di Francesco D’Andria
Per comprendere il contesto della istituzione della nostra scuola bisogna ritornare agli anni settanta quando mi ero trasferito a Metaponto, per collaborare con Dinu Adamesteanu, in attesa della nomina ad ispettore archeologo. Speravo di restare con Adamesteanu in Basilicata, condividendo la sua visione ed il suo modo di considerare l’archeologia come una risorsa al servizio delle comunità, specie in quelle dell’Italia meridionale, ma in un quadro di collaborazione internazionale, con i tanti studiosi che aveva avuto la capacità di attrarre nei cantieri lucani. Dopo un brevissimo servizio presso la Soprintendenza del Molise a Campobasso, avevo dato le dimissioni. I miei studi universitari e l’inizio della mia attività si erano svolti a Milano ed in quegli anni il mio unico desiderio, di tarentino emigrato, era di tornare a lavorare al Sud: si era presentata la possibilità di entrare all’Università di Lecce come Assistente e vi ero giunto nel 1974. Pensare di dedicarsi all’archeologia nel Salento allora non era particolarmente attraente: in un suo scritto Massimo Pallottino aveva definito l’Adriatico “area depressa epistemologica”. In un volumetto stampato nel 1968 per celebrare il centenario del Museo Castromediano, avevo letto la relazione di Oronzo Parlangeli il quale esordiva in questi termini “Sinceramente, mi considero un ignorante di cose messapiche: ciò dipende soprattutto e vorrei dire, essenzialmente, dal fatto che nessuno sa nulla dei Messapi o, comunque, quel poco che noi riusciamo a sapere è così esile e scarso da assomigliare, praticamente al nulla”. Di rincalzo un verso di Vittorio Bodini a proposito dei Messapi dove “regna inturbata una solenne quiete”.