Lo stato della teoria economica e del suo insegnamento: alcune riflessioni su mainstream e dintorni
a cura di Roberto Polidori
Puoi fotografare la situazione attuale della ricerca e dell’insegnamento nell’ambito della teoria economica nell’Università italiana?
Direi che non è un periodo particolarmente fecondo di nuove idee. E’ quello che Alessandro Roncaglia, nel suo testo La ricchezza delle idee, ha definito l’età della disgregazione. La ricerca in Economia, non solo in Italia, è sempre più frammentata e specialistica, e soprattutto sempre più ‘autistica’: gli economisti tendono a dialogare esclusivamente fra loro, spesso coprendo di sofisticati tecnicismi o montagne di matematica pure banalità, tautologie o, nella migliore delle ipotesi, teorie che non “spiegano” nulla, né hanno l’ambizione di farlo.
Continua, e si accentua, l’egemonia del mainstream neoclassico-liberista – termine che uso per comodità espositiva e che, per quello che dirò successivamente, considero piuttosto ambiguo – che tende sempre più a marginalizzare la tradizione di studi marxisti, neo-ricardiani e keynesiani che sono stati prodotti dai maggiori economisti italiani nella seconda metà del Novecento: una tradizione di ricerca che ha portato all’affermazione di teorie elaborate in Università italiane nel resto del mondo (da un po’ di anni l’Italia è importatore netto di teorie economiche). Se si considera mainstream la teoria economica liberista, come si tende a fare (ed è una buona prima approssimazione), si può capire di cosa si tratta facendo riferimento innanzitutto agli studi sul funzionamento del mercato del lavoro. E’ su questo campo d’indagine che le teorie liberiste esercitano maggiormente il loro dominio; il che si potrebbe spiegare considerando che dall’analisi del funzionamento del mercato del lavoro derivano le prescrizioni di politica economica probabilmente più rilevanti: si consideri, per esempio, la legittimazione “scientifica” che è stata data, e viene data, alle misure di deregolamentazione (o precarizzazione) del lavoro. Il più diffuso manuale di Economia del Lavoro, in Italia, si basa su questo approccio, comunicando l’idea che, in assenza di interventi esterni e di “imperfezioni”, un mercato del lavoro totalmente deregolamentato produce spontaneamente pieno impiego.