Itali-e-ni 40. Mondo immondo

È vero che la presenza sul pianeta degli idioti è d’altro canto edificante per chi tale non è. Infatti l’uomo di ingegno che si specchia nel suo simile e opposto, l’idiota appunto, trae da questo confronto utile vantaggio perché impara ad essere sempre migliore evitando gli errori del grullo. Non che io mi senta un uomo di genio, però va da sé che si potrebbe scrivere un elogio degli “strulli”, come li definisce Papini, che proprio nella sua “Difesa degli imbecilli” scrive: “dappertutto li ritroviamo, anche dove non ci si aspetterebbe, e non soltanto in umili posti, subalterni e oscuri, ma nei primi e più alti. Gli imbecilli formano, si può dire, il massimo corpo dell’umanità sì che studiar l’uomo è lo stesso che definire la natura dei mediocri e degli idioti… e siccome i più sono riconoscibili a prima vista come imbecilli anche dagli intelligenti più distratti, è facile fare il conto e arrivare a una somma non troppo distante dal totale degli ospiti del pianeta”.

È chiaro che l’uomo è un impasto di fango e stelle, dunque si trovano in lui tutte le qualità migliori di questo mondo come anche le più basse turpitudini, le più viete depravazioni.

Io personalmente, non sopporto i sussiegosi, i formali, maggiordomi, sciafferri, sempre impostati sulla medesima modalità, imbalsamati, affettati, che non sai se siano davvero dei dementi oppure ti stiano prendendo per la collottola.  Questi hanno dei movimenti rigidi, ripetono meccanicamente gli stessi gesti di cortesia ogni volta che ti incontrano, mai una sbavatura, una variante in corso d’opera, una parola sconveniente, una battuta fuori dalle righe, sembrano quasi degli automi o dei pupazzi caricati a molla ai quali perciò stesso indirizzo un vaffanculo a denti stretti (a volte mi sentono, ma fanno finta di non sentirmi ). Al tempo stesso, non sopporto quelli eccessivamente confidenziali, amiconi, che svaccati sulla sedia del bar ti danno il cinque, oppure sbrindellati a spasso sul corso ti corrono incontro per salutarti e mollarti una pacca sulla spalla o un ceffone di simpatia in pieno viso. E ti chiedono dei tuoi affari, del lavoro, dei figli, come se ti conoscessero da sempre.  Sono gli allegri, i gioviali, gli apostoli dell’ecumenismo a tappe forzate, i missionari del “mal comune mezzo gaudio”, ed anch’essi diventano sovente destinatari dei miei vaffanculo. E poi, la massa dei pecoroni, il popolo bue, quegli ottusi ignoranti che non distinguono la realtà dall’apparenza, che non sanno rabberciare uno straccio di idea, cognizione, e dunque o avversano coloro che ne hanno, oppure fanno proprie quelle degli altri per seguirle come dommi. Non sopporto né quelli che mi incensano, che affermano di stimare grandemente ogni mio scritto, perché sento lontano un miglio il loro fetore di adulatori, né coloro che non mi applaudono mai, che ritengono sempre tutto sbagliato quello che dico o scrivo, perché è chiaro che sono rosi da livore nei miei confronti per non meglio chiarite ragioni. Per parte mia, detesto gli invidiosi, i maldicenti, quelli che godono dei fallimenti altrui, trovano ragione di gaudio nelle cadute degli altri; e detesto quegli infingardi che mi paradisano qualsiasi fesseria credendomi un beone, un ingenuo. Non sopporto i politici di mestiere, i fancazzisti, i meschini, gli ingrati, i quali per non ricambiarti un favore ti tolgono l’amicizia, per non doverti ringraziare di essere stati beneficati fanno finta di non vederti e alla lunga diventano i tuoi peggiori nemici. Non sopporto i nati stanchi, indolenti, taciturni, anche detti “soprammobili”, ma nemmeno i chiacchieroni, invadenti, onnipresenti, anche detti “prezzemolini di ogni minestra”. I codardi, i piacioni, i vili, i ganimedi della moda e della bella vita, i bon vivant, i moderni Don Giovanni, quelli che non se ne fanno scappare una “basta che respiri”; gli esperti di tutto, i sempre informati. Vomitevoli. Si rivoltino pure nel fango del loro schifidume. Io, per quel che mi riguarda, continuerò per la mia strada.

SETTEMBRE 2016

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