di Ferdinando Boero
Ho tenuto un corso a distanza, a una ventina di studenti universitari giunti al termine del ciclo triennale. Ho usato la piattaforma Teams, e ha funzionato benissimo. Ho comunicato il codice di accesso e fissato l’orario. Ho caricato i materiali didattici, e, durante la lezione, ho visto gli studenti, uno per uno. Loro vedevano me e i materiali condivisi. Hanno potuto registrare la lezione, fare domande, rispondere a sollecitazioni. Quando il Ministro Boccia ha chiesto agli scienziati di produrre verità inconfutabili ho assegnato un esercizio alla classe: spiegare al Ministro come mai, nel caso del coronavirus, non fosse possibile produrre queste verità, chiarendo cosa ci possiamo attendere dalla scienza. Ho fornito gli elementi per dare una risposta e ho lasciato a loro l’incarico di assemblare le nozioni in un saggio comprensibile a chi non ha mai praticato la scienza. I primi saggi mi hanno mostrato che il compito era troppo difficile. Così ho fatto altre quattro ore di lezione per spiegare i principi epistemologici che avrebbero dovuto guidare il loro ragionare. Quattro ore extra, tanto non c’erano problemi di aule, e loro non dovevano andare da nessuna parte. Su ogni elaborato ho svolto un lavoro di redazione, evidenziando le carenze, spiegando cosa non andava, e mostrando possibili chiavi di lettura. Per qualcuno ci sono voluti otto passaggi redazionali. Alla fine, seguendo le indicazioni, tutti sono arrivati a scrivere una spiegazione comprensibile per un Ministro. Una parte della didattica, quindi, può essere telematica. Ma un computer non può sostituire le interazioni tra umani. Bisogna inventare una didattica dal vivo, a supporto di quella frontale, telematica.