Storie d’amore e di gloria tra Otto e Novecento

Ma andiamo per gradi e cominciamo, dunque, dall’ultimo libro scritto da Iannuzzi,  D’Annunzio e la Comarella, dal quale partiamo per andare a ritroso nel tempo. In particolare, prendiamo le mosse dal primo incontro – si sa che i primi incontri sono sempre fatidici – tra Antonietta Treves Pesenti, ormai anziana, e l’autrice, una giovane ricercatrice impegnata nel lavoro di biblioteca. Un giorno del 1966, infatti, racconta Iannuzzi, si trovava alla Civica di Milano per le sue ricerche su Carlo Tenca, quando incontra Antonietta: “Un giorno alla Civica, mi colpì una signora anziana, dall’abbigliamento demodé, con un berrettino da ciclista a scacchi bianchi e blu, uno stiffelius grigio scuro lungo fino alle caviglie, calzature di velluto a piccole coste. Nel volto, solcato da rughe sottili, due occhietti miopi. La studiosa, accompagnata da un gentiluomo fin de siècle, consultava documenti rari, volumi annosi, giornali impolverati, prendeva appunti. Più che ottuagenaria, a prima vista, pareva una dama decaduta costretta a guadagnarsi da vivere. Poi, un bel giorno, d’improvviso, mostrò di avere il mio stesso interesse per il “Crepuscolo”, il periodico redatto da Carlo Tenca nel decennio 1850-1859”. (D’Annunzio e la Comarella, cit., p. 13). E’ l’inizio di un’amicizia che durerà fino alla morte di Antonietta (vedi p. 148).

Ma chi era Antonietta Treves Pesenti? Era una nobildonna milanese andata in sposa nel luglio 1909 a Guido Treves (1875-1932), nipote e collaboratore dell’editore Emilio, e poi suo successore a partire dal 1906. Il testimone di nozze fu Gabriele D’Annunzio… il cui temperamento e la cui fama, lo si capisce bene, lasciano subito presagire grandi tempeste di passione. Su quella della nobildonna milanese per D’Annunzio non sembra esserci possibilità di equivoco. Parla chiaro la lettera del 9 dicembre 1922, in cui la Comarella – così la chiamava il compare di nozze D’Annunzio -, esploso “l’empito della passione” (p. 35), come dice Iannuzzi, chiede al Comandante di strappare la lettera, che avrebbe potuto comprometterla (“Distruggete”). Ma, in proposito, Iannuzzi è molto cauta, e in D’Annunzio, “Poeta” – con la P maiuscola – dalla “poliedrica personalità” (p. 119), va ricercando le tracce “di quel sentimento quasi paterno e, nello stesso tempo, estetizzante… che dovrebbe scoraggiare i ricercatori di aneddoti piccanti” (p. 49). Allo stesso modo, Antonietta è “un modello di altruismo e di operosità intellettuale, celato dietro un velo di riservatezza e da contrapporre alle figure femminili urlanti per le vie nell’età dei consumi” (pp. 90-91) ed ha tutto “il profilo di una donna moderna di notevole spessore, depositaria, da un lato, di antichi ideali, dall’altro di interessi culturali coevi e sopravvissuta a un’epoca in cui essere e parere ancora coincidevano” (p. 126); una donna tutta dedita ad aiutare il prossimo (Iazzuzzi non esita ad elogiare il suo “costante e disinteressato aiuto al prossimo” p. 124), oltre che molto impegnata intellettualmente. Guido Treves, invece, figura come semplice comparsa, disposto a tollerare che D’Annunzio si diverta lanciando “sassolini contro la loro finestra fino a svegliarli” (p. 145), secondo quanto riferisce la stessa Antonietta in un gustoso aneddoto.

Il Carteggio Tenca-Maffei, neanche a farlo apposta, rivela una storia molto simile a quella finora esaminata, ovvero un triangolo sentimentale che ha ai suoi vertici una nobildonna di origini bergamasche, Elena Chiara Maria Antonia Carrara Spinelli (1814–1892), animatrice di un celebre salotto milanese, “il più importante  d’Italia, e per gli uomini insigni che vi si riunivano e per gli eventi politici che vi maturarono” (pp. 12-13); suo marito, il poeta trentino Andrea Maffei (1798-1885), molto più anziano di lei, da cui Clara si separò nel 1846; ed infine il milanese Carlo Tenca (1816-1883), di umili origini, intellettuale, patriota e deputato, che a partire dal 1844 entrò a far parte del salotto della Maffei, e con la quale instaurò una relazione sentimentale destinata  a durare tutta la vita. Anche in questo caso assurgono agli onori della storia i protagonisti di quella che la stessa Iannuzzi, prendendo “in prestito il titolo della monografia di Antonio Monti”, definisce “Una passione romantica dell’Ottocento” (p. 44), mentre la figura del marito, a cui per la verità si riconosce grande dignità di comportamento, rimane di secondo piano in “questo ménage (si fa per dire) a tre” (p. 69), scrive Iannuzzi con vago senso del pudore.

Clara Maffei, “sembrerebbe una creatura da inserire nella schiera di quelle dame dalla mentalità cosmopolita del secolo XIX. Lei, in realtà, alle peculiarità dell’eterno femminino, aggiungeva un temperamento altruistico affiorante non solo nell’ambito sociale ma anche in quello politico come si deduce dal suo totale impegno nell’età risorgimentale” (p. 64), “un personaggio fuori dal comune” (p. 72; il giudizio è riconfermato a p. 120), capace all’occorrenza di trasformarsi in “un’ottima infermiera” (p. 145) quando Tenca sta male, oppure in dama di carità che fa “visite ai poveri” (p. 146) o impartisce a chi ne ha bisogno lezioni di francese (pp. 150-151).

Il deuteragonista è Carlo Tenca, per dieci anni animatore instancabile del “Crepuscolo” (1850-1859), “un’opera organica, mossa da un’esigenza etico-politica che è alla base di una ideale forma di civiltà connotata principalmente dall’aspirazione a diffondere la cultura in ogni classe sociale” (p. 26). Tenca, pur constatando il “fallimento del suo programma democratico e altruistico” (p. 35), sarà deputato del neonato Stato italiano e costretto pertanto ad amare da lontano la sua Clara. Di lui la scrittrice mette in evidenza, tra l’altro, “la concezione moderna e progressista della femminilità” (p. 50), ma soprattutto la profonda delusione per i miasmi della vita parlamentare. “Del passato”, conclude Iannuzzi, “Tenca ha salvato solo l’affetto per Clara” (p. 152).

Sullo sfondo di questa relazione scorrono come tanti fotogrammi gli eventi principali della storia italiana, dal 1862 al 1878, secondo l’Indice cronologico dei principali avvenimenti (pp. 182-184, ma in realtà l’arco cronologico è maggiore e parte almeno dal 1834, data di fondazione del salotto, per toccare il 1883, anno della morte di Tenca) che sono menzionati nel Carteggio, con cui anche si dà ragione del sottotitolo Storia, letteratura e arte nell’Italia del Risorgimento. Chiude il volume una breve Appendice documentaria e l’Indice dei nomi.

Che cosa hanno in comunque, dunque, questi due libri, tanto da richiedere una lettura comparata? In comune hanno le funzioni narrative incarnate nei personaggi, le cui “storie private” (D’Annunzio e la Comarella, cit. p. 34) si stagliano sul continuum della vicenda storica fino a diventarne per così dire l’emblema e la cifra distintiva; due storie private, che non si esauriscono nel privato, ma che per le qualità dei protagonisti (Maffei-Tenca, Treves-D’Annunzio) diventano rappresentazione pubblica di un modo di vivere e di sentire, definiscono un’epoca, almeno nell’ottica della scrittrice.

In realtà, queste vicende sentimentali ci parlano molto e direi soprattutto della scrittrice Iannuzzi, del suo mondo ideale, delle sue predilezioni e dei suoi fraintendimenti, anche. Si leggano i ripetuti accenni al rapporto di D’Annunzio con la morte incipiente, assimilato a quello tra Leopardi e la morte (si veda D’Annunzio e la Comarella, cit., pp. 82, 85, 90), laddove a me sembra che la scrittrice confonda la virile accettazione della morte in Leopardi con il terrore per l’invecchiamento, la decadenza fisica e la morte in D’Annunzio, in cui è sempre presente una dimensione estetizzante sconosciuta a Leopardi. Ma a parte questi rilievi, dalle due opere emerge una scrittrice fortemente nostalgica del mondo che fu e che non sarà mai più. Si leggano questi passaggi, dai quali più chiaramente si può ricavare il rapporto tutto negativo di Iannuzzi con la modernità: “Già il 10 novembre 1969, infatti, Antonietta mi aveva scritto da Brivio: “Vedo che anche a Bari si agitano. A Milano non se ne può più di questi rivoluzionari”.

Il 17 febbraio 1970, aggiunge: “Il mio lavoro procede con difficoltà. Bei tempi quando ci si trovava alla Civica o al Risorgimento”.

In effetti – commenta Iannuzzi – ai non iniziati sfuggiva il movente della violenza post-sessantottina che si andava delineando, prima subdolamente, per scatenarsi poi senza remore nelle aule universitarie, per le vie, nelle fabbriche. E Antonietta era tra gli sbigottiti dinanzi a quel fenomeno sociale che pareva inesplicabile ed esploso quasi all’improvviso” (D’Annunzio e la Comarella, cit., p. 111). Il post-sessantotto, dunque, segna un discrimine, oltre il quale sembra non esserci posto più per le eroine e gli eroi del Risorgimento e tanto meno degli inimitabili anni dannunziani. Iannunzi è al di là, non al di qua, in qualche modo è essa stessa l’incarnazione dell’idea di donna presente nei suoi personaggi femminili: “I personaggi emergono dal passato, diventano i nostri compagni di viaggio. E la ricerca è vita, la nostra vita” (p. 123), le scrive Antonietta il 14 giugno 1971. E la scrittrice a noi: “Erano, infatti, gli anni postsessantottini, anni sofferti che lasciarono solchi profondi in quanti li vissero con purezza di spirito e con generosità senza poter scoprire le cause di tanta violenza.

La ricerca, anche per me rimaneva forse una delle poche consolazioni.” (p. 124).

In questo modo Iannuzzi, che rimane per noi una “pura di spirito” e una donna “generosa”, degna erede delle sue eroine, secondo una discendenza elettiva ben studiata (Maffei-Treves-Iannuzzi), rivela le ragioni della sua dedizione al passato e del suo lungo lavoro, condotto sempre con grande cura della documentazione. La sua ricerca è dettata da un desiderio, direi da un’esigenza, di consolazione. Risultandole irragionevole e incomprensibile il presente, ella ricerca il passato, dove i compagni di viaggio – sebbene tutti morti – sono amici disposti ad accompagnarla. Questa motivazione avvia un processo di identificazione con personaggi di un mondo lontano, che ripaga la scrittrice e la consola delle fatiche che comporta ogni ricerca. Iannuzzi, dunque, sebbene viva nel presente, appartiene al passato, proprio come la sua amica Antonietta, bella come un fiore, Anthos, secondo il nomignolo che le attribuiva D’Annunzio, e proprio come Clara, splendida nel suo salotto ottocentesco. Lina Iannuzzi è anche lei una donna antica; e noi non sapremo mai chi, come D’Annunzio per celia, abbia gettato sassolini alle sue finestre.

[Storie d’amore e di gloria tra Otto e Novecento (recensione a Lina Iannuzzi, Il carteggio Tenca-Maffei. Storia, letteratura e arte nell’Italia del Risorgimento, Guida, Napoli, 2007; Lina Iannuzzi, D’Annunzio e la Comarella, Ianieri, Pescara, 2008) “Il Galatino” di venerdì 17 luglio 2009, p. 6; poi col titolo di Storie d’amore e di gloria “Il Paese Nuovo” di giovedì 23 luglio 2009, p. 6.]

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