Le eco-scienze a lezione dalla natura

Negli ultimi decenni anche i non ecologi hanno iniziato a rendersi conto che le nostre attività hanno un’influenza negativa su molte entità specifiche, portandole all’estinzione, e sono iniziate le preoccupazioni per la conservazione delle specie. Biodiversità è diventata una parola popolare con la Convenzione di Rio sulla diversità biologica (1992), seguita da una serie di altre convenzioni che sottolineano sempre più l’importanza della natura e il nostro impatto su di essa.

La consapevolezza dell’importanza della natura ha portato alla ricerca di compromessi tra gruppi con diverse visioni del mondo.

La ricerca di compromessi

Sostenibilità è la parola magica che libera la nostra coscienza, insieme a parole come “verde” e “blu”, spesso usate per connotare la crescita (intesa come crescita del capitale economico) come qualcosa di verde o di blu o, meglio, sostenibile. Nonostante i tentativi di definire la sostenibilità in termini ecologici, l’obiettivo di quasi tutti i piani governativi mira alla crescita economica. Se la protezione della natura rappresenta un ostacolo alla crescita economica, di solito la visione ecologica viene messa da parte. I costi ambientali sono in qualche modo riconosciuti, ma poi vengono sacrificati in nome dell’occupazione e della crescita economica. In molti casi sono considerati come esternalità e non trovano posto nelle analisi costi-benefici. Il significato di sostenibilità è semplice e non ambiguo: la crescita del capitale economico non può avere, come conseguenza, l’erosione del capitale naturale. La valutazione dello stato del capitale naturale e le conseguenze delle nostre azioni sulla sua integrità, tuttavia, possono essere pienamente realizzate solo se consideriamo alcune leggi di base della natura, per lo più disattese dalle scuole economiche e assenti nelle scuole in generale, e quindi non comprese nel bagaglio culturale di gran parte della popolazione. Questa conoscenza è un prerequisito per comprendere appieno il concetto di[i1]  sostenibilità.

Le leggi della natura (vivente)
 

Le leggi della fisica sono universali: sono valide in qualsiasi parte dell’universo. La vita è conosciuta solo sul pianeta Terra e rappresenta una singolarità, per quanto ne sappiamo. Le leggi della fisica sono valide anche sul nostro pianeta dove, tuttavia, una parte della materia è organizzata in forma vivente e, in queste circostanze, anche altre leggi entrano in azione.

Gli ecosistemi del pianeta Terra mobilitano una parte finita della materia, limitata alla superficie emersa del pianeta e al volume dell’oceano mondiale. Questa materia cambia continuamente il suo stato da non vivente a vivente attraverso i processi di fotosintesi e chemiosintesi con cui piante, protisti fotosintetici (alghe unicellulari) e una parte dei procarioti (organismi senza un nucleo definito) sono in grado di trasformare la materia inerte in materia viva. Questi organismi sono autotrofi: formano la materia organica complessa dalla semplice materia inorganica. La vita è nata circa 3,5 miliardi di anni fa, da una generazione spontanea. Non siamo in grado di riprodurre quell’evento, ma il fatto che tutti gli esseri viventi condividano lo stesso linguaggio chimico (basato sulle interazioni RNA-DNA) e che il materiale genetico di esseri semplici come i batteri possa funzionare nell’uomo dimostra un alto livello di compatibilità, suggerendo un’unica origine comune per tutti gli esseri viventi.

Il primo organismo, l’antenato comune a tutte le forme di vita, era sicuramente un produttore primario, verosimilmente un essere chemiosintetico senza nucleo.

La condizione vivente è transitoria e la materia torna invariabilmente a uno stato non vivente. Batteri e funghi, i decompositori, degradano la materia una volta che perde la sua condizione di vivente, riducendo la sua complessità alle componenti di base (spesso etichettate come “nutrienti”). Gli organismi fotosintetici, quindi, riassemblano i nutrienti e fanno rivivere la materia. I decompositori sono eterotrofi e basano la loro esistenza sul consumo di materia vivente.

I produttori primari autotrofi e i decompositori eterotrofi sono il nucleo del funzionamento degli ecosistemi; senza di essi un ecosistema non si sosterrebbe.

Altri organismi eterotrofi si sono evoluti in seguito, oltre ai decompositori. Gli animali e alcuni protisti (i protozoi) sono predatori che inghiottono la loro preda. Non possono ridare vita alla materia e possono solo usarla quando ha uno stato più o meno vivente. Mangiamo animali morti (ad esempio una bistecca) ma la materia di cui sono fatti è ancora organizzata come materia organica. Gli organismi animali (inclusi gli esseri umani) possono assimilare la materia che ingeriscono solo se nel loro intestino sono presenti decompositori simbiotici, cioè batteri.

Gli esseri umani, in quanto animali, svolgono il ruolo ecologico di consumatori. Il nostro posto nelle reti alimentari è ampio, poiché siamo onnivori: possiamo mangiare sia piante sia animali e anche funghi.

Una regola naturale di base potrebbe essere etichettata come la legge del bilancio in pareggio: ciò che viene consumato non può essere più di ciò che viene prodotto. Anche questa dovrebbe essere una regola economica: il pagamento dei debiti può essere posticipato ma, alla fine, i debiti devono essere pagati.

Un’altra regola della natura è la legge della crescita: tutti gli esseri viventi tendono ad aumentare di numero. La riproduzione è l’impulso più basilare di tutta la materia organizzata in modo vivente (umani inclusi). Se i rappresentanti di una specie non si riproducono, la specie si estingue. Quando i numeri aumentano, tuttavia, un’ulteriore riproduzione porterebbe a una crescita incontrollata delle dimensioni della popolazione.

Questo porta alla legge del limite: la crescita della popolazione di qualsiasi specie non può essere infinita. Il limite si chiama capacità portante, ovvero il quantitativo massimo di una specie (in termini di biomassa) che un determinato ecosistema può sostenere. Per gli organismi autotrofi i limiti sono dettati da nutrienti, spazio, luce e pressione da parte degli erbivori. Per gli organismi eterotrofi i limiti sono dettati dalla disponibilità di cibo, fornito dalla p[i2] roduzione primaria.

Le dimensioni della popolazione sono regolate dalla legge dei livelli trofici: i produttori primari non possono sostenere una crescita della massa dei produttori secondari e terziari (cioè quelli che chiamiamo erbivori e carnivori) che superi la massa dei produttori stessi. Di solito, ad ogni passaggio da ciò che viene prodotto a coloro che lo consumano, si verifica una perdita di circa il 90% dell’energia. Questa bassa efficienza può essere migliorata, il rinnovamento dei produttori primari può essere molto veloce, ma i limiti alla crescita sono comunque inevitabili, poiché la massa di materia che può diventare viva è limitata. Le regole naturali sono elastiche. L’evoluzione può modificarle e i limiti possono essere superati. Abbiamo evoluto l’agricoltura quando, come cacciatori e raccoglitori, il nostro peso ecologico ha superato la capacità portante degli ecosistemi. Invece di aspettare che la natura producesse ciò di cui avevamo bisogno, l’abbiamo costretta a darci ciò che volevamo e, in tal modo, il nostro numero è aumentato considerevolmente: la capacità portante della nostra specie è cambiata. L’evoluzione si basa sulla legge dell’escalation: se una specie (ad esempio, un predatore) “migliora” le sue prestazioni (come abbiamo fatto noi) nello sfruttamento di altre specie (ad esempio, le prede), anche queste altre specie devono evolversi, altrimenti saranno in difficoltà e, così, ogni cambiamento genera altri cambiamenti.

L’evoluzione, in altre parole, è una corsa agli armamenti tra le specie che svolgono ruoli diversi, con un’escalation verso miglioramenti sempre temporanei, poiché l’evoluzione di un tratto favorevole in una specie innesca l’evoluzione di un altro tratto in una specie che ne risulterebbe svantaggiata. Le specie che non cambiano sono a rischio, poiché non si adattano ai cambiamenti del resto del biota (l’insieme di viventi che condividono uno spazio). La vita è una reazione a catena di cambiamenti e non possiamo aspettarci stabilità. L’evoluzione è la norma e, anche se le funzioni della vita sono piuttosto conservative, la struttura della vita, cioè le specie che mobilitano la materia vivente, cambia a un ritmo molto rapido. Darwin l’ha chiamato: la lotta per l’esistenza.

Queste “leggi” non sono predittive, spiegano. Dicono che cosa accadrà (e spiegano perché), ma non possono prevedere quando. Possiamo essere certi che la crescita infinita non è possibile e che, prima o poi, ogni crescita è destinata a cessare, ma non è possibile sapere con precisione quando avrà luogo l’arresto della crescita.

In guerra contro la natura
 

Quando eravamo cacciatori e raccoglitori, abbiamo evoluto ulteriormente la cultura e la tecnologia, inventando strumenti che hanno aumentato il nostro potenziale offensivo in un modo troppo veloce rispetto ai cambiamenti difensivi delle nostre prede. Vincendo la corsa agli armamenti, abbiamo portato le nostre prede all’estinzione o, comunque, a una tale riduzione delle popolazioni oggetto di sfruttamento da non poter più usufruire dei beni e dei servizi che ci fornivano e di cui avevamo bisogno.

Di solito, quando una specie evolve troppo velocemente e, grazie a una migliore efficienza nell’estrazione, sbilancia i rapporti con le altre specie, la diminuzione delle risorse sovrasfruttate porta alla fame. Questo porta alla diminuzione del numero dei rappresentanti della specie che si è spinta troppo avanti: la legge del limite. Se il tasso di consumo è più veloce del tasso di produzione, gli ecosistemi non possono sostenere un eccesso di consumatori: la legge dei livelli trofici. La conseguente diminuzione della pressione sulla preda consente il ripristino delle sue popolazioni e la corsa agli armamenti può ricominciare.

Quando abbiamo eradicato le nostre prede, tuttavia, non siamo diminuiti di numero. Invece, come s’è detto, abbiamo inventato l’agricoltura, un modo per estrarre risorse dall’ambiente una volta che la caccia e la raccolta non erano sufficienti per sostenerci. Le pratiche agricole, in particolare quelle intensive che pratichiamo oggi, mirano a eradicare tutte le forme di vita indesiderate, siano esse vegetali o animali, e a concentrarsi sulla produzione di una sola specie, quella che risponde alle nostre esigenze. Con gli erbicidi uccidiamo le piante che competono con le specie coltivate, con gli insetticidi uccidiamo i loro parassiti e predatori. Il risultato è la semplificazione della biodiversità con la trasformazione radicale degli habitat naturali.

Queste pratiche sono inevitabili, al momento, poiché i nostri numeri sono in continuo aumento. Con la medicina, inoltre, abbiamo rimosso molti agenti di mortalità e le nostre vite sono ormai molto lunghe, almeno nei paesi più avanzati. Più individui con vite più lunghe portano alla sovrapposizione delle generazioni, esercitando pressioni insopportabili sugli ecosistemi planetari.

Inoltre, il nostro livello trofico è in aumento. Invece di nutrirsi di piante, un numero crescente di umani fa affidamento sul cibo animale. Invece di coltivare piante e mangiarle, coltiviamo piante che forniamo come cibo agli animali che mangiamo. Questa è una pratica a bassa efficienza, a causa delle perdite nei vari passaggi dai livelli più bassi a quelli più alti nelle reti trofiche, come spiega la legge dei livelli trofici.

Inoltre, le regole economiche richiedono una crescita continua del capitale economico, e ciò si ottiene anche con pressioni psicologiche verso il consumo di quantità sempre maggiori di beni. Il risultato di questa pressione è l’obesità nei paesi ricchi: le persone ingeriscono più cibo di quello di cui hanno bisogno.

E se l’agricoltura non fosse sufficiente, gli umani hanno anche inventato nuovi modi di produzione di beni e servizi utilizzando combustibili fossili e sostanze chimiche tossiche. La rivoluzione industriale ha avuto enormi vantaggi a breve termine ma, a lungo termine, si paga con un ulteriore deterioramento del capitale naturale.

L’aumento della popolazione umana, sostenuto da una sempre maggiore efficienza nel modo in cui estraiamo beni dalla natura e sconfiggiamo le malattie, sta compromettendo gli ecosistemi globali.

In questo caso, non è solo la lotta di una specie contro altre specie concorrenti, ma la lotta di una specie (Homo sapiens) contro il resto della natura. Il tasso di evoluzione biologica del resto della natura, tuttavia, è sfasato rispetto al tasso della nostra evoluzione tecnologica. Stiamo correndo troppo in fretta e la risposta della natura, come previsto dalla legge sull’escalation, apparentemente non è così veloce.

Quando una risorsa diventa rara (ad esempio una preda) il predatore dovrebbe diminuire di numero. Ma se aumenta l’efficienza del predatore, la sua pressione sulla popolazione della preda potrebbe portare all’estinzione della preda.

Questo è ciò che stiamo facendo agli ecosistemi planetari. Oggi siamo un meta-predatore che ha il resto della natura come sua preda. La nostra popolazione cresce a spese della nostra preda, con una lotta tra la natura e noi.

In una lotta tra la natura e noi chi vincerà?

 La risposta a questa domanda è ovvia: la natura. Non possiamo sopravvivere senza il resto della natura e siamo il risultato di processi evolutivi basati su questa organizzazione della natura. Se la semplifichiamo troppo, allora erodiamo le premesse per la nostra sopravvivenza.

Conservare la natura, quindi, è una questione cruciale. Non nell’interesse della natura, ma nel nostro interesse. La natura può far fronte alle catastrofi. La paleontologia mostra che una serie di estinzioni di massa ha segnato la storia della vita. Ogni volta, gli organismi prevalenti si estinguevano o si riducevano drasticamente e nuovi organismi si evolvevano e diventavano dominanti. Quando questi divennero troppo “pesanti” per gli ecosistemi, fu il loro turno di estinguersi o di essere ridotti drasticamente di numero, lasciando così spazio a ulteriori prodotti dell’evoluzione.

Il successo di una specie, nota anche come “fitness“, è misurata dalla sua biomassa, il risultato dell’obbedienza alla legge della crescita. Maggiore è la biomassa, maggiore è il successo, ma anche maggiore è la pressione delle specie di successo sul resto della natura. Pertanto, il grande successo espone le specie a grandi rischi di fallimento a causa del collasso dei sistemi che le sostengono sotto il loro stesso peso ecologico.

Siamo la specie di maggior successo del pianeta, almeno negli ecosistemi emersi. Il nostro peso ecologico non è solo quello dei nostri corpi, ma anche quello delle specie che utilizziamo per soddisfare i nostri bisogni.

Rimane l’oceano

Sulla terra non siamo più cacciatori e raccoglitori da millenni. Tutti i prodotti biologici che utilizziamo, sia piante sia animali, provengono dall’agricoltura. Nell’oceano siamo ancora cacciatori e raccoglitori e, con la pesca, estraiamo risorse dalle popolazioni naturali. Anche in questo caso, però, i nostri progressi tecnologici stanno portando le popolazioni selvatiche verso l’estinzione commerciale. Persino l’oceano non è in grado di fornire ciò di cui abbiamo bisogno e ci stiamo rapidamente spostando dalla pesca all’acquacoltura, la controparte acquatica dell’agricoltura. Il passaggio da caccia e raccolta all’agricoltura sta avvenendo proprio ora, nei mari! Una volta fatto all’oceano ciò che abbiamo fatto alla terra, e siamo sulla buona strada per farlo, la nostra pressione sugli ecosistemi planetari raggiungerà il suo apice. Quindi non avremo più spazio e ulteriori risorse da sfruttare. L’evoluzione tecnologica ci sta sempre più aiutando a spremere risorse dalla natura, ma i limiti sono stati quasi raggiunti.

La soluzione interplanetaria  

Stephen Hawking, il famoso astrofisico, riconobbe il problema e avvertì che il tempo è limitato e che il pianeta diventerà presto troppo ostile per consentire la nostra sopravvivenza. Riconoscere il problema è il primo passo per trovare una soluzione. Hawking propose di colonizzare altri pianeti! La sua proposta è stata presa sul serio da importanti organizzazioni come la NASA e la ricerca di pianeti abitabili è diventata molto di moda. I media celebrano ogni scoperta di un nuovo esopianeta in termini entusiastici, dando l’impressione che, là fuori, ci siano molti pianeti pronti per la nostra colonizzazione! Questa soluzione è semplicemente insostenibile. Non possiamo aspettarci di trovare altri pianeti con ecosistemi che siano favorevoli alla nostra sopravvivenza e non possiamo sognare di portare con noi i componenti dell’ecosistema planetario terrestre, in modo da ricostruirli sul nuovo pianeta. Se il nostro comportamento altera questo pianeta, è probabile che faremo lo stesso con altri pianeti. C’è un solo pianeta, per noi, e dobbiamo prendercene cura. Presumendo che risolveremo il problema colonizzando altri pianeti semplicemente lo sposta, trasformando la nostra specie in un alieno nocivo!

L’interpretazione delle leggi

La nostra corsa alla crescita è un fenomeno naturale poiché la nostra specie, proprio come tutte le altre specie, tende ad aumentare di numero secondo una legge naturale: la legge della crescita. Apparentemente, questa è l’unica legge a cui gli economisti vogliono obbedire, avendone fatto una legge economica. Tuttavia, un’altra legge naturale prevede che, quando le dimensioni di una popolazione superano la capacità portante degli ecosistemi, il numero dei suoi rappresentanti viene solitamente ridotto naturalmente, a causa della mancanza di risorse: la legge del limite. Siamo una specie intelligente e dovremmo imparare a limitare la nostra crescita in modo sostenibile, senza erodere il capitale naturale che consente la nostra sopravvivenza. La legge del limite è valida anche nell’economia: le bolle finanziarie non sono altro che il risultato di una crescita eccessiva seguita da crisi che portano le condizioni a “normali”.

La legge dell’equità

Le popolazioni umane dei paesi che hanno raggiunto il benessere materiale non stanno crescendo, mentre quelle dei paesi più poveri tendono a crescere. L’età della prima riproduzione è notevolmente ritardata nei paesi ricchi, mentre nei paesi poveri le femmine si riproducono precocemente e continuano a farlo per diversi anni. Le donne con un’istruzione superiore sono meno fertili delle donne non istruite. La bomba demografica verrà disarmata quando i paesi poveri non saranno più poveri. L’equità è il segreto per sopravvivere. È anche essenziale che i paesi ricchi condividano il loro benessere con il resto del mondo, altrimenti la pressione demografica dei paesi poveri comprometterà il funzionamento degli ecosistemi globali. Questa non è una decisione generosa dei paesi ricchi, è semplicemente una decisione necessaria, che sarà vantaggiosa anche per loro.

La cooperazione tra individui, in una specie sociale come la nostra, dovrebbe essere la norma. Per noi, tuttavia, la solidarietà è frammentata a livello dei vari paesi e culture, in competizione perenne gli uni con gli altri. La globalizzazione, tuttavia, impone che la solidarietà diventi globale.

Evitare le conseguenze

Le conseguenze della continua crescita della popolazione umana e della sua crescita economica saranno semplicemente disastrose, poiché stiamo iniziando a sperimentare il cambiamento globale. Porzioni crescenti della popolazione umana si sposteranno in posti migliori, dove si aspettano migliori possibilità di sopravvivenza. Queste migrazioni non possono essere fermate e potrebbero persino portare a guerre globali, contro l’interesse di tutti i paesi.

È necessaria una cultura diversa per evitare queste conseguenze. Dobbiamo interpretare meglio le leggi della natura e tutti gli umani devono rendersi conto che solo la cooperazione ci potrà salvare. La tecnologia deve aiutarci a produrre energia senza bruciare carburanti di alcun tipo e dovremo produrre cibo in modo compatibile per la sopravvivenza dei sistemi naturali. Ma questo avrà un significato solo se la nostra popolazione smetterà di crescere e inizierà consumare consapevolmente.

I paesi ricchi non hanno implementato alcuna misura per limitare la crescita della popolazione e, paradossalmente, i loro governi sono preoccupati a causa della mancanza di produzione di nuovi individui. Non possiamo imporre il controllo delle nascite ai paesi poveri. Dovranno raggiungere il nostro stesso livello di benessere o, meglio, il nostro benessere dovrà soddisfare il loro “cattivo stile di vita” in termini di consumo di risorse. L’obesità deve essere eradicata, proprio come la fame, poiché entrambe sono semplicemente sbagliate. Se tutti gli umani passeranno a una dieta prevalentemente carnivora, il pianeta non ci sosterrà a lungo. Idealmente, i paesi maggiori consumatori di carne dovrebbero ridurre la presenza di animali nelle loro diete, consentendo un maggiore apporto di proteine ​​animali ai paesi che aspirano a elevare la loro posizione trofica.

Il nuovo patto

Alcuni paesi hanno già riconosciuto la centralità della natura nelle loro Costituzioni. Ciò, tuttavia, deve innescare un ruolo predominante dei fatti naturali nella costruzione della cultura nei nuovi individui. Questa costruzione si svolge nel sistema scolastico, dall’istruzione primaria all’università. I politici e i responsabili delle decisioni attualmente in carica seguono ancora l’imperativo economico ed ecologico della crescita e ignorano le sue conseguenze ecologiche ed economiche. Marx, individuando le ricorrenti crisi del sistema capitalistico, ha riconosciuto i limiti della crescita e ha previsto gli arresti anomali dopo le crescite prorompenti (le ricorrenti crisi del sistema capitalista), proprio come predetto, in altro contesto, da Malthus e da Darwin prima di lui. L’applicazione del sistema alternativo proposto da Marx, per far fronte a alle crisi capitalistiche, non ha prodotto risultati soddisfacenti e dobbiamo inventarne uno nuovo, basato su principi condivisi, in teoria, da quasi tutte le ideologie religiose e politiche: equità e prosperità. Il problema di questo atteggiamento risiede nell’obiettivo di raggiungere questo risultato nel proprio paese, a spese di altri paesi: Donald Trump ha vinto le elezioni con lo slogan America First. L’inno nazionale tedesco è Deutschland über alles.

Il problema è globale e richiede un approccio globale: un accordo planetario.

Immagina la conversione ecologica

La scienza è l’unico modo di conoscere disponibile per l’uomo. L’obiettivo della scienza è identificare l’ignoranza e ridurla con l’osservazione e la sperimentazione. La religione è un modo alternativo di conoscere, basato sulla fede in un essere superiore che governa tutti gli eventi. Scienza e religione si sono contrapposte per secoli. Nel 2015, per la prima volta nella storia, un’autorità religiosa ha prodotto un documento ufficiale che riconosce ambiti di autorità alla scienza. Jorge Bergoglio (Papa Francesco) ha pubblicato l’enciclica Laudato si’, chiedendo a tutti gli umani di convertirsi all’ecologia: conversione ecologica.

I principi contenuti in questo documento derivano da studi ecologici: “biodiversità” ed “ecosistema” sono parole ricorrenti in esso, e Bergoglio denuncia la disuguaglianza che colpisce molti paesi.

La scienza produce conoscenza e la mette a disposizione dell’umanità. I responsabili politici, le persone che emanano leggi, dovrebbero usare questa conoscenza con saggezza.

I tempi in cui ogni paese ha sviluppato le proprie politiche e leggi, spesso in contrasto con le politiche e le leggi di altri paesi, sono finiti. La globalizzazione richiede una politica globale. L’elaborazione di questa politica è l’unica grande sfida per la nostra specie. Se non capiremo che questo è il problema numero uno e che non c’è problema numero due, la Natura farà il suo corso e la nostra specie svanirà, come è successo a tutti i precedenti dominatori del pianeta Terra.

Conclusione

Ho iniziato a scrivere questo contributo con l’obiettivo di dimostrare che il paradigma della crescita illimitata (sia economica o demografica, o entrambe) è contro le leggi della natura, poiché i sistemi naturali che ci sostengono sono limitati e c’è, quindi, un limite ad ogni crescita. Quando ho cercato di rispondere alla domanda: “quali sono le leggi della natura?”, tuttavia, ho dovuto ammettere, con una certa sorpresa, che mi sbagliavo.

Riconsideriamo, con molta attenzione, le leggi della natura.

La prima legge della natura che si applica al nostro caso è che ogni specie tende ad aumentare la sua consistenza numerica e, di fatto, misuriamo il successo biologico con il numero di esemplari prodotti: l’idoneità o fitness. Stiamo obbedendo attentamente a questa legge. È anche a quella della Bibbia: “sii fecondo, moltiplicati e riempi la terra!”

La legge che dice che tutte le specie tendono ad aumentare è comunque legata ad un’altra legge, quella del limite: anche se tutte tendono ad aumentare, non tutte possono farlo. La spiegazione è semplice: il mondo non potrebbe contenerle tutte se tutte lo facessero. La seconda legge della natura corregge la prima legge: esiste un limite alla crescita: la capacità portante.

Da qui la lotta per l’esistenza: le specie competono per l’accesso a risorse limitate.

La storia della vita mostra che le specie “vincenti” hanno un grande successo ma poi, di solito, si estinguono e lasciano il palco ad altre specie. La grande abbondanza di una specie erode le risorse che la sostengono fino al collasso. In questa fase, altre specie prendono il suo posto. L’alternativa consiste nel cessare di crescere e rimanere sotto il limite: la sostenibilità.

Non vi è alcuna contraddizione tra la legge della crescita e quella del conseguente crollo, se la crescita si ferma prima che sia troppo tardi. L’evoluzione per selezione naturale implica anche il turnover delle specie, proprio come accade per gli individui: le specie nascono, crescono e infine muoiono, a volte generando altre specie.

Le specie non si curano delle altre specie. Si “preoccupano” solo di se stesse, ma solo a breve termine. Non è male che un predatore uccida tutte le prede e poi si estingua. Finché ci sono prede, le uccide e le mangia. Poi si estingue.

Abbiamo evoluto la tecnologia, un prodotto biologico, dato che siamo entità biologiche, volto ad aumentare la nostra efficienza nell’estrazione di risorse. Se la “preda” diminuisce, inventiamo nuovi modi per trovarla. Le popolazioni naturali si estinguono? E inventiamo l’agricoltura e l’allevamento: aumentiamo di numero grazie alla nostra intelligenza, ma erodiamo sempre più il capitale naturale. Nel fare ciò, obbediamo alla natura, proprio come tutte le altre specie, a cui non interessano le conseguenze del loro successo. Alcuni economisti influenti affermano che non dovremmo preoccuparci a lungo termine: entro un secolo saremo tutti morti! Pensavo fossero pazzi ma, invece, obbedivano a una legge naturale. Agli economisti non interessa l’erosione del capitale naturale così come i leoni non si preoccupano dell’erosione di zebre e gnu.

E quindi, va tutto bene? Sì! Se non saremo in grado di fermarci, la conseguenza sarà la nostra scomparsa, causata dal nostro successo. Come è già accaduto per le specie che, in passato, si sono alternate sul palcoscenico del pianeta vivente.

Abbiamo un’alternativa? Certo: dobbiamo disobbedire alla legge naturale della crescita, e dobbiamo obbedire alla legge del limite. Per evitare ciò che la natura impone: le specie di successo possono limitare il loro successo o scomparire. Dobbiamo contrastare la naturale tendenza ad aumentare l’efficienza della nostra crescita numerica.

L’Italia mostra la via: ha smesso di crescere. Il motivo non è legato alla mancanza di posti di lavoro e sicurezza. I paesi in cui la crescita demografica è molto grande non ci sono posti di lavoro e la sicurezza non c’è. Abbiamo raggiunto il benessere e abbiamo promosso un’istruzione superiore per le donne. Questo è il modo di andare contro natura. Le donne si rifiutano di essere produttori seriali di nuovi esemplari, come la natura impone: ne producono di meno.

Estendere il benessere e l’istruzione alle donne all’intera popolazione mondiale è la nostra via d’uscita, verso la moderazione demografica. Per un po’ gli anziani supereranno i giovani in numero, ma poi le cose torneranno alla normalità.

Per rimanere sul palcoscenico della natura, dobbiamo capire come funziona e quali sono le leggi che sono più convenienti per noi, adattandoci ad esse. Abbiamo le risorse per farlo: siamo sociali e intelligenti. Possiamo farlo. Se, invece, obbediremo pienamente alle leggi naturali, proprio come tutti gli altri animali, finiremo come tanti personaggi principali del passato. Le mille e mille popolazioni animali che sono estinte per esaurimento delle risorse!

Abbiamo la possibilità di determinare il nostro destino, un privilegio che nessun’altra specie ha mai avuto. La scienza ci dice che la sostenibilità è l’unico modo per contrastare la nostra estinzione, e siamo già il primo predatore preoccupato per lo stato della sua preda: il resto della natura. Abbiamo le risorse per risolvere il paradosso della sopravvivenza, fermando la crescita prima che il limite venga superato in modo irreversibile: siamo sia sociali che intelligenti. Possiamo farlo. E se non lo faremo … nessun problema. Sicuramente non condurremo la natura all’estinzione.

 

Post scriptum

 

La pandemia ci sta dando una sonorissima lezione. Saremo in grado di capirla?

 
 

Bibliografia

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 [i1]il concetto di

 [i2]che è fornito in ultima analisi dalla

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