«Dalla Regione per la Nazione»: il Salento letterario di Mario Marti

di Antonio Lucio Giannone

Riassunto

Nel presente articolo si passano in rassegna gli studi di Mario Marti sulla letteratura di area salentina, a cui ha dedicato una parte consistente della sua attività di ricerca. Si prende in esame prima la “Biblioteca Salentina di cultura”, poi diventata “Biblioteca di Scrittori Salentini”, una collezione con la quale voleva ricostruire su basi rigorosamente scientifiche la storia culturale di una regione. Successivamente si passa agli altri studi in questo campo che comprendono, fra l’altro, i maggiori poeti in dialetto e in lingua del Novecento come Nicola G. De Donno e Pietro Gatti, da un lato, e Girolamo Comi e Vittorio Bodini, dall’altro. In Appendice due lettere inedite di Mario Marti sulla “Biblioteca di Scrittori Salentini”.

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Una parte consistente dell’attività di Mario Marti è stata dedicata, com’è noto, alla cultura letteraria che si è sviluppata nel Salento nel corso dei secoli o ad opera di autori salentini che sono vissuti fuori dalla loro regione. Si può dire anzi che per almeno un quarto di secolo, se non di più, questa è stata la sua occupazione (e forse la sua preoccupazione) principale, perché anche a questo filone di ricerche che può sembrare secondario, marginale, nel suo imponente lavoro critico Marti si è dedicato con la stessa passione e lo stesso impegno con cui ha studiato i classici della letteratura italiana. Quando nasce allora questo interesse?  Ecco, si può indicare una data precisa, ufficiale, per così dire, cioè il 1977, anno in cui esce il primo volume della “Biblioteca Salentina di cultura”, una collezione da lui fondata, con la collaborazione di un comitato redazionale composto da Antonio Mangione, Gino Rizzo e Donato Valli, e edita da Milella di Lecce. Prima di quest’anno, infatti, a scorrere la sua bibliografia degli scritti[1], ci si imbatte solo in un paio di isolati (e forse occasionali) articoli: uno su Alberico Longo di Nardò, un letterato minore del Cinquecento[2], e l’altro, su Giuseppe Buttazzo, uno «sconosciuto rimatore salentino del primo Novecento», come lo definisce lo stesso Marti[3].

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