Manco p’a capa 2. Tuttologi cercasi (ma sono tutti specialisti)

In certi campi l’approccio olistico c’è, eccome. Lo abbiamo visto con la musica, ma pensate ai titoli di coda di un film. L’elenco degli specialisti è infinito. Ma il ruolo chiave è quello del regista che, come il direttore d’orchestra, mette assieme i pezzi e crea un “tutto” assemblando le singole parti. È olistico l’architetto che “vede” la sua opera, la schizza su un foglio come Picasso faceva i suoi tori, e poi un esercito di maestranze, dagli ingegneri ai semplici manovali, traduce la sua visione in qualcosa di concreto. Qualcosa che non ci sarebbe, senza quello schizzo. Basta pensare a Renzo Piano e al ponte di Genova.Ora prendiamo tutto questo e mettiamolo davvero nel “tutto”.

Il tutto è il pianeta Terra, e gli ecosistemi che comprendono i viventi, inclusi noi. Ogni cosa che facciamo è inserita in un contesto ambientale. Ma fino a questo punto gli olisti attuali non arrivano. Un tempo ci arrivavano. Gli architetti del passato quando dovevano costruire una casa si accampavano nel luogo prescelto almeno per un anno, per capire le condizioni in ogni stagione. Studiavano i corsi d’acqua, leggevano il territorio e capivano dove costruire sarebbe stato pericoloso e dove la casa, o il palazzo, o il castello, sarebbero stati al sicuro dalle catastrofi naturali. I materiali da costruzione richiedevano pratiche costruttive raffinate e gli edifici dovevano star su quasi da soli. Poi è arrivato il cemento armato, e abbiamo costruito dovunque, dai greti dei fiumi, alle falesie a strapiombo. Non si è pensato che il ferro potesse gonfiare e arrugginire, immerso nel cemento. La manutenzione diventa difficile, e vengono giù i ponti, crollano le gallerie. Mentre gli acquedotti romani, fatti di pietre, sono ancora in piedi. 

Bisogna saper guardare quel che ci circonda: i disastri che i vari specialisti stanno provocando sono causati proprio dalla mancanza di visione di insieme. È necessario formare anche i tuttologi, in grado di guidare gli specialisti. In teoria questa professione esiste, si chiama politica: l’arte di saper mediare tra le spinte dei vari specialisti. Ma è la cosa più difficile che ci sia, e non si improvvisa. I corsi di laurea di scienze politiche, così come quelli in economia o giurisprudenza (le lauree di molti politici che hanno studiato) non trattano gli ecosistemi, per esempio, e i disastri attuali sono proprio dovuti a profonda ignoranza dei temi ambientali. Un’ignoranza che accumuna chi ha studiato a chi non ha studiato, a meno che chi non ha studiato sia un pescatore che ancora prende risorse dalla natura, rispettando il mare. Per ridurre la complessità abbiamo considerato l’ambiente come una costante trascurabile, cosa che un pescatore non può permettersi di fare. Bisogna rimediare e inventare una nuova formazione che tenga conto di tutto questo. Perché siamo comunque ancora tutti pescatori, e se non rispettiamo la natura lei ce la fa pagare. 

[“Il Fatto Quotidiano” del 18 luglio 2020]

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