L’eros di Adamo, la voglia di uscire fuori da sé per incontrare l’altro/Altro, è appagato solo dalla visione di Eva, non dalla contemplazione del Giardino né dalla compagnia degli animali.
La Scrittura ha il pregio di utilizzare un linguaggio mitico che non significa inventato, ma capace di arrivare al cuore dell’uomo perché ne tragga i dovuti insegnamenti ed impari a discernere la storia umana con le sue falle (maltrattamento femminile, matrimoni combinati, ripudio, tutti contemplati da Lionetto nella sua trattazione) dai comandamenti religiosi, fatti per la felicità dell’uomo.
L’uomo e la donna, del resto, sono felici quando liberamente decidono di sposarsi ed orientano ogni azione all’innalzamento della dignità del coniuge, che è sempre un fine, mai un mezzo.
Il loro amore totale, indissolubile, fecondo e fedele segue il modello del legame Cristo-Chiesa (come Lionetto ricorda con Efesini 5,28-31) ed ha la stessa forza trinitaria, dal momento che il simbolo stabilizzatore dello Spirito Santo, a detta di Paul Ricoeur, genera una comunione, lontana dalla mera sommatoria tra più persone.
Non c’è spazio in questa felicità per l’adulterio che ricorre quando l’uomo assume lo stesso atteggiamento adamitico: ho un giardino dell’Eden, ho tutto e lo getto via per tracotanza.
Teologicamente occorre sottolineare che il matrimonio appartiene alla categoria dei sacramenti del servizio (insieme all’ordine), pertanto non posso ridurlo ad un affare privato, ad un sentimento circolare che appaga i coniugi nella loro dimora, ma anzi li eleva a prima comunità, al servizio delle altre, ecclesiale ed ecclesiogenetica insieme.
Lionetto, quando riporta cosa oggi il matrimonio stia attraversando, fotografa i cambiamenti sociali che investono la vita di coppia e l’individuo postmoderno. I tempi del lavoro hanno la meglio in famiglia, per cui lo stare insieme diventa una negoziazione. Il coniuge diventa funzionale all’ottimizzazione dei tempi della gestione domestica dei figli. I nostalgici tentano di trovare come giustificazione il lavoro femminile, ma non è esaustiva, dal momento che molti erano i casi di padri assenti-giustificati per lavoro nel ménage familiare.
Massimo di Forti trova che nella società contemporanea si assista ad un’eclissi del piacere, inteso come incapacità di provare gioia nell’uscita dal proprio individualismo, come spiega Lionetto, per incontrare l’altro, nella sua differenza strutturale. Le teorie gender, per esempio, trovano facile terreno di sviluppo in questo quadro sociale dal momento che l’individuo, preso dal proprio Ego, sembra innamorato solo di se stesso. Gli studi sui comportamenti adolescenziali palesano quanto detto dal momento che i giovani preferiscono restare al sicuro nelle proprie case, prediligendo il sesso virtuale all’incontro reale.
Le mancate occasioni d’incontro si ripercuotono sulla scarsa conoscenza del mondo del partner, pertanto nella condivisione di vita, quando finalmente accade, non si è pronti ad affrontare umori non brillanti derivanti da quella che l’Autore definisce sindrome premestruale o menopausale per rifarsi alle trasformazioni in cui i soggetti incorrono nel corso della propria esistenza.
Come è giusto che sia, la lettura del saggio apre alla riconsiderazione di come muoversi in uno scenario del genere, ognuno nei panni che indossa: coniuge, educatore, sacerdote, proprio per riportare il matrimonio alla sua dimensione originaria di servizio che ne rende possibile e legittima l’indissolubilità, senza lasciarlo appannaggio di un affaire privato.
Certamente occorre un’educazione teologica che non si esaurisca nei corsi prematrimoniali, ma che spieghi come vivere in famiglia la preghiera, quale sia il linguaggio dell’amore, come il servizio a cui sono chiamato attraverso il matrimonio edifichi la comunità.
Da coniuge posso sempre chiedermi se le mie azioni elevano la dignità del partner e da educatore potrei lavorare da conoscitore della psicologia dello sviluppo, consapevole che certe domande dei ragazzi non vanno evitate, che le competenze emotive meritano una trattazione, dal momento che tutte le emozioni sono lecite (ovviamente non tutti i comportamenti). Aggiungerei che conoscere la letteratura sull’attaccamento (da Bowlby ad Erikson a Winnicott) permetterebbe ai figli di oggi di essere buoni compagni di vita domani.