di Paolo Vincenti
Gli stivali e la
tequila sono complici perfetti
le ragazze e le cantine hann scaldato le mie
notti
ma i chilometri percorsi e la gente che
incontrai
non riescono a domare tutti i sogni di un
cowboy
(“Stivali e tequila” – Luigi Grechi)
Il viaggio attraverso gli anni Settanta in musica continua con un nome che la stragrande maggioranza dei lettori assocerà subito ad un altro. E del resto questo è stato il destino di Luigi Grechi, straordinario folksinger e talentuoso chitarrista, uno dei protagonisti più stimati della scena underground italiana, ma che viene quasi sempre ricordato per essere il fratello di Francesco De Gregori. Chi lo conosce però sa che la sua è stata una carriera ricca e coerente, un lungo percorso in cui Grechi non ha mai tradito sé stesso, per inseguire quel successo commerciale che evidentemente non gli era riservato. È spietatamente il mercato ad operare una selezione, ma ciò non toglie che Grechi abbia sempre avuto le carte in regola per arrivare al grande pubblico e che, se non ce l’ha fatta, è perché il suo “azzardo”, per citare il titolo di una sua canzone, non è stato premiato. Egli, “stivali e tequila”, da cowboy milanese (anche se romano d’origine) ha solcato, chitarra a tracolla, le fertili praterie della discografia italiana con una grande voglia di dire e tanta ispirazione. E infatti, “da casello a casello”, ha trovato grande affetto e dimostrazioni di entusiasmo da parte del ristretto pubblico che ha seguito i suoi concerti in tutta Italia. Probabilmente il genere country, applicato alla musica italiana, declinato in chiave cantautorale, era davvero una scommessa azzardata, ma Grechi, che alla scuola americana ha fatto l’apprendistato, ha sempre tenuto da conto quelle matrici musicali. E infatti ha viaggiato a lungo negli Stati Uniti, suonando con Peter Rowan e Tom Russell, ha partecipato a festival itineranti con i poeti della Beat Generation, accompagnando alla chitarra Lawrence Ferlinghetti.