di Rosario Coluccia
Il nono cerchio è la parte più profonda dell’Inferno dantesco, quella in cui sono puniti i peccatori più efferati, colpevoli di delitti atroci che degradano l’essenza stessa dell’umanità. Il cerchio è diviso in quattro sezioni. L’ultima di esse è la Giudecca. Vi sono confinati i traditori dei benefattori: tra questi Giuda, che ha tradito Cristo; e Bruto e Cassio, traditori di Cesare (e quindi traditori dell’autorità imperiale). Giuda, Bruto e Cassio sono eternamente massacrati da Lucifero, creatura enorme e orrida, pelosa, dotata di tre facce su una sola testa e di tre paia d’ali di pipistrello. Lucifero è confitto per metà nel ghiaccio, da cui emerge solo la parte superiore del corpo; in ognuna delle tre bocche maciulla coi denti un peccatore (Bruto e Cassio ai lati, Giuda al centro), mentre con gli artigli graffia e scuoia la schiena di Giuda.
Nella terza sezione, la Tolomea, scontano la pena i traditori degli ospiti o dei commensali o degli amici. Vi sono confinati personaggi meno universalmente noti rispetto ai tre appena nominati, anch’essi protagonisti di fatti efferati. Branca d’Oria, uomo politico genovese, genero di Michele Zanche, signore del Logudoro, per impadronirsi dei domini del suocero, mise in atto un piano terribile: invitò a banchetto Michele Zanche e poi, aiutato da un parente, lo fece trucidare con tutto il seguito. L’efferatezza del crimine (e forse qualche altro motivo a noi sconosciuto) spinge Dante a immaginare che a Branca d’Oria sia capitata una sorte straordinaria, anzi unica in tutto il viaggio ultramondano fatto dal poeta. L’anima di Branca d’Oria è giù nell’Inferno, anche se il suo corpo non è ancora morto, anzi «e mangia e bee e dorme e veste panni». Insomma in apparenza è vivo ma, realtà ancor più terribile, un diavolo si è impossessato del suo corpo. Tutto ciò racconta a Dante un altro dannato, frate Alberigo, appartenente all’ordine dei cosiddetti “frati gaudenti”. Alberigo, con l’aiuto di figlio e nipote, al termine di un convito, uccise a tradimento alcuni parenti, verosimilmente per ragioni d’interesse. La vicenda che riguarda Branca d’Oria è implicitamente ricordata, riprendendo alla lettera le parole di Dante senza dichiararlo, da Primo Levi, autore di «Se questo è un uomo», libro che tutti i ragazzi dovrebbero leggere (a partire dalle scuole, con la guida dei professori), affinché nessuno dimentichi le atrocità di cui l’uomo è capace. In alcuni struggenti versi di «Ad ora incerta», Levi si scusa con i suoi compagni di prigionia, i cui volti «tinti di morte» visitano i suoi sogni, per essere sopravvissuto alla prigionia nel lager nazista: «Andate. Non ho soppiantato nessuno, / Nessuno è morto in vece mia. Nessuno. / Ritornate alla vostra nebbia. / Non è colpa mia se vivo e respiro / E mangio e bevo e dormo e vesto panni». L’ultimo verso riproduce esattamente il verso dell’Inferno.