di Guglielmo Forges Davanzati
La crisi sanitaria in corso dovrebbe indurre a riflettere su alcune disfunzionalità dell’economia italiana e potrebbe essere un’occasione per ripensare a fondo alle criticità delle politiche economiche messe a punto negli ultimi decenni. Ci si riferisce a una molteplicità di problemi, che rinvia alla necessità di avviare una programmazione di lungo periodo per riportare la nostra economia su un sentiero stabile di crescita. Si osservi che un sentiero stabile di crescita è anche una fondamentale pre-condizione per il buon esito delle trattative in sede europea.
La quarantena imposta dal lockdown ha evidenziato le seguenti fondamentali criticità:
- L’Italia ha un settore sanitario pubblico sottodimensionato rispetto alla media europea per numerosità di dipendenti e fortemente diversificato su scala regionale. Il contrasto alla pandemia e la fuoriuscita dalla fase 1 si è reso possibile fondamentalmente grazie al fatto che le regioni del Sud – nelle quali il settore della sanità è messo peggio – non sono state investite in modo cruciale dal contagio;
- L’Italia ha una numerosità di imprese di piccole dimensioni, poco innovative e fortemente dipendenti dal credito bancario tale da essere facilmente esposta a shock esogeni. In altri termini, gran parte delle nostre imprese stenta a riprendersi dal momento che, nei giorni di chiusura, non ha potuto giovarsi di fondi interni accumulati nei precedenti periodi di produzione e, date le aspettative pessimistiche, gran parte delle nostre imprese rinuncia a rivolgersi al settore bancario per l’erogazione di finanziamenti;
- Il carico burocratico è eccessivo e talvolta ipertrofico. La macchina amministrativa tende a muoversi con estrema lentezza e farraginosità e questo elemento, già largamente visibile in condizioni fisiologiche, diventa opprimente nelle fasi di crisi, laddove la tempistica dell’attuazione delle norme è decisiva per venirne fuori.
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