di Adele Errico
“La vita non è che un’ombra che cammina; un povero attore
che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena
e del quale poi non si ode più nulla: è una storia
raccontata da un idiota, piena di rumore e furore,
che non significa nulla”.
William Shakespeare, Macbeth (atto V, scena 5, vv.24-28).
Se la vita altro non è che una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furore (“full of sound and fury” nel verso originale che dà, appunto, il titolo al romanzo, The sound and the fury), nella vita dei Compson, i membri della famiglia protagonista dell’Urlo e il furore di Faulkner, quell’idiota che racconta è Benjamin Compson.
Quella di Benjy è una delle quattro voci narranti che si alternano nel romanzo corale. Benjy è uno dei quattro fratelli Compson insieme a Caddy, Quentin e Jason, ai quali però non corrispondono i quattro narratori perché Caddy non racconterà mai, sarà sempre e solo presenza costante nei racconti degli altri; l’ultima voce narrante, infatti, è quella di Dilsey, la governante nera (“la Madre nera”) della famiglia.
Leggere un romanzo è come venire di nuovo al mondo e guardare attraverso gli occhi dei personaggi. Nell’Urlo e il furore si viene al mondo attraverso gli occhi di Benjamin, gli occhi dell’idiota che non sa leggere l’orologio, che dimentica regolarmente se stesso e che ha trentatré anni ma è come se ne avesse tre (“Vuoi dire che ha tre anni da trentatré anni” specifica uno dei personaggi), che si rannicchia, per proteggersi, nel tepore della sua imbecillità e con la sua coscienza apre il primo squarcio sull’universo scomposto, stravolto, lacerato dei Compson.