Ora, noi non abbiamo nulla da eccepire alle scelte dell’Amministrazione cavallinese, il cui operato ci interessa qui solo incidentalmente, ma non possiamo fare a meno di notare che il libro di cui discorriamo tradisce l’intento, presentato nel titolo, di portar luce su questo paesino investito dalla modernizzazione, per rivelarsi come una pubblicazione tutta tesa ad esaltare l’operato dell’Amministrazione locale che, insieme con la parrocchia (vedi le pp. 93-94), appare “sempre più proattiva e impegnata nel sociale…” (p. 98). D’accordo con questa tesi anche Davide Borrelli, Il comune da inventare. Il Mezzogiorno alla prova della seconda modernità (pp. 49-58), che già qualche pagina prima aveva affermato: “l’innovazione perseguita dall’alto per iniziativa dell’amministrazione sta avendo indubbiamente successo…” (p. 57). Chi invece sembra nutrire qualche debole dubbio in proposito è Emiliano Bevilacqua, Contraddizioni dello sviluppo locale (pp. 59-74), che si limita a constatare come “le recenti politiche del Comune di Cavallino appaiono in contraddizione con un tessuto sociale fragile nel profilo dell’istruzione e dell’economia” (p. 70) e invita a “riflettere sulle possibilità attuali di processi di modernizzazione dall’alto” (p. 71), senza peraltro farlo lui stesso, ma finendo col concludere, con grande prudenza, che il “caso di Cavallino potrebbe essere… indagato come un’esemplificazione auspicabilmente positiva di un complesso di scelte istituzionali, prevalentemente politiche, capace di porre le aree del nostro paese in grado di cogliere, contrariamente al passato, le implicazioni virtuose dei cicli di sviluppo globale che si prospettano per gli anni a venire” (p. 71). Quando leggo dei giri di parole, non so come, qualche conto non mi torna. E allora, mi chiedo: che cosa manca, in definitiva, in questo “studio di comunità”, come lo definisce Mario Morcellini nella Prefazione (p. 8)? Ebbene, manca proprio la comunità, che i ricercatori tentano di coinvolgere in mille modi (con interviste, sondaggi, ecc.), anche con un mockumentary, ossia un documentario finto di dubbio gusto, col quale si possono ben “disorientare” (p. 107) i cavallinesi, ridotti a spettatori, “persone semplici” (p. 112), che “ignorano finalità e risultati” del progetto (p. 111), come dice senza alcuna reticenza Francesco Giannico, Se il mockumentary arriva a Cavallino (pp. 107-116). La comunità è assente perché di essa si vuol fare qualcosa di speciale, come ci dice Sarah Siciliano nel saggio citato: “… diventa importante comunicare la cultura del luogo, che parte da una profonda conoscenza degli spettatori che ogni giorno lo vivono”; cosicché il fine è di “far diventare il cavallinese turista nella propria città, mostrandogli ciò che il primo sguardo distratto non fa vedere” (p. 100). Insomma, l’abitante del luogo, dal punto di vista della scienza della comunicazione, che qui svolge una ricerca sociale, diventa un semplice “spettatore”, più o meno come lo spettatore televisivo, e tutt’al più ad esso si concede il privilegio di essere turista in casa propria. Complimenti a chi coltiva questo moderno, modernissimo concetto di comunità! Italo Calvino de Le città invisibili, le cui citazioni accompagnano tutti i saggi qui raccolti, credo proprio che avrebbe avuto qualcosa da ridire! In realtà, qui non è assente solo la comunità di Cavallino, che talvolta fa capolino in forme viete e stereotipe (si legga Mihaela Gravila, Polifonie di comunità. Verso la costruzione di una memoria collettiva, pp. 117-141), ma è assente del tutto il pensiero critico, ed a ragione, poiché ben altro è lo scopo del libro: giustificare il buon operato dell’Amministrazione comunale e delle scelte di politica culturale fatte altrove. I problemi veri delle persone, la condizione dei giovani e degli anziani, il problema dell’impatto ambientale della discarica, di cui si occupa en passant il già citato Davide Borrelli a p. 56, il vero stato della cultura dei cavallinesi, la qualità della loro vita comunitaria, bene, questi discorsi esulano completamente da un libro che aveva promesso sin nel titolo una disamina del tessuto sociale di Cavallino.
Relegato in fondo al volumetto, il saggio di Luca Carbone, I paradisi quotidiani (pp. 143-163), illustrato da 18 fotografie (17 sono di Angela Serafino ed una dello stesso Carbone), sembra volersi sottrarre alla retorica delle magnifiche sorti e progressive che impronta di sé la ricerca degli altri colleghi. Carbone ritiene che il paradigma della globalizzazione riguardi “aree dominanti ma circoscritte, del pianeta” e che sia possibile, dunque, “un approccio non metropolitano” (p. 145) alla ricerca. In primo piano assurgono i dettagli, una cassetta di basilico, una veranda o un balcone invasi dalle piante ornamentali, ficus benjamin, gerani, ecc.; e poi ancora i giardini delle case cavallinesi, anche quelli abbandonati, “quisquilie” dalle mille implicazioni culturali in grado di riattivare i processi fecondi della memoria collettiva e dare il senso del vissuto autentico di chi in questi luoghi ha abitato e continua a farlo, magari rinchiuso nella propria casa, sordo ai richiami di una grandeur di cui non capisce il senso. Quei dettagli in realtà sono i soli a rivelare “la nostra identità nascosta”, che resta sepolta sotto ricerche che, quanto più ostentano una compassata erudizione, tanto meno si dimostrano capaci di leggere la reale vita degli uomini (si legga Manuela Dell’Anna e Giancarlo Nicolaci, Il futuro possibile: responsabilità sociale e sviluppo sostenibile, pp. 75-90, che di tutto parlano tranne che di Cavallino).
Alla fine, un libro che ci aveva tenuto lontano dai luoghi realmente frequentati dalle persone, ci riporta ad una dimensione quotidiana, vissuta, fin troppo familiare a chi è nato in questi paesi, una dimensione da cui mai si dovrebbe discostare la ricerca sociale, se vuol tenere fede al suo compito, che non è certo quello di farsi portavoce e megafono di una politica culturale preconfezionata, ma di analizzare le condizioni di vita dei cittadini e, se possibile, fare delle proposte per migliorarle.
[Paesi e politiche culturali (recensione a Un paese da sfogliare. Cavallino di Lecce alla luce della ricerca sociale, Franco Angeli, Milano 2008), “Il Galatino” di venerdì 15 maggio 2009; poi col titolo Un paese da sfogliare ne “Il Paese Nuovo” di martedì 30 giugno 2009, p. 7. ]
Ora che l’onorevole Gorgoni ci ha lasciato è il momento di valutare l’impatto che la sua opera ha prodotto sulla comunità di Cavallino. Ricordo che prima di lui sull’area archeologica era stato approvato un progetto di lottizzazione che avrebbe completamente cementificato un insediamento messapico di età arcaica, come purtroppo sta succedendo in troppi siti archeologici del Salento, senza che nessuno intervenga (ora c’è il Museo Diffuso); che il Convento dei Domenicani era cadente e che la Galleria del Castello Castromediano, con i suoi affreschi e le sculture del Seicento era invasa dai piccioni e rischiava di crollare. Tocca ora agli abitanti di Cavallino cogliere le opportunità che l’impegno culturale di Gaetano Gorgoni ha prodotto e, magari, continuare a lavorare con l’Amministrazione Comunale per tutto quello che ancora c’è da fare.