Responsabilità come tributo alla bellezza

Una bellezza che esiste o che si può creare dappertutto, dunque. Che si deve scoprire quando si nasconde e comporre dove non c’è, o ricomporre dove si è infranta.  Una bellezza come espressione di confronto con il mondo. Che appartiene ad ogni tempo e ad ogni luogo, che deve conformare ogni tempo ed ogni luogo. Un sentimento antico e sempre nuovo della bellezza. Una ragione irrinunciabile della bellezza. La tensione costante verso ognuna delle sue forme: una cripta bizantina, un grattacielo, un ponte, una formula matematica, una terzina dantesca, il divenire della Storia, i fenomeni della fisica,  un argomentare di filosofia, i segreti della biologia, una città che trabocca di folla, una città deserta, un’alba d’inverno, una notte stellata; la simmetria e l’asimmetria di qualcosa,  l’armonia e la disarmonia di qualcosa.

La bellezza come intuizione, impressione, sensazione, come emozione, comprensione, assimilazione. La bellezza come principio e come fine. Come orizzonte di senso, come motivo dell’esistenza, fondamentale riferimento dell’essere. Addirittura come destino. Addirittura come verità. Lo ha detto, mirabilmente, John Keats nei due versi che chiudono  “ Ode on a Grecian Urn” : Beauty is truth, truth beauty’, – thats is all/ ye know on earth,and all ye need to know; la bellezza è verità, la verità è bellezza – che è tutto / quanto sappiamo e dobbiamo sapere sulla terra.

Forse verità e bellezza si incontrano su una soglia di pensiero, a volte. Con consapevolezza, con inconsapevolezza, con serenità, con sofferenza, con qualche certezza, con incertezze infinite. Forse verità e bellezza sono la sostanza di ogni conoscenza; sono quello che resta dentro, intimamente.

Ma come ogni altra conoscenza che abbia una relazione essenziale con l’esistenza, la conoscenza della bellezza comincia  da una seduzione a volte anche misteriosa,  da un desiderio a volte anche indecifrabile,  un improvviso stupore, che poi, nel tempo,  si sviluppano assumendo e integrando cognizioni e categorie culturali di natura diversa e diversa derivazione. E’ nel contesto del processo di conoscenza che si apprende a cercare ed a trovare la bellezza dappertutto: in ogni essere e in ogni luogo, in ogni fenomeno e in ogni circostanza, nel presente e nel passato; è nel costante confronto con le forme della bellezza che si apprende a formulare ipotesi di un’altra bellezza, di una nuova bellezza per il futuro.

E’ nelle dinamiche del processo di conoscenza che si fa sempre più matura la sensibilità nei confronti di ogni forma di bellezza: quella di una statua nascosta dagli oleandri di un parco, quella di un albero di ulivo,  di un passaggio di anatre sul mare,  del silenzio della neve che cade, di un affresco medievale, la bellezza di una  musica e quella che anche il rumore del tuono può avere.

Ancora: è in conseguenza della conoscenza della bellezza che si avverte una responsabilità nei confronti di essa. Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo, dice Adriano.

Allora, forse, a questo punto ci si dovrebbe anche domandare se noi, oggi, qui, ci sentiamo responsabili della bellezza che abbiamo avuto in custodia, se ci sentiamo responsabili di una bellezza ancora da realizzare e da lasciare a qualcuno in custodia. Forse ci si dovrebbe domandare se in questo tempo siamo riusciti a dare a quella bellezza che abbiamo ricevuto l’attenzione e la dignità che le sono dovute, oppure se l’abbiamo trascurata, anche soltanto per indifferenza.  

Probabilmente non è possibile pensare di costruire un’altra bellezza, una bellezza nuova, forme per un altro e nuovo tempo, se non si riconosce alla bellezza proveniente dalla Storia l’essenzialità della sua funzione, non solo nello sviluppo di una civiltà ma anche nel dipanarsi dei giorni di ogni umana creatura.  

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 12 luglio 2020]

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