di Gigi Montonato
Più di una volta Mario Marti in pubbliche manifestazioni culturali ebbe a suggerire ai nostri critici letterari una maggiore e specifica attenzione ai poeti-traduttori di testi poetici in dialetto dall’italiano e da altre lingue, indicandone uno a mo’ d’esempio, Francesco Politi. Il quale, dopo l’antologia “Orfeo. Il tesoro della lirica universale” (Firenze, Sansoni, 1974, I ed. 1949), in cui è traduttore di 71 brani di 37 poeti medievali, moderni e contemporanei di 4 letterature, aveva pubblicato “Poeti del mondo in dialetto salentino” col sottotitolo significativo d’intenti e d’arte “E ccuntane puru iddi comu nui!” (Galatina, Congedo, 1996). Questa antologia comprende un centinaio di brani di 50 poeti di ogni tempo e di ogni letteratura. Prima di Politi ci sono stati altri poeti traduttori nel Salento – penso a Vittorio Pagano e ai suoi maudis – ma non in dialetto.
Me lo ricordo Politi avere entusiastici apprezzamenti per Erminio G. Caputo, per la sua straordinaria capacità poetica di ipostatizzare nella parola la sua sofferta religiosità, il suo tormento interiore. Politi di Caputo conosceva le poesie. Delle traduzioni aveva avuto modo di leggere, che io sappia, solo Il passero solitario e Il sabato del villaggio, che avevo ospitato su “Presenza” in una pagina “omaggio salentino” al poeta di Recanati nella ricorrenza del bicentenario della nascita (“Presenza”, agosto-settembre 1998). Ma non escludo che Caputo abbia fatto conoscere a Politi le sue traduzioni. Qualcosa di più preciso potrebbe dirlo Lidia, la figlia di Caputo.
Di Politi si sono poi occupati Donato Valli, Antonio Lucio Giannone e lo stesso Marti, il primo in “Storia della poesia dialettale nel Salento” (Galatina, Congedo, 2003), il secondo in “Modernità del Salento” (Galatina, Congedo, 2009) e Marti in “Francesco Politi. In memoria” (Galatina, Editrice Salentina, 2007). Tre contributi importanti.
L’incipit di questa nota, che potrebbe sembrare “fuori luogo”, si spiega con l’esigenza di entrare in una materia, la traduzione poetica dialettale, che non ha ancora una consolidata tradizione, e ci sembra opportuno nella circostanza creare un contesto.
Ora, è uscito il volume di Erminio Giulio Caputo “…lu core spitterra. Traduzioni dialettali inedite fra Leopardi e Neruda” (Lecce, Milella, 2019), a cura di Emilio Filieri e Lidia Caputo. “Presenza” ne ha parlato in una corrispondenza da Squinzano nel nr. di gennaio di quest’anno, quando il libro fu colà presentato.