In albergo

di Gianluca Virgilio

Avrei dovuto rifiutarmi di pagare il prezzo esorbitante richiesto per una notte in hotel, ma ormai avevo parcheggiato la mia lussuosa automobile davanti alla reception, e ora non mi andava di fare il taccagno mettendomi a discutere per qualche lira in più. Il receptionist sembrava contare proprio sulla mia debolezza. Del resto, come non vedere che quello era un albergo di alta classe? Guardando in alto,  lo vedevo adagiato mollemente sulle colline tra il verde del declivio, le cime dei monti più alti ed il cielo. Pago e sono dentro. Ed ecco la sorpresa: benché avessi pagato così tanto, non c’era nessuno che si degnasse di accompagnarmi nella mia camera. Era previsto che sarei giunto a destinazione grazie a un meccanismo automatico, lo stesso che mi aveva trasportato velocemente dalla hall  al corridoio interno, su cui si aprivano le porte delle camere, una delle quali, presumevo, era la mia. Pertanto, se tutto era predisposto per accogliere in quel modo l’ospite, di che cosa avrei dovuto preoccuparmi? Tuttavia, nessuno mi aveva comunicato il numero della mia stanza. Di sicuro non ve n’era bisogno, perché le porte non erano contrassegnate da alcun numero. Dovevo fare da me.

Provo ad aprirne una: eccomi in una grande sala da pranzo ben illuminata, dove decine di persone gomito a gomito come in un’affollata mensa cittadina mangiavano chine sui piatti.

Provo ad aprirne un’altra: stessa scena.

Un’altra: uguale.

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