Ho detto che il sogno è stato la ripetizione del nostro ultimo incontro, ma devo correggermi e aggiungere che è stato una “ripetizione trasformata”. Ci sono state almeno cinque importanti trasformazioni:
– prima, spariti gli scaffali coi libri, sparite le pareti, la camera trasformata in giardino,
– seconda, la presenza dei cagnolini che esprimevano la loro gioia,
– terza, nemmeno io ero lo stesso di tanto tempo fa; da uno che non conosceva il libro di Parente ero diventato uno che aveva studiato questo libro, anzi uno che negli ultimi quarant’anni aveva letto e riletto questo libro molte volte,
– quarta, il libro mi era stato regalato da Parente nel 1963 e non nel 1976,
– quinta, tanto nel 1963 quanto nel 1976 parlava Parente ed io ascoltavo, nel 2007 ero io a parlare e Parente ad ascoltare.
Seduti su una panchina sotto un albero, Parente dice: conosco il tuo modo di leggere i libri, nei quali come negli organismi viventi cerchi il loro cuore. Hai trovato la pagina ove batte il cuore della mia “Castità della musica” (Torino 1961, pagg. 287) ?
– Certo! Sfogliando il libro si ha l’impressione che hai raggiunto le vette del disordine. Le Tue riflessioni si susseguono in modo caotico: desiderio, musica sacra, Verdi, crisi del linguaggio, crisi morale, colori e forme, futurismo, Walt Disney, pittura astratta, De Sanctis, Toscanini, melodramma, romanticismo. Al disordine tematico si associa il disordine cronologico, che mi ha spaventato quando ho scoperto la sequenza delle pubblicazioni riproposte nel libro: 1948, 1951, 1949, 1948, 1936, 1953, 1930, 1947, 1958, 1949, 1957, 1951, 1941, 1929, 1932, 1934, 1955, 1956, 1959, 1947, come se negli anni 1929-1959, da ragazzo 22enne a professore 52enne, per trenta anni nei Tuoi pensieri sulla musica non ci fossero stati cambiamenti, sviluppi, approfondimenti. Ma il difetto più grave è che il Tuo libro è un’ “opera incompiuta”. Ogni filosofo è obbligato a mostrarci – sull’ultima pagina del suo libro – il risultato della sua ricerca, la sua più grande scoperta. Dai Tuoi scritti ristampati in questo libro segue che hai esaminato i diversi problemi della musica per trenta anni, ci si aspettava sulle ultime pagine lo splendido Finale…e che cosa vediamo? Neanche una frase su ciò che hai raggiunto, hai dimenticato di scrivere la Tua propria conclusione, ristampando da un quotidiano “un asterisco musicale” di Guido Pannain (del 24.5.1954). In tal modo il Tuo libro lo “conclude il Pannain”.
Questa è l’impressione che ho avuto sfogliando il tuo libro. Ma quando mi sono messo a studiarlo, leggendolo e rileggendolo più volte, ho capito che sotto il velame del disordine si può trovare una struttura nascosta, nella quale tutto ciò che si trova alle prime duecentosettantatré pagine costituisce una raccolta dei diversi campi di partenza, dai quali i diversi lettori, attraverso diverse strade possono giungere allo stesso campo di arrivo, cioè al capitolo XIX intitolato “Riflessioni” (pagg. 274-281), otto pagine che costituiscono un riassunto perfetto dei risultati delle Tue ricerche, tra i quali si trova la più grande delle Tue scoperte, che “la ripetizione non è mai ripetizione senz’altro” (pag. 278). Qui batte il cuore del Tuo libro, che a prima vista sembra essere una raccolta caotica di “asterischi musicali”, ma, non essendo un libro di musicologia, è un libro di filosofia, un importante contributo alla mia filosofia dell’incontro.
Mi permetto di ricordare che da molti decenni nelle mie pubblicazioni filosofiche esprimo il pensiero che la musica possa diventare una potente fonte di ispirazione per il rinnovamento della filosofia. Tale convinzione mi ha costretto a studiare centinaia di libri scritti da compositori e studiosi di scienze musicologiche per trovare osservazioni che trascendano il mondo dei suoni, gettando una nuova luce sui problemi di ontologia, teoria della conoscenza, axiologia, filosofia dell’uomo.
I miei lettori sanno quanto devo ai pensieri di Mozart, Berlioz, Cage, Bloch, Schaeffer, Porena. Ma adesso torno alla “Castità della musica” di Parente per spiegare l’importanza della sua scoperta per il mio sistema filosofico.
Si tratta del concetto filosofico di identità posto da Aristotele come fondamento della logica. Mi ricordo che già nel 1937 come studente del primo anno di filosofia contestai l’affermazione del prof. Tadeusz Kotarbiński: “ogni cosa è identica a sé stessa” (A = A), osservando che la A che si trova al secondo posto non può essere identica a quella che si trova al primo. Dopo ventisei anni, trovandomi a Firenze, ho avuto una simile discussione con Cesare Luporini nella sua casa nella notte di Capodanno. Mi mancavano però non solo gli argomenti capaci per persuadere i miei interlocutori, ma anche e anzitutto gli strumenti concettuali per esprimere il mio pensiero. Adesso nel libro di Alfredo Parente ho trovato un potente alleato, il quale mi ha fornito, finalmente, le armi per vincere.
[“Presenza taurisanese” anno XXXVIII n. 7 – luglio 2020, p. 11]