Noterella dannunziana

di Giovanni Bernardini


Pescara, Via Gabriele D’Annunzio nel primo Novecento.

Sono nato a Pescara, nella città vecchia, quella contrassegnata con P.N. (Porta Nuova) per distinguerla da Pescara Centrale, una volta Castellammare Adriatico. Durante il regime fascista le due città, una sulla sponda sud, l’altra su quella nord del fiume Pescara, furono unificate eliminando il nome Castellammare.

La vecchia Pescara, prima dell’unificazione, era un grosso paese nel quale quasi tutti si conoscevano. E tale situazione è durata per qualche tempo anche dopo, tanto che l’ho sperimentata io stesso da ragazzo e da giovane nei non lunghi periodi che vi ho vissuto. E’ sopra tutto alla famiglia materna a cui devo riferirmi per sottolineare l’amicizia esistente con le famiglie di Gabriele d’Annunzio e di Ennio Flaiano. Personalmente non ho conosciuto né il Vate (che non amo molto) né l’irresistibile scrittore satirico. Naturalmente ho visitato più d’una volta casa d’Annunzio quando custode e guida era ancora “la fedele Marietta”, la vecchia domestica così appellata affettuosamente dal Poeta. Di Flaiano ricordo un negozio di moda tenuto dalla sorella Rosina, dove si entrava frequentemente con mia madre, magari solo per fare due chiacchiere.

Ad ogni modo questi rimangono aspetti marginali a confronto di quel vincolo saldissimo che legò mio nonno Enrico Seccia a d’Annunzio, tanto che l’adolescente allievo del “Cicognini”, pubblicando il Primo Vere, dedicò la poesia Palude a mio nonno, dedica riportata in tutte le edizioni. Non manca, in copertina, la dedica manoscritta molto sbiadita: “Al mio Enrico”.

Altre dediche autografe compaiono su altre opere dannunziane, scampate alla bufera bellica abbattutasi sulla città e sulla nostra abitazione. Ne citerò almeno una, nel Trionfo della Morte, a grandi caratteri, inchiostro nero, leggibilissima: “A Enrico Seccia / cuore fedele / il suo Gabriele / Giugno 1894”.

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