di Ferdinando Boero
Ci sono molte contraddizioni nei sistemi di formazione. Qualcuno dice che l’educazione classica sia la più indicata ad aprire le menti: studiare le declinazioni latine e la consecutio temporum prepara alla vita. Altri dicono che il mondo si capisce solo se si “pensa matematico”. Altri dicono che la conoscenza si deve specializzare, perché non c’è più spazio per i tuttologi: la formazione deve essere calibrata sulle necessità del mercato del lavoro.
Il sistema universitario prevede un triennio generale sul tema trattato nel corso di laurea, e un biennio specialistico che approfondisce un argomento specifico. Dopo la laurea specialistica ci si può spingere oltre, con un master o un dottorato, scavando ancora più in profondità nell’argomento prescelto per la propria formazione.
È verissimo che i sistemi produttivi tradizionali vogliono specialisti, ma è altrettanto vero che è oramai evidente che l’estrema specializzazione della conoscenza stia creando problemi: le “soluzioni” degli specialisti possono avere serie conseguenze su altri ambiti in cui le loro competenze sono totalmente inesistenti. Si risolvono problemi creandone altri ancora più gravi. Tipo: produrre energia nucleare e non considerare dove mettere le scorie e come dismettere le centrali. Gli specialisti scompongono una realtà complessa in tante parti, e ognuno in cerca di comprendere tutto di una di esse, ignorando il resto. Ma il tutto è più della somma delle parti: gli olisti dovrebbero assemblare le parti approfondite dagli specialisti, trovare le connessioni, e comprendere il tutto. Gli specialisti sono i singoli professori d’orchestra, maestri nel proprio strumento, mentre gli olisti sono i direttori d’orchestra. C’è bisogno di entrambi, ma i sistemi formativi sono sempre più portati a creare specialisti.