Castro protostorica

Che l’acropoli castrense, per la sua straordinaria posizione a controllo di rotte marittime e di itinerari terrestri, avesse costituito un polo di attrazione sin dalle più remote fasi della preistoria, era facilmente ipotizzabile. Già nelle prime fasi della ricerca nel fondo Capanne, nello stretto corridoio della porta urbica, alcune sacche di terreno a contatto con la roccia di base avevano restituito ceramiche ad impasto scuro, riferibili all’età del Bronzo; poi era iniziato lo scavo dello straordinario riempimento che, nel II sec. a.C., i romani avevano realizzato per ampliare e rafforzare la linea delle fortificazioni, a controllo di un’area geografica strategica per la conquista dell’Oriente. In questo spazio avevano deposto ritualmente i resti del Santuario greco-messapico di Atena: in negativo si potevano così ricostruire alcune parti del luogo di culto di cui Strabone aveva vantato le notevoli ricchezze. Scherzosamente avevo definito questo scarico “messapischer Schutt”, riferendomi alla celebre Perserschutt, la colmata persiana che gli ateniesi avevano realizzato nelle fortificazioni di Temistocle dopo la distruzione dell’Acropoli nel 480 a.C. da parte dell’esercito di Serse, deponendovi i resti degli edifici e delle statue violati dai barbari.

Nel grande scarico di Castro tuttavia alcune gettate tuttavia presentavano una matrice di terreno più scuro e contenevano ceramiche di impasto chiaramente riferibili all’età del Bronzo, insieme a vasi dipinti con motivi protogeometrici del Bronzo Finale. Questi scarichi derivavano chiaramente dallo sbancamento di zone dell’acropoli relative all’abitato del secondo millennio a.C.; sono lieto che questa pubblicazione permetta ora di avviare una lettura complessiva di queste fasi cronologiche e della organizzazione insediativa dell’abitato protostorico di Castro, evidenziando una continuità di frequentazione che può risalire ben oltre, sino all’Eneolitico, all’interno di un più vasto sistema insediativo che trova nella Grotta Zinzulusa straordinarie attestazioni di culto, in particolare nel laghetto in cui furono gettati ritualmente oggetti sin dalla Preistoria e, in età messapica, anche statuette di una divinità femminile.

In questo volume Luigi Coluccia, dopo la presentazione dei dati di scavo e dei materiali, propone una lettura organica, di uno degli abitati all’interno del sistema insediativo dell’età del Bronzo che, in particolare negli ultimi decenni, ha fornito nuove attestazioni, in particolare lungo la fascia adriatica da Brindisi a Leuca; basti ricordare le straordinarie documentazioni di Roca e le recenti scoperte a Portorusso, vicino Badisco, sulla costa a sud di Otranto, ed al Canale del Rio, nei pressi di Tricase. Nei capitoli conclusivi Coluccia offre un convincente quadro di sintesi di questo contesto insediativo che ora appare evidente non solo sulla costa ma anche nell’entroterra, aprendo nuove prospettive di ricerca sui sistemi sociali e sulle dinamiche demografiche che animano queste comunità salentine del secondo millennio a.C. Comunità complesse, che praticano un’agricoltura specializzata nella produzione dell’olio, come dimostrano i magazzini con i dolî cordonati di Roca, e che sono aperte ai traffici commerciali, in una zona strategica delle rotte marittime, ed al contatto con  genti provenienti dai Balcani e dalla Grecia. Anche per questo ho apprezzato che gli autori del volume abbiamo fatto riferimento ad un sistema cronologico oggettivo sulle diverse fasi dell’età del Bronzo, evitando di utilizzare riferimenti alla “civiltà appenninica” che, a partire dalle prima formulazione, caratterizzava culture legate alla pastorizia.

Come Luigi Coluccia e Marco Merico, altri giovani di Castro e dei paesi vicini, svolgono una intensa attività nella ricerca e nella valorizzazione del patrimonio archeologico di questa parte del Salento: Amedeo Galati, Emanuele Ciullo, Andrea Carrozzo, Alessandro Rizzo, Andrea Chiuri, ed altri rappresentano oggi un reale presidio sul territorio, in difesa delle sue ricchezze di Storia e di Paesaggio. Una fattiva collaborazione tra Regione, Comune, Ministero dei Beni Culturali ed Università ha permesso, negli ultimi anni, di realizzare, negli ambienti del Castello Aragonese, il Museo in cui sono esposti i principali ritrovamenti, compresi quelli nel fondo Palombara, oggetto di questo volume (vedi il sito www.museoarcheologicocastro.it). Anche i privati hanno contribuito a questo progetto, in particolare la famiglia Lazzari,  nelle persone di Francesco e Maura, figli di Antonio, il geologo umanista, nato a Castro, al quale è intitolato il Museo; essi generosamente hanno sostenuto le attività di scavo e la creazione del sito internet dedicato al Museo, donando al Comune di Castro, insieme ai volumi della biblioteca, la collezione di reperti archeologici appartenuta al padre; Francesco Lazzari ha inoltre provveduto alla ristampa dello studio che Antonio Lazzari aveva dedicato alla Grotta Zinzulusa, i cui proventi di vendita sono destinati ai lavori di scavo.

Va crescendo così una realtà culturale che necessita di nuove strutture: gli ambienti del Museo sono ormai pieni ed i materiali provenienti dagli scavi recenti hanno bisogno di nuovi e più adeguati spazi espositivi. Bisogna pensare ad un vero Museo che permetta di raccontare la storia di Castro, con Laboratori per la gestione dei materiali di scavo, e depositi che ne permettano la reale consultazione e studio; lo scavo del santuario ha restituito inoltre quantità notevoli di resti faunistici, di semi e frutti, di legni carbonizzati, documento prezioso dei sacrifici e delle pratiche rituali.

Sono ormai maturi i tempi per la creazione a Castro di un Parco archeologico che sia un ampliamento dell’Itinerario delle mura: appare ineludibile collegare i due siti archeologici di fondo Capanne e Palombara, in un progetto di sistemazione di tutto il versante orientale, caratterizzato dai terrazzamenti con muri a secco, e dalla presenza di alberi di olivo centenari, sino allo strapiombo sul mare, in cui si apre la Grotta Palombara. Un paesaggio letterario, così come descritto da Virgilio (Eneide, III,534): “obiectae salsa spumant aspargine cautes,”(una barriera di rocce biancheggia di spume salate): il mito dello sbarco dei troiani collega Castro alla madre di tutte le storie del Mediterraneo, in un periodo contemporaneo agli abitati dell’età del Bronzo studiati in questo volume. La candidatura al Consiglio di Europa della Rotta di Enea come Itinerario Culturale alle origini della Civiltà europea, permetterà ai cinque Paesi del Mediterraneo (Turchia, Grecia, Albania, Italia e Tunisia), toccati dal mito delle navi troiane, di sviluppare relazioni culturali, alla scoperta delle radici comuni. E sarà un vantaggio non solo per Castro!

[Presentazione del volume Luigi Coluccia, Castro protostorica, in Tekmeria, Paestum 2019, presso l’Università del Salento, Lecce, 4 maggio 2019]

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