La lingua non crea gli eventi, li rappresenta e li classifica. Alla caduta dell’impero romano i Franchi, popolazione di origine germanica, si impadronirono della regione che i Romani chiamavano Gallia (quella di Cesare, quella di Asterix e Obelix) dandole un nuovo nome: Francia, appunto, come oggi tutti diciamo. Siccome i Franchi formavano l’aristocrazia di quella società, contrapposta alle popolazioni indigene, ridotte in stato di servitù, l’aggettivo franco assunse il significato di ‘libero’, individuo non soggetto a costrizione fisica, morale o politica. «Sono una persona “franca”, voglio essere “franco” con te» diciamo correntemente, per indicare che parliamo e ci comportiamo in modo schietto e sincero. «Te lo dico con “franchezza”», «ti parlo “francamente”», ecc. In questo caso diamo all’etnonimo e ai suoi derivati un significato positivo.
Più spesso usiamo gli etnonimi per insultare, per dare sfogo ai nostri pregiudizi. Ecco una lista di etnonimi che, accanto a quello originario, hanno sviluppato un valore negativo o spregiativo: “baluba” ‘appartenente alla popolazione stanziata nel Congo’ e anche ‘persona rozza e incivile’; “chietino” ‘nativo o abitante di Chieti’ e anche ‘bigotto’; “genovese” ‘nativo o abitante di Genova’ e anche ‘avaro, taccagno’; “marocchinare” ‘sottoporre pelli di capra o di montone a operazioni di concia per ottenere un tipo particolare di cuoio tipico del Marocco’ e anche ‘violentare, stuprare’, con riferimento al comportamento dei soldati marocchini nell’Italia meridionale e centrale durante la seconda guerra mondiale (tutti ricordiamo «La ciociara», il romanzo di Moravia del 1957 da cui fu tratto il film di De Sica del 1960, interpretato da un’intensissima Sophia Loren), “napoli” ‘nativo di Napoli’ e anche ‘meridionale emigrato al nord’ contrapposto ai più evoluti settentrionali; “ottentotto” ‘appartenente alla popolazione dell’Africa australe caratterizzata da bassa statura, capelli crespi, naso largo e piatto’, e anche ‘ignorante, incivile, primitivo, selvaggio’; “scozzese” ‘nativo o abitante della Scozia’ e anche ‘molto avaro’; “teutonico” ‘tedesco’ e anche ‘esageratamente determinato e puntuale’; “zingaro” ‘appartenente al gruppo etnico originario dell’India, che si è diffuso nel Medio Oriente, in Europa e in Africa settentrionale’ e anche ‘persona senza fissa dimora e dall’aspetto trasandato e sporco’; “zulù” ‘appartenente al gruppo etnico di lingua bantu’ e anche ‘persona dai modi rozzi e incivili’.
A volte l’etnonimo è meno evidente, per riconoscerlo dobbiamo ricorrere all’etimologia. La parola “baldracca” ‘puttana, bagascia, battona’ originariamente indicava solo un’abitante di Baghdad (reso a Firenze con Baldacco, Baldacca), città nel Medioevo confusa con Babilonia, considerata simbolo di dissolutezza; “buggerare” ‘imbrogliare, ingannare’ significa anche ‘sodomizzare’ ed è connesso con il latino tardo “bugerus”, variante di “bulgarus” ‘bulgaro’, che assume il significato di ‘sodomita’, attribuito per disprezzo a quella popolazione, in seguito alla diffusione presso i Bulgari dell’eresia patarina. Nasce in tempi recenti e si riferisce allo statalismo ottusamente autoritario e poliziesco, dominante in quel paese fino ai primi anni novanta del Novecento, l’uso di “bulgaro” con valenza politica: “decisioni bulgare”, “maggioranza bulgara” (richiama un evento preciso “editto bulgaro” di qualche anno fa).
L’etnonimo può essere anche dissimulato, si parte da un nome comune per assegnare allo stesso un valenza particolare. Dal generico “terra” è derivato “terrone”, che allude, con valenza spregiativa, agli italiani meridionali. Qualcuno continua ad usarlo, incurante della pessima figura. Esattamente un anno addietro, nel giugno 2019, con la delicatezza tipica della sua prosa, Vittorio Feltri, direttore di «Libero» (che ora si è dimesso dall’ordine dei giornalisti «per protesta contro le ingiustizie subite»…), ha usato l’epiteto parlando del ricovero in clinica di Andrea Camilleri per gravissimi problemi cardiaci. Ecco un campione del suo raffinato articolo: «Oggi, di fronte alla probabilmente prossima fine [di Camilleri], riconosciamo allo scrittore ogni merito tecnico e a lui ci inchiniamo. Mi dispiace, quando un uomo vecchio muore c’è sempre un certo dolore». Tuttavia «l’unica consolazione per la sua eventuale dipartita è che finalmente non vedremo più in televisione Montalbano, un terrone che ci ha rotto i coglioni, almeno quanto suo fratello Zingaretti, segretario del Partito democratico, il peggiore del mondo».
La discriminazione etnica si manifesta anche nel cinema. La contrapposizione meridionale~settentrionale trova ripetutamente spazio nella filmografia di Totò, emblematica delle tendenze presenti anche in altri filoni del cinema italiano. Esprime linguisticamente il razzismo antimeridionale la moglie di Totò in «Gambe d’oro» (1958, film girato a Cerignola e Foggia). La donna, milanese, dà del “terrone” al marito; il quale a sua volta la definisce “longobarda”, “barbara” e “mangiapolenta” (“polentone” indica, con accezione scherzosa, un ‘gran mangiatore di polenta’ e, con accezione spregiativa, un ‘italiano settentrionale’). Il pregiudizio antimeridionale viene paradossalmente dichiarato dal napoletano Totò, a danno di chi ai suoi occhi appare più meridionale (e quindi più disprezzabile) di lui: «ma vai via, terrona!», grida il grande attore all’algerina Suleima, in «Totò le Mokò» (1949). Ci sono anche usi antifrastici, alla parola si dà un valore opposto a quello corrente. La birra artigianale Terrona, prodotta nel Salento, rivendica orgogliosamente con tale denominazione l’origine meridionale, considerata fattore di eccellenza rispetto ad altri prodotti dello stesso tipo ritenuti di qualità inferiore.
Liberare la lingua dagli stereotipi che veicolano una visione del mondo guastata da preconcetti infondati significa organizzare in modo meno discriminatorio la società.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 12 luglio 2020]