Ci sono pensieri che fino ad un certo punto restano soltanto pensieri. Ci sono parole che fino ad un certo punto restano soltanto parole.
Poi, a volte vengono tempi e circostanze e situazioni che richiedono, o pretendono, l’impegno di trasformare quei pensieri e quelle parole in processi di civiltà concreti.
Spesso è nei tempi di crisi, di smottamento delle certezze e dei significati ai quali affidiamo le nostre esistenze che succede questo. Succede quando il senso di insicurezza prende il sopravvento, quando i versi di quella poesia che dice “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie” rivelano tutta la loro – drammatica- materialità, tutta la loro esistenziale consistenza.
Ungaretti scrisse “Soldati” presso il Bosco di Courton, nel mese di luglio del 1918. Nella tragedia di una guerra che teneva l’esistenza appesa all’incognita del caso, raggomitolata nel solco di una trincea.
Per esempio. L’esperienza di questo tempo ci sta facendo apprendere, o dovrebbe farci apprendere, a distinguere fra l’apparenza e la sostanza, fra il superfluo e l’essenziale, fra quello che conta assolutamente, quello che conta relativamente, quello che non conta proprio per niente. Ci sta facendo comprendere, o dovrebbe farci comprendere, che tanti rituali ai quali siamo stati abituali, ai quali ci siamo anche affezionati, in realtà non erano – non sono- altro che manifestazioni senza un senso nel contesto della nostra esistenza. Vacui narcisismi. Risibili futilità.
Ancora per esempio. Abbiamo imparato che può accadere che non si possa andare dove si vuole, quando si vuole, con chi si vuole. Abbiamo imparato che cosa voglia dire avere paura tutti insieme. Lo abbiamo imparato per la strada, facendo la fila al supermercato, guardando la paura silenziosa sul volto di un amico, di uno sconosciuto, accorgendoci che somigliava alla nostra paura.
Abbiamo imparato da un giorno all’altro, da un’ora all’altra, che si può, che si deve, cambiare modo di fare, modo di pensare, modo di vivere, di stare con gli altri, di stare da soli, di considerare il giorno presente, quello passato e quello a venire. Forse abbiamo imparato anche a sognare diversamente. Dicono che in questi quasi due mesi sono cambiati i nostri sogni. Non si può escludere, se è vero che la realtà si intromette, o irrompe, nei sogni.
Per esempio. Abbiamo imparato a governare i desideri, a rimandare, a prorogare, ad avere pazienza, a rinunciare, a dare forme nuove o rinnovate alla memoria, ai sentimenti, ad avvertire nostalgia per cose alle quali non avevamo mai dato valore. Abbiamo imparato com’è che certe parole appartenenti ad un lessico desueto, possano ritornare prepotentemente. Quarantena è una di queste parole. (Ma mi raccontava una persona che nei giorni di quarantena ha letto un libro di poesie. Tutto intero. Per la prima volta nella sua vita, ha detto; e anche per l’ultima).
Forse abbiamo anche scoperto il valore che hanno i gesti consueti, così consueti da non farci caso.
Ognuno ha imparato qualcosa a suo modo. Abbiamo imparato qualcosa tutti insieme. Una conoscenza in comune. Forse qualche volta, nella condizione di spaesamento in cui ci siamo ritrovati, in cui ancora ci ritroviamo, non ce ne siamo resi conto. Però abbiamo imparato che esiste un senso profondo in ogni cosa, in ogni evento della natura, in ogni avvicendamento del tempo. Non è poco.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 3 maggio 2020]