di Paolo Vincenti
“Perché papà
Papà perché
Il sangue non mi va in vino
Perché papà
Papà perché
Non ho uno spirito divino”
(“Papà perché” – Zucchero)
Nel film di Aldo Giovanni e Giacomo del 2010, “La banda dei babbi natale” è un gruppo di ladri che vestiti con i costumi di Santa Claus svaligiano gli appartamenti. I più maliziosi potrebbero credere che io voglia fare una facile allusione ai babbi protagonisti delle cronache politiche e giudiziarie di questi ultimi mesi, forse ricordando la nota massima andreottiana secondo cui a pensar male si fa peccato ma quasi sempre si ha ragione. Delusi e fuoriusciti, sospettosi e malpancisti, cinici cuordipietra e scettici impenitenti, vi sbagliate. La saga dei babbi, invece, – babbo Renzi, babbo Lotti e babbo Boschi -, mi fa venire in mente la favola di Pinocchio. Solo che qui si ribalta l’opera collodiana: se nella celebre favola è babbo Geppetto che deve correre dietro al pestifero Pinocchio e finisce col ritrovarsi nei guai a causa delle intemperanze del figlio, nella saga dei babbi avviene il contrario: sono i figli, -Matteo, Luca e Maria Elena -, ragazzi seri e compunti, ad essere inguaiati dai loro birichini genitori. In particolare, babbo Renzi sembra proprio essere affezionato al suo passato da fricchettone e persino il suo look descamisado lo testimonia. Così stravagante, con quel pizzetto e il sigaro in bocca, così informale, così “personaggio”, che strano contrasto con il look compassato e regimental del figlio.