Ma perché tutte queste iscrizioni di una lingua balcanica si concentrano nel Salento? I Messapi avevano infatti raggiunto un notevole sviluppo culturale ed una autonomia politica, mentre nei territori dell’attuale Albania le colonie greche della costa imposero alle popolazioni illiriche, lingua e cultura greca, impedendo di fatto l’emergere di una scrittura indigena. Perciò il Corpus epigrafico messapico offre una occasione unica di indagare la lingua degli Illiri. Come dimostra il recente documentario girato e messo in onda in questi giorni dalla TV albanese: (https://www.youtube.com/watch?v=9absSZJmCAo) in Albania c’è un forte e diffuso interesse a conoscere meglio la nostra antica lingua, che serve ad illuminare le più antiche vicende della loro identità culturale.
Una lingua piena di fascino, che le iscrizioni continuano a restituire; essendo indoeuropea, ricorda anche il latino, ad esempio nei nomi maschili che, al genitivo, terminano con una i lunga: il genitivo di Dazimos (nome messapico per eccellenza insieme a Dazos) fa Dazimaihi, in cui la ripetizione della i indica il suo valore di lunga come nel latino Caius, genitivo Caii. I nomi maschili erano molto vari: Artas, Artames, Dazos, Taotor, Avites, Plator; quelli femminili Teotoridda, Dastidda, Hipaka, Hopakoas; figlia si diceva bilia, come nel latino filia.
Alcune iscrizioni rivelano una funzione pubblica e dovevano essere collocate nei luoghi in cui le comunità, organizzate su base tribale, si riunivano. I glottologi hanno permesso di decifrare la formula posta all’inizio di questi decreti in cui era scritto Klaohi Zis (Ascolta, o Zeus), una invocazione al padre degli dei che dobbiamo immaginare in atteggiamento minaccioso nell’atto di scagliare il fulmine, come nella statua in bronzo, capolavoro di uno scultore tarentino del VI sec. a.C. rinvenuta ad Ugento, una delle nostre antiche capitali.
Davanti alle porte delle città i Messapi collocavano dei cippi di pietra; sopra era inciso un nome al genitivo, seguito dalla sequenza no; per un profano di scritture antiche appare curioso che i glottologi abbiano potuto decifrare le due lettere e riconoscerle come la prima persona del presente in messapico. Quindi per dire “io sono” i Messapi dicevano semplicemente: no. Non sappiamo come si dicesse “io non sono”! Un’altra curiosità della lingua sta nella congiunzione “e” che in messapico suona anda, proprio come in inglese and! Infatti compare nelle liste di nomi delle divinità, per esempio a Castro, sopra un altare in cui è scritto Hazzava anda Matar.
Una lingua piena di piacevoli sorprese, ma la più grande fu riservata al mio collega ed amico Cosimo Pagliara, quando, l’8 agosto 1983 (gli archeologi non vanno mai in vacanza!), entrò dal mare, attraversando un cunicolo con una barchetta, nella Grotta della Poesia. Davanti ai suoi occhi si aprì, all’improvviso, la più grande ed insperata meraviglia, perché le bianche pareti di roccia apparivano coperte da centinaia di graffiti e di iscrizioni. Alcune in latino, poche in greco, tutte le altre in messapico; da quel giorno nulla poteva rimanere come prima ed una sterminata pianura si apriva per la conoscenza non solo della lingua e della civiltà del Salento, ma dell’intero Mediterraneo. La grotta della Poesia a Roca, la Cattedrale dei Messapi, era sacra ad una divinità: Taotor Andirahas, un dio protettore, legato alle potenze sotterranee degli Inferi, al quale erano dedicate le scritte con la formula ipigrave aton: “ha scritto il voto”. I Messapi non facevano un voto; lo scrivevano, ad indicare quanto per loro la lingua fosse importante.
Deve esserlo anche per noi; per questo bisogna pensare ad una “Giornata dei Messapi”, in cui Associazioni, Scuole, cittadini e Istituzioni delle tre province di Taranto, Brindisi e Lecce, prendano iniziative per diffondere la conoscenza su queste nostre preziose radici. Potrebbe essere il 20 gennaio, giorno della nascita di Sigismondo Castromediano; così ricorderemo, insieme ai Messapi, una figura che continua a proporci i più alti valori della Politica e della Cultura.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” dell’8 giugno 2020]