiunzione (“e”) in copula (“è”) il titolo diventava «Dante è la lingua italiana», formula che descrive appieno la realtà plurisecolare della nostra storia. La diffusa espressione che indica in Dante il padre della lingua italiana corrisponde alla verità. L’aggettivo “italiano” che qualifica la nostra identità nazionale manca nella Commedia. Vi ricorre invece il sostantivo corrispondente, che individua la terra carissima a Dante, idolatrata e spesso osservata con dolore per le condizioni in cui è ridotta, molti secoli prima che prendesse corpo la realtà politica così denominata: «a Pola. presso del Carnaro, / ch’Italia chiude e i suoi termini bagna» (Inferno 9 113-114), «Suso in Italia bella giace un laco» (Inferno 20 61), «Ahi serva Italia di dolore ostello» (Purgatorio 6 76).
Molti ricordano una frase (spesso riportata dai libri di testo delle nostre scuole) scritta nell’agosto 1847 da Klemens von Metternich, diplomatico e politico austriaco, all’epoca cancelliere di stato: «La parola “Italia” è un’espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle». Utilizzata in chiave patriottica dai liberali italiani per risvegliare sentimenti antiaustriaci, la frase è importantissima perché allude ad un’unità linguistica nazionale che precede quella politica (non ancora raggiunta in quell’anno e anzi considerata irrealistica); ed evoca implicitamente una fervida tradizione letteraria che, inaugurata da Dante, si continua con l’accorato lamento sulla frammentazione politica dell’Italia del Trecento (divisa in piccoli stati perennemente in guerra tra loro) della canzone «Italia mia, benché’l parlar sia indarno» di Petrarca («Canzoniere», 128, inverno 1344-1345), prosegue con le opere di molti autori dei secoli successivi, approda fino alla canzone «All’Italia» di Leopardi ventenne (1818, lo stato unitario è di là da venire).