Mi confidò che mi aveva creduto un rigido marxista, sennonché aveva dovuto ricredersi, così come da parte mia scoprivo la sua onestà politica permeata di salda fede cristiana e le sue grandi aperture sociali. Superate quindi le reciproche riserve, aveva luogo tra noi lo scambio di versetti innocentemente satirici, che qui occuperebbero troppo spazio, ma dei quali posso almeno citare qualche stralcio. Ecco come Donato lancia frecciatine sulle presunte attenzioni di due colleghe nei miei riguardi:
Quando torna Giovannino
con gli occhiali sul nasino
le due fate attente e pronte
gli dan baci sulla fronte.
Lora asciuga il suo sudore
e lo guarda con amore;
Delia gli offre un Coca-Cola
ed il bimbo grida:”Ancola!”
ecc. Con cattiveria Donato Moro
In quel periodo alloggiavo in Albergo, mentre Donato fruiva di ben diversa sistemazione. Di qui le mie punture:
… Ride lieto il buon Donato
per la pacchia che ha trovato,
ride forte quel furbone
ché non paga la pigione.
Oh che gaudio, oh che contento
abitare in un convento! ecc.
Alla notizia che egli era di nuovo in lista nelle Amministrative, ecco il mio bonario attacco:
Idealmente candido vestito
è in lista Donato pel partito.
Ma qual partito? voi mi chiederete.
Guardatelo ben bene e lo saprete:
lesto di mano e pronto nei bocconi.
E’ il partito d.c. dei forchettoni.
In quel Concorso magistrale ci si trovava spesso a discutere su elaborati che contrapponevano un tipo di scuola attiva ad un tipo superato di scuola, non di rado definita “scuola del sedere”, fra le conseguenti nostre risate omeriche. Accadeva nello stesso tempo che Donato avesse impegni d’altra
natura, prevalentemente umanitari, e pertanto affidasse alla collega di filosofia, sua ottima amica, Renata Gradi senese, la revisione dei lavori scritti.
Ne vennero fuori questi miei versetti:
… non solo gli animali,
bensì anche gli ospedali
sono in cura di Donato,
mane e sera indaffarato.
Sicché lascia alla Renata
la fatica molto ingrata
di correggere e vedere
questa scuola del sedere,
mentre lui la scuola attiva
rende sua e l’iniziativa.
E con pubbliche ragioni
non consuma i pantaloni.
Quasi alla fine dei nostri lavori a Foggia, mi dedicò questi affettuosi ironici versi:
Giovanni ha messo già pelo azzurrino
e zoccoli di feltro come l’aria
al tramonto. Si prepara all’estate
leggero e chiaro come un serafino.
Di quando in quando mi leggeva qualche sua poesia per sentire il mio modesto parere. Delle mie
ne conosceva alcune sparse in riviste. Né l’uno né l’altro le avevamo ancora raccolte in libro. Uscì prima il mio Segni del diluvio presso Lacaita nel 1981; dopo molti anni (1993) il suo Segni nostri, sempre da Lacaita. Mi sembra non improbabile che il titolo, magari a livello subconscio, richiami il mio, ma in senso rovesciato. Cioè, mentre in molte pagine avevo presentato il degrado morale del nostro Paese fra crescita industriale e mercificazione, Donato aveva ripreso i temi a lui cari di una umile quotidianità legata ai valori della nostra cultura contadina.
Dopo l’esperienza foggiana, un 29 giugno, giorno dei Santi Pietro e Paolo, mi spinsi a Galatina con un gruppetto di amici per vedere le tarantolate. Naturalmente ci fu vietato l’ingresso nella chiesetta dove si svolgeva il magico rito. Ricorsi allora alla gentile e autorevole presenza dell’amico
Donato. Entrammo con lui e per breve tempo fummo immersi nella ridda dei suoni e delle danze o meglio contorsioni delle “pizzicate dal ragno”. Allorché infine qualcuna si accorse di noi estranei, saltò su insieme alle altre in atto aggressivo costringendoci a precipitosa fuga.
D’estate mia moglie ed io andavamo qualche volta a Santa Maria al Bagno a trovare Donato e la sua Maria, profuga fiumana, nella loro residenza marina. Portavamo con noi il terzogenito Marco ancora bambino, ma già amante degli animali, in specie dei gatti. E gatti c’erano in casa Moro, sicché era una festa fra padroni, animali e Marco. A tal proposito non guasta, credo, una mia descrizione scherzosa:
…… dei suoi gatti
ci racconta i grandi fatti,
ci racconta le prodezze
con le lor mille carezze:
chi gli lecca il bel piedino
chiuso in piccolo scarpino,
chi gli salta sulla spalla
ed aprendo vasta falla
nella giacca del padrone
si trastulla col testone.
Ha deciso indi Donato,
dopo aver ben cogitato,
con impulso assai sociale
di far sì ch’ogni animale
o randagio o minorato
in convento sia alloggiato…
Non ho discorso delle opere di storico, filologo, poeta quale fu Donato Moro, che altri hanno egregiamente illustrato. Ho voluto soltanto ricordare l’amico carissimo con una testimonianza giocosa e inedita, seppure tardiva. Ed ora che la vecchiaia m’incalza ogni giorno di più, Egli si riaffaccia alla memoria con la sua esemplare umanità sorretta da una fede priva d’ipocrisie e con la sonora risata che alleggeriva il nostro lavoro foggiano.
(2015)