Penso di essere su di un piano dell’hotel destinato al servizio ristorante. Che il meccanismo automatico sia stato predisposto per farmi pranzare prima di recarmi in camera? Ma io non ho voglia di pranzare e decido di lamentarmi col direttore per il pessimo trattamento che mi si sta riservando. Preso da una certa stizza, faccio irruzione nella stanza del direttore, che vedo seduto dietro una grande scrivania. E’ piccolino come un cinese, anzi ha proprio una faccia orientale, gli occhi a mandorla, gli zigomi sporgenti, il sorriso stereotipo. Se ne sta lì impalato, non mi guarda e non dice niente, mentre io gli dico e gli ripeto che ho pagato per avere una camera tutta mia e non c’è nessuno che mi sappia indicare dove sia. Il direttore non dice né a né ba e così mi fa salire il sangue al cervello. Mi avvicino e lo scuoto con una mano. Mi accorgo che non è un uomo, ma un manichino. Capite, quel posto aveva per direttore un manichino! Non ne posso più, mi sento preso in giro da chi gestisce l’albergo e se ne sta dietro le quinte divertendosi a mie spese. Dal momento che il direttore è un manichino, gli do una sberla, ben sapendo di non fargli male, e quello si spezza in tre, quattro parti, che cadono per terra senza fare rumore. Di che cosa è fatto? Non è di plastica né di pezza, sembra carne priva di compattezza e incapace di opporre qualche resistenza, come la polpa molle che i macellai maneggiano prima di tagliartene delle fette. Cerco qualcuno per avere delle informazioni su quel luogo, per capire cosa ci sia dietro questo strano modo di accogliere i viaggiatori. Ma già mi viene il sospetto che tutta le persone viste prima siano nient’altro che manichini. Ritorno allora nella sala da pranzo, senza incontrare nessuno nel corridoio: vedo un omaccione pelato e nerboruto che mangia seduto e chino sul piatto, come gli altri; ma si vede bene che in piedi sarebbe alto almeno due metri e peserebbe almeno un quintale e mezzo, uno che ti potrebbe schiacciare come un moscerino. Mi avvicino e gli do un pugno in faccia. Già lo sapevo che lo avrei ridotto in pezzi, come il direttore. Non ho più dubbi, non ho più nemmeno bisogno di visitare le altre sale. Ritorno nel corridoio e, mentre cerco l’uscita, mi si parano davanti due inservienti, due belle fighe seminude che sembrano venir fuori dal un nigth a luci rosse. Le sistemo con due calci, così, giusto per avere un’ulteriore riprova di quanto avevo appreso. Alla reception chiedo la mia automobile e subito mi vengono date le chiavi, ma vedo davanti a me non più la mia auto lussuosa, ma una Mini minor piuttosto usurata. So che nel cambio sto perdendo molti soldi, ma non mi importa, faccio finta di riconoscerla come mia, pur di andar via quanto prima. Metto in moto e cerco l’uscita. Sono vicino al cancello d’uscita, ma a quel punto mi chiedo : <<Ma dove sto andando?>>. So che è necessario scrivere quello che ho visto, ma per farlo devo rimanere lì, perché fuori da quel luogo nulla avrebbe più senso. Decido di rimanere, in fondo sono io il più forte e nulla mi fa veramente paura. E sarei rimasto per sempre lì, a scrivere queste cose, se improvvisamente non mi fossi svegliato.
[1999]