Una nuova cultura per il futuro

Prima dobbiamo uscire dall’esperienza di questo tristissimo film di cui senza volerlo in alcun modo ci ritroviamo ad essere gli attori.

Quando questo maltempo passerà e tutto tornerà  com’era prima, e del film che stiamo girando  ci resterà soltanto la memoria di un set incredulo e frastornato, allora cercheremo anche di capire quale sia il significato che ciascuno di noi attribuisce alla parola normalità, quale sia quello che gli attribuisce la nostra società, la nostra civiltà. Allora cercheremo di capire quali sono le sfumature, i riflessi del suo significato, quali sono i suoi sensi superficiali e i suoi sensi profondi, le sue sostanze e le sue apparenze, le forme con cui si manifesta e le conseguenze delle sue manifestazioni.

Adesso la speranza di tutti è quella di tornarci, per cui l’impegno dev’essere di tutti. Perché il film che stiamo girando da attori attoniti, stralunati, stupefatti, non ci piace, e vorremmo che le scene finissero presto, il più presto possibile, in modo tale da poter tornare alla normalità: a quella che ciascuno di noi intende, nel modo in cui la interpreta e la vive.

Però, quale che sia il significato che ciascuno di noi attribuisce a questa parola, quale che sia il modo in cui la interpreta e la vive, probabilmente si ritroverà a dover riformulare alcuni elementi fondamentali della propria cultura, che vuol dire della propria visione del mondo e della vita. Se non l’ha già fatto ancora, si ritroverà nelle condizioni di farlo.

Potrebbe anche essere che si ricominci dal punto in cui abbiamo lasciato, come dice Francesco Piccolo e come tutti noi speriamo; potrebbe anche ritornare tutto esattamente com’era prima. Ma cambierà il nostro modo di pensare, se non è già cambiato, di considerare il senso del futuro, del presente, finanche quello del passato, il sentimento della nostalgia, della solidarietà, dell’appartenenza, il nostro progettare, programmare, scrutare l’orizzonte che si dispiega in lontananza. Cambieranno  i codici e gli strumenti che adottiamo nei processi di interpretazione dei fenomeni e degli avvenimenti, le condizioni da cui cominciano i nostri ragionamenti e le conclusioni alle quali arriviamo.

Potrà accadere, se non è già accaduto, razionalmente o per istinto, con consapevolezza o in modo inconsapevole, con piacere o con dolore. Però accadrà. Se non è già accaduto. Per esempio accadrà che il mondo ci sembri più piccolo, quasi minuscolo, perché ci siamo resi conto, concretamente, drammaticamente, che tutto il mondo ci riguarda, che il lontano è dietro l’angolo di casa, che è dentro casa, che non esiste nulla che succeda  da qualche parte che non possa succedere dalla nostra parte.

Ci siamo accorti che il mondo è accomunato da uno stesso destino, per cui non possiamo fare a meno di pensare in modo diverso da quello in cui abbiamo pensato finora sia il mondo che le creature che lo abitano.

Forse riformulare una cultura significa sostanzialmente questo: pensare diversamente il mondo, noi stessi, l’altro da noi, dislocarsi dai territori di significato in cui ci si è orientati e ricollocarsi in territori di significati nuovi o rinnovati, trovando altri punti di riferimento, altri sistemi di orientamento.

Quando finirà il film accadrà questo. Se non è già accaduto.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 26 aprile 2020]

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