Il Celeste Policlinico. I Santi al tempo del Covid 19

Durante tutto il Medioevo viene così a costituirsi una graduale specializzazione, in cui ai vari Santi era affidata la guarigione di singole malattie, come in veri e propri reparti ospedalieri! Questi taumaturghi attirano, nelle loro chiese e santuari, pellegrini e fedeli, creando un Celeste Policlinico, unica garanzia, in tempi calamitosi, contro l’insorgere del Male.

Dalla testa ai piedi, nessuna parte del corpo è trascurata nella divisione delle competenze e, quando non sappiamo a che santo votarci, c’è sempre la possibilità di rivolgersi alla Vergine che, insieme ai santi medici, può assicurare una protezione “generalista”. Nell’ambito delle malattie riguardanti la testa ci si affida a S. Apollonia per i denti, a S. Lucia per la vista, a S. Biagio per la gola; per le malattie della pelle S. Antonio abate ci difende ovviamente dal “fuoco di S. Antonio”. Lungo è l’elenco, ma per i casi urgenti e disperati possiamo affidarci con fiducia a S. Rita da Cascia (la santa degli impossibili), oppure al martire soldato S. Espedito che, nel suo stesso nome, offre la maggiore garanzia per un intervento rapido. Infine i malati neurologici possono appellarsi a S. Claudio, vescovo di Besançon, contro la depressione e la meningite (detta anche il male di S. Claudio) e al martire spagnolo S. Firmino, celebre per la corsa dei tori di Pamplona, il quale condivide con S. Donato la protezione contro il “morbo sacro” dell’epilessia. S. Vito protegge dall’idrofobia (la rabbia) provocata dal morso degli animali e dalle malattie nervose che provocano i disturbi di carattere motorio che sono all’origine del “ballo di S. Vito”.

Contro le epidemie e le pandemie, in particolare la peste, nessuno però può eguagliare l’efficacia dei due santi Sebastiano e Rocco; il primo, martire romano del III secolo, fu sepolto a Roma lungo la via Appia, nelle catacombe che divennero centro di culto e di pellegrinaggio, e sulle quali fu costruita una Basilica monumentale; il suo culto si diffonde anche nel Salento dove egli è protettore di Racale. Capo delle guardie imperiali, si rifiutò di abiurare al Cristianesimo e per questo venne ucciso, trafitto dalle frecce. Proprio le ferite dei dardi, sparse su tutto il corpo come i bubboni della peste, fecero di lui il campione contro tutte le malattie infettive; la sua immagine ha attraversato la storia dell’arte, rappresentato dagli artisti di ogni tempo come un giovane prestante legato nudo ad un albero, e bersaglio della soldataglia romana; compare infine tra i personaggi del celebre romanzo “Fabiola” di Wiseman (1854), che diventa poi anche fonte di ispirazione per il cinema.

Ma è S. Rocco, la cui festa ricorre il 16 agosto, che sviluppa la massima efficacia nel contrastare le epidemie di ogni genere, in particolare la peste ed il colera, avendone sperimentato sul suo corpo gli effetti. Visse nel Trecento e nacque da una famiglia agiata a Montpellier, mettendosi sin da giovane al servizio dei bisognosi e recandosi quindi sino a Roma per venerare il sepolcro di Pietro; infatti è rappresentato con le vesti, il cappello e il bastone del pellegrino, caratterizzata dalla conchiglia che serviva ad attingere l’acqua durante i lunghi e pericolosi viaggi. A Roma si mise al servizio dei malati di peste sino a contrarre la malattia nel viaggio di ritorno, a Piacenza; si ritirò in quarantena in un bosco, dove venne nutrito da un cane che, ogni giorno, gli portava la pagnotta, rubata nel vicino villaggio. Una straordinaria coincidenza con una storia di questi giorni, narrata dal servizio del TG1, in cui il giovane Nazario Nesta parte dal suo paese S. Nicandro Garganico, con l’obiettivo di attraversare a piedi tutta l’Italia. Il Forrest Gump pugliese viene però bloccato dal Covid 19 in Valtellina, in un bosco nella zona di Sondrio; non si dà per vinto e inizia quella che definisce la sua “quarantenda”: con la legna raccolta costruisce una capanna, e ci resta, in attesa di poter riprendere la sua marcia.  Non sappiamo se il cibo glielo portino gli abitanti del vicino paese; gli artisti di ogni epoca invece non hanno dubbi e raffigurano S. Rocco nell’atto di indicare il pestifero bubbone formatosi sulla coscia, con accanto il cane, che reca in bocca il pezzo di pane. Le sue reliquie furono trasportate a Venezia dove la “Scuola di S. Rocco” fu sede della Confraternita che curava i malati delle epidemie, e divenne un potente centro propulsore del suo culto e anche della straordinaria diffusione della sua immagine, grazie al genio del Tintoretto. E’ uno dei santi più venerati in tutto il mondo cattolico e nel Salento fu scelto come patrono a Gagliano del Capo, Giurdignano, Leverano, che liberò dal colera nell’Ottocento, Palagiano e S. Cassiano, e l’efficacia della sua protezione si estende anche alle malattie che colpiscono le colture agricole, come la filossera. Nell’immaginario popolare i bubboni della peste e le ferite di freccia sul loro corpo sono segni dei dardi che la collera divina scaglia contro l’umanità a causa dei peccati, e che soltanto l’intercessione della Vergine e dei due Santi riesce a fermare.

Anche S. Oronzo ha protetto Lecce da numerosi pericoli e, nel 1658, anche dalla peste; bene ha fatto perciò il nostro Arcivescovo a diffondere una immaginetta con il testo di una preghiera al Santo Patrono, affinchè ci protegga da questa nuova epidemia del virus cinese.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 26 aprile 2020, p. 20]

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