di Antonio Errico
Si dimentica tutto, o quasi tutto; si dimentica in fretta. Consapevolmente o senza rendersene conto. Si dimentica anche quello che è accaduto poco tempo prima, pochi giorni prima. Così è come se quello che è accaduto non fosse mai stato. Si dimentica tutto e quindi non si apprende, e senza apprendimento non c’è conoscenza, non ci può essere. Senza apprendimento non ci può essere altro che una superficiale informazione su qualcosa che viene sostituita assai rapidamente da un’altra informazione che molto spesso sostiene l’esatto contrario di quello che sosteneva la precedente.
Nessuno può dire se ciascuno di noi, per se stesso, ricorda o dimentica. Un uomo ricorda finché può ricordare.
Ci sono quelli che ricordano molto e per molto tempo. Ci sono quelli che ricordano appena qualcosa probabilmente perché si tratta di qualcosa che non si può dimenticare. Ci sono quelli che dimenticano tutto. Quelli che ricordano le cose vicine e non quelle lontane. Quelli che ricordano le cose lontane e non quelle vicine. Ma queste condizioni appartengono alla dimensione naturale di ciascuno, e forse nessuno può farci niente.
La circostanza che invece compromette le strutture fondamentali di una civiltà è la dimenticanza che viene prodotta dalla stessa civiltà. Il che vuol dire che una civiltà dimentica se stessa: si dimentica, rimuove la propria memoria, si rappresenta con una identità superficiale, con un volto senza storia, anonimo, insignificante. Senza una consapevolezza ed una coscienza del passato che ha fondato culturalmente il presente, non si può formare nessuna identità, o se ne può formare una frammentata e indefinita.