Didattica a distanza

Ci potrebbero essere, ad esempio, brevi periodi di intensa frequentazione tra docenti e discenti. Come avviene ai congressi scientifici o ai workshop. Lunghi momenti di interazione, dopo la serie di lezioni “frontali” in remoto. Prima di tutto per gli esercizi di laboratorio. La scrittura di saggi è uno strumento solido di valutazione. Non è importante che gli studenti ricordino tutto quello che viene loro impartito. Devono sapere dove cercare, e devono saper organizzare quello che trovano. Non devono sapere le cose, devono sapere che esistono e dove trovarle. Ed è quando le utilizzano che le imparano. Impariamo così a parlare, mica imparando tutte le parole a memoria, senza utilizzarle! Gli studenti universitari hanno accesso alla più grande biblioteca del mondo: quella virtuale. Se gli si insegna a cercare trovano tutto. E possono costruire meta-libri di testo senza spendere un soldo. Devono però imparare a fare le cose con le loro mani, in gruppo, e questo non si impara al computer.

Quando ho fatto le elementari c’erano i pennini e l’inchiostro nei calamai. Alle medie alcuni professori erano contrari alle biro: rovinano la mano. Oggi si scrive con le tastiere. Un tema si può svolgere producendo un filmato con il proprio telefono. I non nativi digitali spesso non capiscono queste evoluzioni, sono ancorati al passato. L’Università è luogo elettivo di ricerca scientifica innovativa, e questo la distingue dagli altri istituti di formazione. La didattica si basa sulla ricerca. Senza ricerca, le Università sono semplici esamifici. Quest’anno la didattica è diventata anche ricerca, e abbiamo dovuto inventare un modo diverso di “stare in classe”, di relazionarci con gli miei studenti. Andrà perfezionato, ma abbiamo l’occasione di utilizzare in modo efficace le moderne tecnologie. Non vedo l’ora di incontrare i miei studenti di persona, però. E di usare la lavagna e il gesso. 

[“Il Secolo XIX” del 21 maggio 2020]

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