Che posizione prendere rispetto alla possibilità che si facciano perforazioni nel nostro mare? Come cittadino il mio primo impulso è di dire di no. Poi penso a quel che ho scritto sopra e mi viene da dire: dipende.
In queste situazioni bisogna fare un’analisi costi-benefici. A fronte dei possibili costi che dovremo pagare, o dei rischi che dovremo correre, quali benefici sono attesi? La prima cosa che mi balza agli occhi è che le concessioni sono state date a ditte non italiane. E quindi qualcuno viene da noi, ed estrae il petrolio nel nostro territorio. Così come noi andiamo in Nigeria ad estrarre il petrolio nigeriano. Per questi signori noi siamo la Nigeria, con tutto il rispetto per un paese che ammiro. Vorrei sapere che cosa ci guadagniamo noi da queste operazioni? La regione, le province e i comuni sono tutti contrari, ma le concessioni le ha date il Ministero dell’Ambiente. A fronte di quale beneficio noi ci dobbiamo assumere questi rischi?
Queste sono le
domande che ho fatto in quell’intervista. E a queste domande devono rispondere
i nostri rappresentanti in Parlamento. Sono loro ad avere gli strumenti per
poter indagare, facendo gli interessi del loro elettorato. A questo
servono.
Poi potremo valutare se i benefici sono comparabili ai rischi che dovremmo
correre. E questi devono essere valutati molto attentamente. Per il momento non
li so quantificare. Potrebbe anche avvenire che se estraiamo il petrolio nel
nostro mare lo possiamo mandare direttamente nelle raffinerie costiere,
evitando o limitando molto l’uso delle petroliere, un mezzo di trasporto molto
rischioso. Alla fine potrebbe anche essere il male minore. Il pericolo
dell’ambientalismo del no a priori è che a volte potrebbe bloccare iniziative
che mitigherebbero gli impatti attuali, perché non compara le nuove iniziative
con quelle già esistenti. Se il petrolio dovesse sostituire il carbone che
usiamo a Cerano, magari ci sarebbero meno polveri sottili nell’aria che
respiriamo.
Non sto prendendo posizione né a favore né contro queste operazioni. Prima di
farlo vorrei conoscere la situazione in tutte le sue sfaccettature. Studiare
l’ambiente è il mio mestiere e, in decenni di attività, ho capito che
l’ambientalismo populista, pur con le migliori intenzioni, può danneggiare
gravemente la protezione dell’ambiente.
Poi c’è il problema economico, su cui mi esprimo ancora una volta come semplice cittadino. La mia impressione è che se un’azienda che fa prospezioni dice di aver trovato il petrolio e vende le azioni, il loro valore sale perché gli investitori pensano di guadagnarci. Se poi il petrolio non c’è, il valore delle azioni crolla. Ma qualcuno ci ha guadagnato (l’azienda che ha venduto le azioni). Quando ci dicono che miliardi di euro si sono “bruciati” per il crollo delle azioni, non è che esiste una fornace in cui vengono gettati gli euro degli investitori. Bruciati significa che i soldi degli investitori sono stati presi da quelli che hanno venduto loro le azioni. Nessuno “brucia” gli investimenti, passano solo da una mano a un’altra mano. Alle aziende oneste il crollo delle azioni non conviene. Ma sono tutte oneste le aziende? Se poi chi fa queste operazioni si trova in difficoltà, può anche succedere che gli stati arrivino a salvarlo. Gli investitori (tipo quelli che hanno comprato le azioni Parmalat) non li salva mai nessuno.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 27 gennaio 2012]
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Ancora buon compleanno, caro Darwin!
Il 12 febbraio ricorre il compleanno di Charles Darwin e, per un po’, chi si occupa di biologia, e non solo, ha sentito l’obbligo di celebrarlo, istituendo il Darwin Day. Un ministro della pubblica istruzione, infatti, aveva avuto la brillante idea di togliere l’evoluzione dai programmi della scuola dell’obbligo, innescando una reazione incredula e preoccupata da parte del mondo della cultura. Il provvedimento è rientrato e, quindi, possiamo tranquillamente rimettere l’Origine delle Specie nello scaffale della libreria e darne per scontato il contenuto. Così come diamo per scontata l’affermazione di Galileo riguardo alla terra che si muove attorno al sole.
Però nell’Origine delle Specie c’è anche molta ecologia, e quella non è ancora entrata nella nostra cultura. L’ecologia e l’evoluzione, che assieme fanno la storia naturale, hanno grandi lezioni da insegnarci. Tutte le specie tendono ad aumentare il numero dei loro individui, ci dice Darwin, ispirato da Malthus, ma non tutte possono farlo, perché altrimenti il pianeta non ce la farebbe a contenerle. Alcune, in determinati momenti storici, riescono a crescere e a essere presenti con numeri prodigiosi di individui, ma questi successi durano poco e le specie di grande successo vengono ricacciate indietro da altre che prendono, temporaneamente, il loro posto. I dinosauri hanno dominato il pianeta per milioni di anni e poi si sono estinti. Ora i dominatori siamo noi. Ma il nostro dominio non sarà eterno. Anzi, è proprio il dominio di una specie che ne determina la caduta. Perché col dominio, misurato dal numero di individui, la specie usa in modo intensissimo le risorse che le servono e, a un certo punto, oltre un certo limite, il sistema ambientale che la sostiene non ce la fa più a reggere il suo peso, e crolla. Crolla non significa che finisce la vita. Significa che non ci sono più le condizioni perché quella specie possa prosperare, però ci saranno le condizioni perché altre specie possano ricominciare il gioco. Le grandi estinzioni di massa del passato sono state il preludio di quello che c’è ora (inclusi noi), e quel che c’è ora ha potuto affermarsi perché chi c’era prima ha tolto il disturbo.
Questi strumenti concettuali sono più potenti di ogni altra filosofia e teoria scientifica. Identificano i limiti e ci avvertono che non possiamo pensare che il nostro benessere attuale sia eterno. Se non lo sapremo gestire bene, con intelligenza, adeguandoci alle leggi della natura e cercando di assecondarle, verremo spazzati via dal nostro successo.
Il paradigma
della crescita è un imperativo naturale. Tutte le specie tendono ad aumentare.
Fa parte del gioco. Ma fa parte del gioco che quelle che aumentano in misura
maggiore siano quelle più a rischio. Noi ci siamo fermati alla prima legge
(tutto tende ad aumentare) e ignoriamo la seconda.
Darwin ci insegna in modo magistrale questa lezione, e ancora non l’abbiamo
capita. Non ha molta importanza per la natura. Non ci sono problemi. Non siamo
tanto forti da far morire la natura, sarà lei a toglierci di mezzo se
esagereremo. E stiamo esagerando. La specie in pericolo è la nostra, e il
nostro successo nella dominazione del pianeta sarà la causa del nostro
insuccesso. Se ne stanno accorgendo persino gli economisti che, come Latouche,
scrivono libri che predicano la decrescita felice. Benvenuti tra noi. Gli
studiosi di storia naturale dicono queste cose da secoli, tacciati di essere
Cassandre da perfetti ignoranti che hanno dimenticato che Cassandra non veniva
creduta ma che le sue profezie si avveravano puntualmente. Chi chiama
“Cassandra” quelli che ci avvertono del pericolo è un ignorante (lo voglio
ripetere). Ignora le leggi della natura e ignora persino cosa ci sia dietro la
parola Cassandra.
Sono molto restìo ad abbracciare le ricorrenze, perché si fa festa un giorno e
poi si dimentica il motivo della festa fino all’anno successivo, come avviene
tristemente per lo squallido rito della festa della donna. Ma non è la prima volta
che scrivo queste cose sui limiti della crescita: le scrivo sul Quotidiano sin
da quando ho iniziato a collaborare col giornale. E altri le scrivono su altri
giornali, e su libri. Ma poi continuo a sentire una sola parola: crescita,
crescita, crescita. Sono molto preoccupato, e colgo l’occasione del Darwin Day
per ribadire la lezione di Darwin. Un grande economista (John Maynard Keynes)
scrisse (cito a memoria): è inutile preoccuparsi del lungo periodo, tanto tra
cento anni saremo tutti morti. Proprio una bella pensata! Sono passati cento
anni, lui è morto, e noi siamo sulle macerie di sistemi economici e di sistemi
ecologici in disfacimento, ma ci ostiniamo a voler crescere crescere crescere,
invece di pensare a una convivenza più educata tra noi e il pianeta che ci
ospita. Ed è ovvio che i maleducati siamo noi. Maleducati e anche un po’ scemi,
perché ci ostiniamo a non capire la lezione. Ah, Darwin ha descritto bene un
processo potentissimo: la selezione naturale. Chi non si adatta viene spazzato
via. Sembra proprio che noi non vogliamo adattarci e pensiamo di essere più
forti della natura. Su chi scommettereste, voi, in una lotta tra la nostra
specie e il resto della natura? Purtroppo, per molti la risposta è: noi! La
natura è il banco in questo gioco, e il banco vince sempre. Sempre. Le vincite
dei giocatori sono solo temporanee.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 12 febbraio 2012]
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Grandi opere, a volte utili… spesso disastri
Quando sono emigrato dalla mia Genova, nel 1987, per venire a cercare fortuna in Salento, la città era in declino. Mal tenuta, sporca, sempre bellissima ma così sciatta, trascurata. Arrivai a Lecce e c’era il restauro delle chiese barocche, le auto circolavano nel centro storico ma un sindaco saggio, con il suo assessore al traffico, le tolse. Si iniziò a raschiar via l’asfalto e a rimettere i basolati. Una grande opera di risanamento. Continuata anche dalle amministrazioni successive.
Nel frattempo, a Genova, nel 1992 ci furono le Colombiane, a festeggiare l’anniversario della scoperta dell’America da parte di un genovese che ha cambiato la storia. Grande occasione, grande investimento. Il porto antico, da sempre precluso alla città, fu liberato dalle inferriate e fu costruito l’Acquario, oggi la struttura più visitata d’Italia. Poi Genova fu capitale europea della cultura, e poi ancora diventò patrimonio Unesco dell’Umanità.
Tutto bene, allora? Proprio no. Quelle occasioni di rilancio, che hanno davvero vivificato la città, non sono state usate anche per risanare gli scempi della speculazione edilizia che ha portato a costruire nell’alveo dei torrenti, che ha riempito le colline di cemento, impermeabilizzando il terreno. Così, quando piove, si formano muri d’acqua che travolgono tutto. Il partito dei soldi, del cemento, è trasversale nel nostro paese. Non ci sono parti politiche che ne sono immuni. Ogni tanto mostra un volto virtuoso, ma il più delle volte morde e fugge via.
Hanno bloccato le Olimpiadi a Roma. Mi pare che, oltre a quello costruito negli anni sessanta, si volesse costruire un nuovo villaggio olimpico. Inutile restaurare e rimodernare quello che c’è già… ne facciamo un altro bello nuovo! Vuoi mettere? Facciamo un bel G8 alla Maddalena e poi, ma sì, facciamone anche un altro a L’Aquila. Per lo stesso G8. Mondiali di Nuoto, con piscine abbandonate dopo pochi mesi. La lista di grandi opere di questo tipo è lunghissima. Chissà perché le casse dello stato sono vuote?
Se si fa una cosa, poi si deve sapere molto bene come utilizzarla dopo l’evento, come è avvenuto per l’Acquario a Genova. Altrimenti ci sono le solite cattedrali nel deserto. L’altro giorno ho visto un filobus girare per Lecce. Era vuoto. Gira nel centro della città, ma al polo universitario di Ecotekne non arriva. Geniale.
Ogni grande opera diventa una grande abbuffata. Si vincono le gare al ribasso, poi i costi lievitano e intanto si subappalta. Un’opera che vale cento viene appaltata a 50 (così si vince la gara) poi il costo sale a 300 e si subappalta a 20. Così abbiamo qualcosa che dovrebbe valere 100 che viene a costare 300 ma quello che rimane vale 20. E’ ovvio che chi lavora debba guadagnare e quindi chi fa le grandi opere giustamente deve diventare ricco. Ma almeno che le faccia! E che servano a qualcosa. Invece qualcuno diventa ricco, si fanno opere inutili, spesso non finite, e si devasta il territorio.
L’unica, vera, grande opera necessaria nel nostro paese è la messa in sicurezza del territorio e l’adeguamento della tecnologia alla salvaguardia della salute umana e dell’ambiente naturale e culturale. E’ un’enorme opportunità di lavoro, apre all’innovazione e, se sviluppata in modo adeguato, potrebbe di nuovo portarci ad essere competitivi nel mondo.
Insegniamo a tutti come si salva il paese più bello del mondo dalla bruttezza in cui tante grandi opere lo hanno cacciato. Dobbiamo restaurare l’Italia, pezzetto per pezzetto. Riscoprendo anche le pratiche degli antichi. Conoscete Crêuza de mä, la canzone di De André? Le crêuze sono strade scoscese che hanno una parte centrale rossa, di mattoni, e due parti laterali bianche, fatte di pietre rotonde, di fiume, piantate nel terreno. Quando piove queste strade rompono l’acqua e la assorbono attraverso gli interstizi tra le pietre e i mattoni, sono drenanti. Ci vuole del lavoro per farle. Quando si rompono, ora le aggiustano col cemento o con l’asfalto. Così quando piove diventano fiumi in piena. I muri a secco, in Liguria, servono per contenere il terreno, per fare i terrazzamenti. Sono muri che sudano e respirano. Hanno smesso di ripararli a regola d’arte, alle Cinque Terre, e sappiamo come è andata.
Il partito del cemento continua la sua battaglia contro la natura e la logica, alla sola ricerca del guadagno. Ma le risorse cominciano a mancare. Il mostro cementifero si è ingoiato tutto, invocando lo sviluppo, e non si riesce a placare. Se vogliamo salvare il nostro paese lo dobbiamo fermare, innescando un altro sviluppo che metta l’uomo e l’ambiente al centro dei nostri sforzi. Per uscire da questa melma ci vuole un obiettivo, e non mi pare che ce ne siano altri, in vista: ridiamo bellezza e sicurezza al nostro paese. Lavorando sodo e inventando modi nuovi di produrre e di consumare. Di vivere.
Intanto, a Porto Miggiano, un altro tratto di costa salentina sta subendo la violazione del cemento. Il partito del cemento non conosce sazietà, non si placa mai.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 22 febbraio 2012]
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Bufale, neutrini e biologia marina
I
ricercatori devono continuamente combattere per ottenere finanziamenti per la
ricerca, soprattutto nel nostro paese. Scoperte sensazionali aiutano molto ad
attrarre l’attenzione degli enti finanziatori e “finire sui giornali e in
televisione” fornisce un supporto ineludibile quando si cerca di ottenere
fondi.
Scoprire che c’è qualcosa di più veloce della luce è senz’altro sensazionale, e
in molti si sono affannati a salire sul carro degli scopritori per condividere
la loro gloria, primo fra tutti, giustamente, il Ministero della Ricerca
Scientifica.
Ora, pare che ci fosse qualche cavo non perfettamente funzionante e che la misurazione sia stata messa in dubbio. Questi programmi di fisica nucleare sono costosissimi e assorbono buona parte dei finanziamenti dedicati alla ricerca. Eh già, non ci sono risorse infinite e se si investe in una direzione se ne trascurano altre. L’Italia, per esempio, pur avendo 8.500 chilometri di coste, non ha una decente dotazione di infrastrutture per la ricerca marina. Non ci sono soldi. Ovviamente per altre ricerche ci sono e chi li ha cerca in tutti i modi di dimostrare che si tratta di soldi spesi bene. A volte lasciandosi prendere dall’entusiasmo. Negli USA, dopo finanziamenti molto sostanziosi, alcuni progetti di fisica nucleare sono stati chiusi. I costi non portavano a risultati paragonabili rispetto agli investimenti.
Ricordo, ai tempi di Clinton, una mirabolante scoperta della NASA, l’agenzia spaziale statunitense. Avevano trovato “tracce di vita extraterrestre” in un meteorite proveniente da Marte. La notizia raggiunse le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. E Clinton, forse un po’ distratto dalle attenzioni delle stagiste, firmò un generosissimo programma spaziale per andare su Marte a cercare i marziani! Dopo un po’ qualcuno mise in dubbio la scoperta e pare che quelle “tracce” fossero dovute a “contaminazioni terrestri”. Ma oramai i soldi erano stati assegnati.
Ricordate le epidemie planetarie che avrebbero sterminato la popolazione? Febbri aviarie e altre spaventose malattie hanno portato a investimenti faraonici in vaccini e in misure di prevenzione. Poi la notizia si spense, e i morti non furono molti più di quelli causati dalle “normali” influenze stagionali.
La
spettacolarizzazione della scienza è sintomo di democrazia. I soldi destinati
alla ricerca scientifica provengono in gran parte da fondi pubblici
(soprattutto nel nostro paese) e i politici devono giustificare le loro scelte
di fronte all’opinione pubblica. Avendone un ritorno di popolarità. Sono stato
saggio a dare i soldi a questi ricercatori: guardate quali grandi scoperte
hanno fatto.
I ricercatori meno fortunati nell’ottenere le attenzioni, a questo punto, hanno
gli occhi puntati e criticano le scelte se le scoperte mirabolanti si rivelano
delle bufale.
Il messaggio è: avete sbagliato a dar soldi a loro… dateli a noi.
Come membro della comunità scientifica non mi rallegro di questa situazione. Provo molta simpatia per le vittime del proprio entusiasmo nel vantare i propri risultati. Però penso che questo gioco al rialzo, allo strombazzamento delle scoperte mirabolanti, stia creando una disaffezione nell’opinione pubblica e potrebbe portare a una diminuita fiducia nella scienza. E’ un grave errore. La scienza è l’unico modo che conosciamo per acquisire conoscenza. Gli scienziati possono sbagliare (anche se spesso le grandi scoperte si basano su errori iniziali) ma questo non significa che esistano vie alternative all’acquisizione di conoscenza. L’alternativa è l’ignoranza.
Passando dal mondo alla nostra realtà salentina, ho letto sui giornali che l’Assessore Provinciale alla Cultura sta pensando di finanziare un Museo di Arte Contemporanea. Ottima idea. Non c’è dubbio. Peccato che i finanziamenti provinciali al Museo di Biologia Marina di Porto Cesareo siano stati annullati. Arte Contemporanea sì, Biologia Marina no. I soldi non sono sufficienti e bisogna fare delle scelte. La prossima settimana, a Roma, si riuniranno centinaia di ricercatori per iniziare un progetto europeo per la creazione di reti di Aree Marine Protette in Mediterraneo e in Mar Nero. E’ l’unico progetto sul mare a coordinamento italiano nel Settimo Programma Quadro dell’Unione Europea. Il coordinatore del progetto sono proprio io (e sono qui a strombazzare i miei risultati). La biologia marina dell’Università del Salento è leader in Europa. Abbiamo anche lanciato il primo corso di Laurea Magistrale completamente in inglese della nostra università, si chiama Coastal and Marine Biology and Ecology. Evidentemente non strombazziamo abbastanza, visto che invece di essere premiati per questi successi ci vediamo tagliare i fondi.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 24 febbraio 2012]
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Informazione senza conoscenza: la supercazzola…come se fosse antani
Ho scritto molti articoli per il Quotidiano, parlando un po’ di tutto, quasi sempre per arrivare ad applicare il metodo scientifico all’analisi di.. un po’ di tutto. Nei miei articoli, però, cerco di essere molto semplice, uso frasi brevi, e cerco di spiegare tutto quel che dico, senza dar nulla per scontato. So che questo modo di comunicare viene visto come qualcosa di “semplicistico” da molti colleghi. Ai professoroni universitari piace la supercazzola. Per chi non lo sapesse, la supercazzola è una tecnica di eloquio utilizzata da Ugo Tognazzi nel film “Amici miei”. Tognazzi si divertiva a parlare in modo molto forbito e perentorio a ignari ascoltatori che non osavano contraddirlo. Dire di non comprendere sarebbe stata una dichiarazione di scarsa intelligenza. E quindi, pur senza capire, gli interlocutori di Tognazzi alla fine accettavano le sue tesi. Le frasi erano del tipo: Antani, come se fosse antani, anche per il direttore, la supercazzola con scappellamento.. Da qui il nome di “supercazzola” per chi parla senza dire nulla. Non l’ha inventata Tognazzi, comunque. Ecco una supercazzola di Petrolini: “se l’ipotiposi del sentimento personale, prostergando i prolegomeni della mia subcoscienza, fosse capace di reintegrare il proprio subiettivismo alla genesi delle concomitanze, allora io rappresenterei l’autofrasi della sintomatica contemporanea che non sarebbe altro che la trasmificazione esopolomaniaca”. Tutto chiaro, no? Ma anche Manzoni si fece beffe della supercazzola, e “inventò” l’italiano morderno per sostituire il latinorum dei falsi dotti.
Una volta acquisito il concetto di supercazzola ecco che si può passare a cercarla. Quando qualcuno parla in modo incomprensibile… tranquilli, non siete voi che siete scemi, è lui (o lei) che fa la supercazzola. Ovviamente se andate a un congresso di biologia evoluzionistica e non siete biologi evoluzionisti sentirete frasi tipo: “il blastoporo dei protostomi è omologo al blastoporo dei deuterostomi ma la successiva ontogenesi non ricapitola necessariamente la filogenesi”. Questa frase non è una supercazzola, in quel congresso. Ma se io la scrivessi in un articolo per il Quotidiano, allora sarebbe una supercazzola. La potremmo chiamare una semisupercazzola, perché in effetti ha un senso, ma è solo per addetti ai lavori. Chi non riesce a capire la differenza tra un congresso tematico o un saggio e un articolo sul giornale… è un produttore di semisupercazzole. I politici, invece, fanno proprio le supercazzole. Erano abilissimi i democristiani, che parlavano ore senza dire nulla. E i “poveri di spirito” approvavano sulla fiducia. Era una semisupercazzola la messa in latino, con le vecchiette che ripetevano suoni senza conoscerne il significato.
Dobbiamo combattere la supercazzola: dobbiamo essere in grado di capire. Dobbiamo mettere in un angolo i produttori di supercazzole e li dobbiamo costringere a spiegarsi in modo comprensibile, al livello del loro uditorio.
I telegiornali sono pieni di supercazzole. Una volta familiare, il suono di una parola ci appartiene e crediamo di conoscerne il significato. Tutti sanno che il PIL è il Prodotto Interno Lordo, ma nessuno sa cosa significhi. Per non parlare dello Spread. Avere contezza dell’esistenza di una parola è detenere un’informazione, ma la conoscenza è sapere cosa significa. E quella spesso non c’è. Ci fermiamo all’informazione e non passiamo alla conoscenza.
Questo genera persone che credono di sapere moltissimo ma che, invece, non conoscono gran che. A volte fanno la supercazzola non per prendere in giro qualcuno, ma perché parlano senza sapere bene quel che dicono. Usano termini di cui conoscono il suono ma di cui non conoscono il significato.
Questo porta a diventare facilmente manipolabili dagli imbonitori. La televisione è una grandissima produttrice di supercazzole, ma i giornali non scherzano. E’ un grande problema per la democrazia, perché lasciare che siano le maggioranze a prendere decisioni delicatissime può essere rischioso. Vi fareste curare una malattia in modo democratico? O cerchereste un appartenente a una esigua minoranza per avere una risposta ai vostri problemi? E’ per questo che abbiamo scelto la democrazia rappresentativa. Chi va al potere, attraverso il voto democratico, deve fare quello che potrebbe fare un medico, nelle cui mani mettete la vostra vita. Non può essere uno che fa le supercazzole, deve essere qualcuno che si fa capire ma che, poi, deve riuscire a fare cose complesse, che noi di sicuro non capiremmo. Deve aver guadagnato la nostra fiducia, ma non deve ottenerla facendo l’imbonitore che racconta frottole rassicuranti o supercazzole incomprensibili. Non abbiate paura di chiedere, allora. Se qualcuno fa la supercazzola, fermatelo! Mettetelo in un angolo e costringetelo a parlare chiaro. Se non riesce a farsi capire, allora forse non ha capito neppure lui! Bene, quella persona non merita la vostra fiducia. Sta solo cercando di prendervi in giro, oppure non sa di cosa sta parlando.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 4 marzo 2012, col titolo I professori che amano non farsi capire]
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Gasdotto: le domande da porre
Sono in corso aspre polemiche sulla TAP, la Trans Adriatic Pipeline, un tubo di novanta centimetri di diametro che attraverserà il Canale di Otranto per portare gas nel nostro paese. E’ anche sorto un movimento NO TAP, per riecheggiare la lotta dei NO TAV, in Val di Susa. Studio l’ambiente oramai da quarant’anni e ho avuto modo di vedere quanto male l’uomo si sia fatto danneggiando l’ambiente in cui vive. Acciaierie, raffinerie, centrali nucleari e a carbone, ma anche cementificazione incontrollata di tutto il nostro territorio, uso di pesticidi micidiali, sversamento di reflui tossici, emissioni incontrollate nell’atmosfera. Negli ultimi cinquant’anni abbiamo devastato il pianeta in modo grave. I primi che pagheranno questo disastro siamo proprio noi, perché se distruggiamo l’ambiente distruggiamo la nostra casa. E ci ammaliamo gravemente. Ogni volta che qualcuno propone una grande opera, che ci porterà progresso, mi si drizzano le antenne. I costi ambientali non sono mai considerati in modo adeguato.
D’altra parte, non penso che si possa tornare indietro, che si possa tornare a vivere senza elettricità, senza materiali innovativi, senza tecnologia. Tra poco uscirà un mio libro, intitolato: Economia senza natura: la grande truffa. Vi risparmio l’acquisto. Il tema centrale è: non può esserci crescita infinita. Il nostro pianeta è finito, non ha dimensioni infinite. E quindi gli economisti che invocano la crescita si prefiggono un obiettivo impossibile: la crescita infinita in un sistema finito. Inoltre, se qualcosa cresce, ci sono altre cose che decrescono. Quando la nostra economia cresce, la natura decresce. Un altro assunto del mio libro è che se le leggi dell’economia sono in contrasto con le leggi della natura, quali leggi prevarranno? La domanda è retorica: prevalgono le leggi della natura.
E quindi dobbiamo inventarci un’economia che metta in primo piano le leggi della natura. La prima, lo voglio ripetere, è che la crescita infinita non è possibile, visto che il pianeta è finito.
Noi non abbiamo fonti energetiche autonome. O meglio, abbiamo il vento e il sole, e stiamo saggiamente cercando di estrarre la nostra energia da queste fonti. Apparentemente non bastano, almeno per il momento. Il gas, per quel che mi è dato di sapere, è uno dei combustibili meno impattanti. Lo importiamo da vari paesi, e arriva da noi attraverso i gasdotti. I gasdotti altro non sono che “tubi del gas”. Nel caso di TAP, il tubo è di 90 cm di diametro. Quello che porta il gas nelle nostre case è di pochi millimetri. Tutti abbiamo un tubo del gas in casa. Oppure abbiamo la bombola. E ogni tanto leggiamo che scoppiano. Di solito scoppia la bombola, è più difficile che ci siano incidenti nelle tubazioni. Non per questo rinunciamo al gas. I rischi sono inferiori rispetto ai benefici.
Torniamo a TAP. Questa condotta sarà un “tubo del gas” per il nostro paese. Ci sono un po’ di domande che dobbiamo fare ai signori che la vogliono costruire. Prima di tutto quali rischi ci sono ad ospitare questo tubo. Studio il mare e mi interessa sapere se la posa del tubo interesserà ambienti fragili e preziosi. O se arrecherà disturbo alla biodiversità. Mi auguro che TAP non faccia come TAV, e parli e interagisca con le popolazioni locali, che hanno tutto il diritto di sapere e di dire la loro. Ma queste decisioni si devono prendere con piena consapevolezza, senza farsi accecare dalla smania di dire no a tutto. Quando il prof. Veronesi ha detto che lui si metterebbe le scorie nucleari sotto il letto, mi sono molto insospettito. Quando ho sentito parlare di cementificare la costa per difenderla dall’erosione mi sono allarmato. E’ evidente che queste proposte non sono coerenti con la difesa dell’ambiente. Però non credo sia giusto dire sempre no a tutto. Bisogna valutare caso per caso, considerando i costi e i benefici. Bisogna chiedere a TAP di spiegare le sue ragioni, e bisogna essere in grado di farle domande precise, che non siano facilmente smontabili per la loro inconsistenza. Bisogna chiedere compensazioni, se ci saranno svantaggi. Insomma, bisogna trattare. Se i benefici saranno maggiori dei costi, si dirà sì. Se i costi che dovremo pagare saranno maggiori dei benefici diremo no. Di sicuro i benefici per il paese ci sono. Ma non sarebbe giusto che in nome di questi benefici per tutti, siano in pochi a pagare (noi, che ci troveremo la TAP in casa). Se, per il bene comune, dovremo accettare, dovremo essere compensati. Se il prezzo sarà troppo alto, eh be’, allora faremo le barricate. Non c’è compensazione che valga la salute di mia figlia, per esempio. Dobbiamo capire quali rischi corriamo. Ho visto Sgarbi in televisione, lanciato contro le piattaforme eoliche in mare, denunciare la strage di cetacei che quelle piattaforme hanno causato. Peccato che non ci sia neppure una piattaforma eolica in tutto il Mar Mediterraneo. Questi atteggiamenti tolgono forza a possibili ragioni per dire no. Prima di dire no, o sì, abbiamo il dovere di capire. E abbiamo il diritto di essere informati.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 18 marzo 2012]
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Elogio dei millepiedi
Il 2 aprile, alle 20, il “TG5” ha trasmesso un servizio che denunciava sprechi di denaro pubblico per ricerche sulla fauna italiana. Una cosa che ha scandalizzato molto il giornalista è stata una spesa di qualche migliaio di euro per studiare i millepiedi. Due anni fa “Il Giornale” ha pubblicato un articolo intitolato Pagato dalla regione per ululare nei boschi, deridendo le ricerche per il censimento dei lupi nei boschi italiani. Ricerche che si fanno proprio imitando il richiamo del lupo, per sollecitare risposte e, quindi, valutare la presenza di questo predatore.
Altri studi che venivano derisi e indicati come sprechi di denaro pubblico riguardavano i pipistrelli e altre specie della nostra fauna. Ogni ricerca era finanziata con pochissime migliaia di euro.
Nella nostra Costituzione non esiste la parola natura. Non c’è. Nell’articolo 9 si cita il paesaggio italiano, inteso come “bel panorama”. La natura non fa parte dei valori fondanti del nostro vivere civile. E gli interventi de “Il Giornale” e del “TG5” non sono altro che un sintomo di questa assenza.
Darwin, che di natura se ne intendeva, scrisse un trattato sull’importanza dei lombrichi nel determinare la fertilità dei suoli. Assieme ai lombrichi ci sono anche i millepiedi. Rivoltano il terreno, fanno entrare l’acqua in profondità, favoriscono la vitalità dei semi. Ci sono tantissimi animaletti apparentemente insignificanti che svolgono ruoli ecologici fondamentali. I pipistrelli mangiano gli insetti, incluse le zanzare. E ne tengono sotto controllo le popolazioni. L’Unione Europea, tra l’altro, riconosce questi ruoli e chiede ai paesi di effettuare rilevamenti periodici sulla consistenza delle popolazioni delle specie importanti, come i millepiedi, e i pipistrelli. Ho avuto un finanziamento europeo per studiare le popolazioni di meduse, per esempio. Se le regioni non svolgono questi studi, sono sottoposte a procedure di infrazione. E quindi spendere quei pochi spiccioli per studiare i millepiedi ci risparmia sanzioni ben più onerose.
Un tempo la natura faceva parte della nostra cultura. San Francesco parlava al lupo. Forse ululava nei boschi anche lui. E parlava a tutti gli animali, compresi i millepiedi. E’ il patrono del nostro paese, San Francesco. Per “Il Giornale” e il “TG5” ovviamente era un fesso. Visto che si dedicava a cose così futili.
Ho già ricordato, in un intervento sul “Quotidiano”, che nella Genesi l’unico compito affidato all’uomo dal Creatore è proprio “dare il nome agli animali”, inteso come “conoscere la natura”. L’ho ricordato perché Salvatore Trinchese era stato indicato come San Trinchese in qualche cartellonistica stradale. Trinchese è stato un grande specialista di lumache marine. E’ per questo che il suo nome resiste nella letteratura scientifica. Anche lui obbediva al dettame divino del dare il nome agli animali, e quindi un pochino santo lo era.
Sono santi anche i poveretti che studiano la natura, oggi. Perché lo fanno prima di tutto per passione e i miseri finanziamenti dedicati al loro lavoro spesso non consentono di fare una vita dignitosa. Eppure lo fanno lo stesso. Scelgono corsi di laurea che li appassionano e seguono prima di tutto una vocazione che non è basata su prospettive di arricchimento. Non conosco naturalisti ricchi di denaro, ma sono ricchissimi di altro, di cose che non hanno un prezzo ma che hanno un grandissimo valore.
Vederli derisi, additati al pubblico ludibrio come sperperatori di denaro pubblico mi indigna. Soprattutto quando vedo l’ammontare dello stipendio del Trota (per continuare a parlare di bestie) che, mensilmente, riceve più euro di quelli dedicati in un anno allo studio dei millepiedi in tutto il nostro paese.
Scrissi al “Giornale”, allora, e recentemente ho scritto anche al “TG5”, per spiegare quanta grettezza dimostrassero quei servizi, quegli articoli. Non ho ricevuto risposta.
Sarebbe un piccolissimo passo avanti se si riuscisse, intanto, ad inserire la Natura nei valori fondanti del nostro paese. Sarebbe anche un omaggio a millepiedi, lupi e pipistrelli (un pochino anche alle mie meduse) e anche a chi, con dedizione, sacrificio e competenza, dedica la sua vita a capire come sono fatti e come funzionano gli ecosistemi che ci permettono, nonostante la nostra grettezza, di continuare a vivere. Perché l’uomo non può vivere senza il resto della natura, mentre la natura viveva benissimo prima del nostro arrivo e vivrà benissimo quando avremo tolto il disturbo.
“Il Quotidiano” non ha la diffusione nazionale de “Il Giornale” o del “TG5”, ma dimostra ben più alta sensibilità nel dar voce ai… millepiedi. Intanto un Senatore della Repubblica (non faccio il nome perché siamo in campagna elettorale) ha accolto il mio suggerimento di chiedere che la Natura sia inserita nella Costituzione. Forse sarà anche lui deriso dai suoi colleghi senatori per questa balzana richiesta. Ma sono rischi che bisogna correre, anche in nome di San Francesco (e dei millepiedi).
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 19 aprile 2012]
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La natura presenta il conto
Ci risiamo. Un terremoto dove non ce lo aspettiamo e ci rendiamo conto che abbiamo usato il territorio in modo pessimo. Lo abbiamo usato per “fare economia” e non abbiamo pensato all’ecologia. Il presidente Napolitano, parlando dell’ultimo disastro di una serie ininterrotta che si perde nel passato a memoria d’uomo, ha detto che abbiamo risparmiato 20 per non affrontare i problemi posti dall’ambiente e ora dobbiamo pagare 100 perché l’ambiente prima o poi presenta il conto.
Lo so che è un discorso che io ripeto da queste colonne da tanto tempo. Ci ho persino scritto un libro. Però sembrano le predizioni di Cassandra, alle quali nessuno credeva ma che poi si avveravano puntualmente. E abbiamo elaborato un modo di pensare che attribuisce l’avverarsi della predizione a chi ha fatto la predizione stessa. I papi ci dicono che non possiamo ignorare le leggi della natura. Giovanni Paolo II lo ha fatto con la sua famosa predizione: La Natura si ribellerà! Ma non basta. Non vogliamo ascoltare.
Leggo che il PIL del Giappone finalmente sta aumentando. L’aumento è dovuto al fervore economico che sta seguendo il disastro dello tsunami. Che poi è quello che si aspettavano i costruttori intercettati mentre si rallegravano del terremoto de L’Aquila come motore delle loro attività. Anche i giapponesi avevano costruito dove non avrebbero dovuto. Chi ha fatto quel che non doveva fare, e ora ci rimette la vita e i beni, ora si aspetta (giustamente) che qualcuno lo aiuti. Quel qualcuno è lo stato. Ma se lo stato dovesse pagare per tutti i disastri causati dalla stupidità dell’uomo, andrebbe fallito! Che poi è quello che sta succedendo. Queste cose avvengono anche da noi. Abbiamo costruito migliaia di case sulle spiagge, o su terreni franosi. E ora chi ha costruito dove non si dovrebbe chiede alla collettività di “mettere in sicurezza” le sue proprietà. Magari costruendo difese costiere. L’intera ferrovia adriatica è stata costruita sulla spiaggia, e ora abbiamo costruito un muro lungo 500 chilometri per proteggere un’opera che solo uno stolto potrebbe concepire ma che, purtroppo, è stata realizzata.
L’ambiente continua ad essere messo in secondo piano. In questi giorni mi è tornato alla memoria il compianto Ingegner Giuri, assessore all’ambiente nella Provincia di Lecce ormai troppo tempo fa. Una persona preziosa che un giorno ricordò come i giovani salentini oramai non abbiano più punti di riferimento e non riescano a distinguere un muretto a secco vero da uno finto, fatto di cemento e poi rivestito di pietre. L’ho potuto constatare visitando una scuola in cui i giovani studenti avevano fotografato proprio uno di questi muri “finti” come prototipo dei muretti a secco. E, ricordando Giuri, mi sono chiesto: ma chi è oggi assessore all’ambiente nella mia Provincia? Dato che mi occupo proprio di ambiente lo dovrei conoscere, ma in effetti non mi veniva in mente. E poi ho fatto una bella scoperta: l’assessorato all’ambiente non c’è. La responsabilità dell’ambiente è stata suddivisa in diversi assessorati che si devono anche occupare “d’altro” e che ovviamente non potranno fare una politica strategica ma potranno solo affrontare singoli problemi, senza una visione generale. Se si deve tagliare qualcosa, è ovvio che il primo a saltare sia l’ambiente. Ci sono cose più serie, è lampante. L’ambiente è un lusso che ci possiamo permettere solo se tutto va bene. E vien fuori solo quando ci sono le emergenze. Emergenza rifiuti, emergenza erosione, emergenza frane, emergenza polveri sottili, emergenza alluvioni, emergenza siccità, emergenza… devo continuare? Se ci sono tutte queste emergenze, è ovvio che abbiamo attuato una politica folle. E non mi riferisco solo alla Provincia che, per quanto ne so, ha molti, moltissimi meriti e segue un percorso di scelte che non ha connotazione partitica. L’ambiente, la natura, sono proprio alieni dalla nostra cultura. E ci rendiamo conto che ci sono solo quando ci presentano il conto, con le emergenze.
Ovviamente affrontare quelle emergenze fa “girare l’economia”. Ma è un’economia fasulla, una truffa. Perché è lo stato a dover pagare. E se lo stato dovesse pagare tutti i danni causati dalla nostra stoltezza ecologica, lo voglio ripetere, allora andrebbe fallito. E infatti… Non abbiamo i soldi per pagare i danni. Come al solito i guadagni del fare economia senza natura vanno ai privati, e poi è il pubblico a dover pagare il conto.
L’economia è proprio strana. Ho letto su un quotidiano che l’ENEL ha recentemente affermato che il suo fatturato è diminuito perché le sue centrali vendono meno energia a causa del successo delle energie alternative, e quindi si vede costretta ad aumentare i prezzi per mantenere le sue entrate. Siamo alla follia.
L’unica scelta che possiamo fare per rimettere in sesto l’economia è di iniziare l’unica grande opera necessaria nel nostro paese: ripristinare la qualità ambientale. E sicuramente non la possiamo affidare a chi ha coperto di cemento e di asfalto l’intero paese. Vanno ripensate le città, le politiche dell’energia, le infrastrutture, l’agricoltura e in generale l’uso del territorio. Perché il modo in cui abbiamo pianificato le nostre attività è semplicemente folle. Intanto a Trento si svolge il festival dell’economia. Nella presentazione del festival del mio quasi omonimo economista Boeri le parole ambiente e natura non ci sono. Economia senza natura: la grande truffa.
Magari potremmo fare a Lecce il Festival della Natura, dopotutto ci candidiamo a Capitale Europea della Cultura. Ma se si proponesse penso proprio che si raccoglierebbero ben pochi consensi. La Natura non interessa a nessuno.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 3 maggio 2012]
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Per risolvere i problemi dell’Italia bisogna smetterla di studiare la natura!
Poco tempo fa, in un articolo sui millepiedi, ho denunciato la grettezza di un telegiornale e di un giornale che additavano al pubblico ludibrio le ricerche naturalistiche nel nostro paese. Poi ho notato come tutti i candidati al posto di sindaco di Lecce, in un dibattito pubblico sulla cultura, non avessero preso in considerazione la scienza e la natura come parte della cultura. E ora eccomi di nuovo qui, a mostrare come le mie denunce fossero ben motivate. Il 29 aprile, in un programma pomeridiano condotto da Massimo Giletti, si è impiegato quasi un quarto d’ora di televisione sulla rete ammiraglia per mostrare al pubblico come si sperperano i soldi, in un momento in cui ci sono i disoccupati, i suicidi, i bambini malati e che muoiono di fame. Come si risolve il problema? Ma è chiaro! Smettendo di finanziare ricerche sulla natura. Che spreco! In quel dibattito erano rappresentate tutte le parti politiche. C’era Livia Turco, che si trovava finalmente d’accordo con lo squittente Mario Giordano, rinforzato dal pontificante Mario Sechi, con contorno di leghisti sdegnati per questi sprechi. Gianni Ippoliti, quello che ha pensato di lanciare Porto Cesareo col monumento a Manuela Arcuri, intervista la gente per strada, raccogliendo sdegno e sorpresa. Il colpevole di tutto questo è la Zelkova. Mai sentita nominare? E’ una pianta che vive solo in Sicilia, in un areale molto limitato.
L’Unione Europea ha finanziato un progetto Life per la sua salvaguardia. La Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità sancisce che la diversità dei viventi sia un valore irrinunciabile, e le piante minacciate di estinzione, proprio come la Zelkova, devono essere protette a fronte di adeguati studi. Pensate, è stato fatto un bando per assumere un manager che gestisca il progetto, con un compenso di 150.000 euro. Uno scandalo. Poi scopriamo che il progetto è di quattro anni, il che significa che il costo annuale è di 37.500 euro che, riportato al mese fa 3.125 euro, ovviamente lordi. Tolte le tasse si arriva ad uno stipendio medio-basso per la professionalità richiesta per gestire un progetto europeo. Ippoliti è andato in giro a chiedere ai passanti se sono interessati a 150.000 euro per studiare la Zelkova, una pianta in via di estinzione. E uno gli ha detto che lui non è mica un esperto di botanica, a che titolo potrebbe aspirare a questo compenso? E’ talmente ovvio! Quanto avrà intascato Ippoliti per fare domande cretine con aria furbetta? In questo caso, comunque, erano tutti d’accordo. Nel momento che stiamo attraversando non è morale che si spendano soldi pubblici per studiare la natura. A nessuno è venuto il dubbio che si spendono soldi pubblici per finanziare il giornale diretto da Sechi e quello in cui lavora Giordano, che tutti quelli che erano in quella trasmissione erano pagati con soldi pubblici. Che servizio stavano facendo all’informazione? In questi progetti Life, progetti europei che sopperiscono alla totale mancanza di finanziamenti italiani dedicati allo studio della natura, lavorano laureati in scienze ambientali, biologiche, forestali, naturali. E quindi questi progetti danno lavoro. Perché accanirsi così contro questi studi? Il motivo è semplicissimo: manca la cultura. E’ un retaggio del monopolio umanistico alle pratiche culturali, evidente anche nel dibattito dei candidati a sindaco di Lecce. L’uomo è fuori dalla natura e la vede come altro da sé. Eppure Giovanni Paolo II ci ha messo in guardia dal violentare la natura, ammonendo: la Natura si ribellerà! E Benedetto XVI ha detto: Se vuoi salvaguardare la pace devi salvaguardare l’ambiente! Sto riportando il pensiero dei Papi, non di Greenpeace! La natura è proprio la Zelkova, e i millepiedi, le rane verdi, i lupi, i pipistrelli. Tutti organismi citati nella trasmissione a dimostrazione di come si spendano inutilmente i soldi dei contribuenti. Forse quegli strapagati conversatori non avrebbero osato ironizzare sui delfini, o sui cani. E già, noi abbiamo una concezione disneyana della natura. Ci commuoviamo per i cagnolini e non diamo importanza al resto del creato, come lo chiama il Papa. La strada per guarire da questa visione distorta è lunghissima e spero che, prima o poi, qualcuno segua il consiglio di Benedetto XVI che esorta a introdurre l’ecologia nei percorsi scolastici. Le persone che ho citato in questo articolo, esclusi i Papi, oramai hanno idee radicate e dubito che possano cambiare, bisogna iniziare dai bambini. E bisogna denunciare l’imbecillità ogni volta che si manifesta. Temo che non sarà l’ultima volta che dovrò scrivere di queste faccende…
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 7 maggio 2012]
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Beato il popolo che non ha bisogno di intellettuali!
Ecco la storia: gli ecologi americani, una ventina d’anni fa, si resero conto del disastro a cui va incontro il pianeta per scelte politiche dissennate, e quindi decisero di intervenire e intrapresero una strategia di comunicazione nei confronti dei politici, per convincerli della gravità della situazione. La strategia ebbe un grandissimo successo e arrivò alla candidatura alla Casa Bianca di un politico perfettamente convinto delle ragioni degli ecologi: Al Gore. Gore, nello stesso anno, vinse il premio Nobel e il premio Oscar. Ma perse le elezioni. Al suo posto vinse G.W. Bush, un signore che dichiarò guerra a uno stato senza essere in grado di trovarlo su una carta geografica.
Morale della storia: non bisogna convincere i politici, bisogna convincere le persone che li scelgono. E non devono essere gli intellettuali a cercare i politici. Gli intellettuali devono fare il loro lavoro, devono fare ricerca, elaborare il proprio pensiero e cercare di proporlo in modo che sia il più chiaro possibile, senza supercazzole. Il prodotto del loro pensiero non ha colore politico, ma può avvenire che parti politiche vi si riconoscano e lo perseguano come parte del proprio programma.
In democrazia vince la maggioranza e quindi deve essere compito di un partito o di un movimento di fare in modo che una certa visione del mondo si allarghi a quanta più popolazione possibile. Non devono essere gli intellettuali ad essere organici a un partito, deve essere esattamente il contrario. Che poi è quello che è sempre avvenuto. Marx era un intellettuale, e lo era Don Sturzo, o Gramsci, o Don Giussani, lo era Marcuse, come lo era Pound.
Ed eccoci ai giorni nostri. Da una parte abbiamo “filosofi” che propongono il bengodi per tutti (sapendo perfettamente che è impossibile) come l’ex premier Silvio Berlusconi, oppure altri “pensatori” che propongono la superiorità di un popolo che non esiste in quanto popolo, come tale Bossi con tanto di contorno ittiologico.
Queste persone, dietro, non avevano nulla, non c’erano veri intellettuali ad ispirarli. Tutt’al più, con i loro soldi, sono riusciti a comprare una manciata di pseudointellettuali che dessero una parvenza di serietà ai loro strampalati e nefasti disegni.
Il
mantenimento del potere strampalato e nefasto si attua annichilendo l’uso del
cervello, e per farlo ci sono armi potentissime che, comunque, si basano sul panem et circenses dei romani (o sulla
religione, vedi il San Raffaele).
La televisione ci bombarda con interminabili sessioni sportive, quiz, lotterie,
festival e altre banalità e se ci sono programmi di valore vengono osteggiati e
cancellati, basti pensare a “Vieni via con me” o a “Parla con me”.
Acquisita anche l’editoria, chi si cura di sopire i cervelli bene o male
nasconde i prodotti intellettuali che potrebbero disturbare. Il libro può anche
essere stampato, ma poi non viene promosso, non si trova nelle librerie, e i
lettori sono anestetizzati dai romanzi. Con le dovute eccezioni, tipo Saviano.
Prima gli intellettuali erano rispettati perché i non intellettuali riconoscevano una loro non comune abilità nell’usare l’intelletto. Ma ora non è più così. Prima di tutto bisogna avere una buona abilità nel comunicare il proprio pensiero a grandi porzioni dell’opinione pubblica. E qui arriva Grillo, che è un intellettuale. Prima di tutto è un intellettuale della comunicazione. Ha saputo e sa usare tecniche di comunicazione sconosciute a gran parte dei politici, affiancandole a quelle tradizionali. Da una parte ha messo su uno dei blog più seguiti del mondo. Del mondo! Dall’altra va sulle piazze a fare i comizi.
Tutti lo chiamano comico, ma quel che denuncia è tragico. E’ stato espulso dalla RAI per aver denunciato i ladrocini di Bettino Craxi. Ed è stato il primo a denunciare le ruberie di Parmalat, quando le banche proponevano azioni casearie nei “pacchetti” che stavano vendendo ai propri clienti. Nessun partito ha capito. E tutti i detentori di potere politico hanno denunciato al populismo. Confesso che non mi attira un partito capitanato da Beppe Grillo. Perché non è quello il suo mestiere. Però mi preoccupa il fatto che i partiti non capiscano quello che molte persone stanno comunicando con il voto a Grillo e/o con il non-voto. I politici, e gli intellettuali, sono il prodotto della società che li esprime. Nel disegno palese di presa del potere della loggia P2 c’era tutto quello che è poi successo, e dobbiamo ora ricostruire quel che è stato scientemente distrutto: l’abilità di usare il proprio intelletto.
Gli intellettuali non devono necessariamente essere pomposi accademici col petto carico di medaglie. L’obiettivo è che tutti sappiano usare l’intelletto in modo da capire quali siano le strade da prendere e siano abbastanza accorti da non farsi turlupinare ancora. Forse si potrebbe parafrasare una frase celebre: beato il popolo che non ha bisogno di intellettuali. Il mancato bisogno di intellettuali significa che ci si è liberati dal bisogno di averne perché ce ne sono in grandissima abbondanza! Le rivoluzioni si facevano per rimuovere le dittature, ma oggi, in democrazia, non c’è bisogno di rivoluzioni, c’è bisogno di evoluzione e questa si ottiene estendendo a quanta più popolazione possibile l’abilità di usare il cervello, diventando tutti intellettuali.
Noi, intanto, stiamo distruggendo il nostro sistema educativo… Il disegno di annichilimento dei cervelli continua, ma qualche comico ha tragicamente preso su se stesso la responsabilità che gli intellettuali doc non sanno prendere.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 14 maggio 2012]
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I paradossi di cui non ci accorgiamo
L’Italia è un paese strano, con comportamenti schizofrenici. Da una parte ci dicono che non si fanno più bambini. E che saremo un popolo di anziani. Gli italiani hanno smesso di fare figli! Fate più figli! Ma poi ci accorgiamo di una cosa che è causata dall’abbondanza dei figli: la disoccupazione giovanile. Se oggi ci fossero ancora più giovani di quelli che ci sono, i disoccupati sarebbero di più, no? Credo che abbiam fatto bene a diminuire la produzione di figli. Un paese come il nostro starebbe bene se fossimo 40 milioni, e siamo 60. Siamo troppi. Come del resto avviene nel mondo. Sette miliardi di persone sono troppe. L’unico modo per risolvere il problema della sovrappopolazione è di fare meno figli.
Altro paradosso: se non ci sono abbastanza giovani che lavorano, chi pagherà le pensioni dei vecchi? Per ora sono i pensionati che, con le loro pensioni, mantengono i giovani che fanno lavori precari con cui pagano pochissimi contributi perché hanno guadagni bassissimi. Il bello è che, anche se si pensionano i vecchi, non si assumono giovani al loro posto.
Viviamo
troppo a lungo, e dobbiamo alzare l’età pensionabile. Mi pare giusto. Però i
professori universitari, che andavano in pensione a 72 anni, si son visti
anticipare la pensione a 70. I professori universitari, di cui faccio parte,
non fanno un lavoro logorante e, man mano che passa il tempo, accumulano
conoscenza. Devono poter lavorare fino a quando il loro cervello funziona bene.
Ne conosco di giovanissimi che non sono in grado di adoperare il cervello e di
anzianissimi che sono dei campioni. I professori universitari dovrebbero poter
lavorare fino a quando ottengono risultati significativi con il loro lavoro. E
invece no: in pensione! E il budget viene riassorbito e non si assume nessuno.
Mentre altri che vorrebbero andare in pensione sono tenuti al lavoro da nuovi
decreti, e magari fanno lavori logoranti o semplicemente noiosi.
E’ ovvio che se dovremo lavorare più a lungo, ci saranno persone sempre più
anziane nei posti di comando. Che facciamo se uno in gamba è stato promosso a
40 anni e ha un posto di responsabilità? Quando ne ha sessanta lo retrocediamo
e lo facciamo lavorare a un livello inferiore fino a quando non va in pensione?
Solo per l’età?
E’ ovvio che se si rimane a lavorare più a lungo, ci saranno persone più anziane nel mondo del lavoro. Non si può affermare una cosa (bisogna lavorare più a lungo) e poi lamentarsi delle sue conseguenze (ci sono troppi anziani al lavoro).
Ora ci siamo
accorti che le persone diventano troppo anziane, e che vivono gli ultimi dieci
anni della loro vita in condizioni di profondo disagio. Con costi sociali
enormi. E quindi da una parte c’è un sistema di ricerca medica che fa di tutto
per prolungare la vita, e poi c’è il sistema previdenziale che dice che viviamo
troppo a lungo. Però se uno decide di non volersi curare più, lo si obbliga a
continuare a vivere una vita miserabile.
Ci hanno detto che dobbiamo consumare meno energia, e che dobbiamo sviluppare
l’uso di energie rinnovabili. Lo abbiamo fatto, e adesso l’ENEL si lamenta di
non guadagnare come prima. E quindi alza i prezzi. Ma come! Prima abbiamo detto
che bisognava consumare meno, e ora se si consuma meno ci dicono che è male. In
più, se diminuisce la domanda, per la legge della domanda e dell’offerta dovrebbero
diminuire i prezzi. E invece li aumentano perché è diminuita la domanda.
Il gas inquina molto meno del carbone, e noi potremmo avere un rifornimento di gas tale da trasformare la centrale di Cerano e farla passare dal carbone al gas. C’è un gasdotto che potrebbe portarci quel gas, e c’è un movimento anti gasdotto che dice che quel tubo ucciderà le tartarughe e farà scappare i turisti. Argomentazioni prive di qualsiasi fondamento. Non è che si vuole proteggere chi vende il carbone, trovando pretesti contro chi potrebbe proporre soluzioni alternative e meno inquinanti?
Ci sono talmente tante falle logiche nel modo in cui si analizza la realtà che sono veramente stupito che la nave della logica possa ancora galleggiare. Però non mi stupisco più di nulla. Il partito con maggiore storia, tra quelli attuali, sapete quale è? La Lega Lombarda. Proprio lei. Il partito del Bossi e del trota. Con quale logica milioni di italiani possono aver votato quei signori? Con quale logica ci siamo scelta una classe politica fatta in gran parte di persone che hanno abdicato all’uso del cervello? Il motivo è semplice: abbiamo abdicato anche noi. Ho scritto: beato il paese che non ha bisogno di intellettuali. Ma era una trovata retorica. Il nostro paese ha un disperato bisogno di persone che sappiano usare l’intelletto. Almeno per poter porre le domande elementari (che spesso hanno risposte altrettanto elementari) che ho fatto in questo articolo. E invece ci abituiamo ad accettare tutto e il contrario di tutto. Nicole Minetti ha fatto la sua carriera politica con le stesse modalità di Nilde Iotti! Questo ho letto con sorpresa su qualche giornale, e con sorpresa leggo tante altre cose che dimostrano che sì, confermo: abbiamo un disperato bisogno di intellettuali! L’obiettivo minimo dovrebbe essere di smettere di farci prendere in giro.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 18 giugno 2012]
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Spazzatura: per difendere le nostre coste (e per cambiare le nostre teste)
Leggo sul “Quotidiano” che si comincia a colpire chi occupa gli arenili in modo abusivo, e non posso che rallegrarmene. Non ho più molta voglia di andare sulle spiagge, sono dei carnai allucinanti, con altoparlanti che sparano musica a tutto volume e gruppi di scalmanati che ballano in acqua, giocano con i racchettoni, tirano palloni addosso alla gente, bambini che piangono, stanati di parmigiana, mamme urlanti che cercano di attirare l’attenzione di infanti incuranti. Sabbia piena di cicche. Mare condito da abbronzanti che dilavano da corpi straunti. Sarà che la vedo così perché ho sessantun anni? Ma questi spettacoli non mi piacevano neppure quando ne avevo trenta, o venti. La mia impressione è che stiano aumentando sempre di più, e che ci sia sempre meno costa dove poter stare in santa pace. Sentendo il mare. E non quel bum bum bum. A dir la verità c’è ancora qualche tratto di spiaggia libero dagli obbrobri che piacciono ai più. Basta andare a più di cento metri dal parcheggio più vicino. Se si deve camminare, la selezione immediatamente discrimina i comportamenti. Se ci si allontana dai lidi, per esempio camminando lungo la spiaggia che sta di fronte alle Cesine, si entra in una dimensione differente. Intanto c’è spazio. Non si deve stare ammassati uno sull’altro come una colonia di otarie. E poi quando si incontrano altre persone viene naturale salutarle, e loro rispondono. Sorridono. Che sia in corso un processo di speciazione? Con l’origine di una nuova specie umana, una specie rispettosa dell’ambiente e amante della bellezza? Scherzo, ovviamente. Però la differenza c’è: quando la spiaggia colonizzata dalle unte colonie di umani viene abbandonata, gli umani si lasciano alle spalle lattine e bottiglie di birra, cicche, involucri, stecchi, e coppette di gelati, bottigliette di plastica, bicchieri, posate. Ci sono quelli che mettono tutto dentro una busta di plastica e poi la appendono ai rami dei pini, se ci sono alberi in giro. I pochi bidoni della spazzatura sono subito stracolmi e poi sembrano vulcani che emettono una colata di detriti al posto della lava.
Quelli che camminano sulla spiaggia, invece, hanno uno zainetto, e come portano roba con sé, per consumarla, così si riportano indietro la loro spazzatura, e la gettano nei bidoni una volta tornati in città. Non si lamentano che non ci siano bidoni della spazzatura lungo il loro cammino. Non ce ne devono essere. Semplicemente la spazzatura non deve essere abbandonata lungo il cammino. Te la devi riportare a casa! La spiaggia delle Cesine, però, è spesso molto sporca. Ma non come le altre spiagge, quelle frequentate dalle orde che ho descritto prima. Ci sono cose che sono rimaste a lungo in mare: tronchi, pali, boe, bottiglie di plastica e di vetro, rami, canne, giocattoli di plastica, e molto altro. Tutta roba che galleggia e che arriva da lontano, portata dalle correnti. Il problema della spazzatura marina è oramai di portata mondiale, e gli scienziati iniziano a studiarla. Immagino un bel progetto di studio, che preveda la raccolta della spazzatura che si accumula mensilmente lungo quella costa, e un deposito temporaneo dove accumularla. Il primo risultato sarebbe la pulizia della spiaggia, e non una volta all’anno, all’inizio dell’estate, come avviene oggi. Ma poi quella spazzatura andrebbe catalogata, per capire da dove viene, per ricostruire i flussi stagionali di spazzatura da una costa all’altra, e lungo costa. E poi? E poi mi piacerebbe pensare di riutilizzarla. A Vienna, in un giardino pubblico, ho visto delle bellissime staccionate fatte con materiali di risulta. Vecchie assi, persiane, reti di letto, parafanghi di auto, assi da stiro, e tanta altra roba che, di solito, andrebbe a finire in discarica. E invece, se trattata da chi conosce l’arte del riutilizzo, certa spazzatura può ritornare ad avere una funzione. Mi viene in mente Bruno De Carlo, che raccoglie quei legni spiaggiati e li intaglia, ridando vita e nobiltà al detrito. Prendere tutta quella roba, e cercare di assemblarla, magari come staccionata a difesa delle dune, e darle una nuova vita, facendola diventare bella, ma nello stesso tempo dandole una funzione, sarebbe un’operazione eccitante. Invece che un obbrobrio, quella spazzatura potrebbe diventare un baluardo della spiaggia. Arte-spazzatura. Un’impresa del genere richiederebbe la collaborazione di spazzini delle spiagge, ecologi (che devono catalogare tutto quello che viene raccolto), artisti, architetti paesaggisti. Chissà, forse verrebbero da lontano a vedere questa opera di difesa costiera in continua evoluzione, magari con annesso un museo della spazzatura marina. Potrebbe essere un bel progetto, no? Però, però tremo al pensiero che un aumento dei flussi turistici possa portare alla costruzione di una bella serie di stabilimenti balneari lungo quella costa ora abbandonata a se stessa, con l’espansione del carnaio rumoroso e unto, produttore di spazzatura irriciclabile. Capisco che sia giusto che tutti possano godere del mare, ed è giusto che ognuno lo faccia secondo la propria sensibilità; una possibile nobilitazione della spazzatura potrebbe servire anche a un altro scopo, oltre a pulire e a difendere le nostre spiagge: modificare solo un pochino certe teste…
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di venerdì 6 luglio 2012]
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Imparare ad amare il mare: uno slogan per la Puglia
Si parla di trivellazioni nel mare di Puglia, e il Ministro dell’Ambiente rassicura riguardo all’impatto di queste attività: verrà valutato opportunamente. L’assalto alla natura non è nuovo nel nostro paese, e la Puglia non fa eccezione. Lo “sviluppo” vecchia maniera ha portato alla realizzazione di mega impianti sia a Brindisi sia a Taranto, con grandissimi impatti sull’ambiente e sulla salute umana. La provincia di Lecce si è in parte salvata, ma ha subìto altre aggressioni, comuni anche al territorio Tarantino e Brindisino. La pesca dei datteri di mare, ad esempio, ha devastato i fondali rocciosi di tutta la Puglia. E poi c’è l’abusivismo edilizio che ha fatto scempio dei paesaggi e dei sistemi costieri, soprattutto sabbiosi. Ora sta iniziando anche l’aggressione alle coste rocciose. Molte di queste azioni, dai datteri all’abusivismo edilizio, sono state compiute dalle comunità locali. Ora arrivano gli stranieri, con moltissime attività, dai rigassificatori, alle trivellazioni per petrolio o per gas, agli impianti eolici off-shore, alle varie condotte che connettono le due coste adriatiche. Sicuramente non si può fare di ogni erba un fascio e accettare o negare tutto in blocco. Bisogna vedere caso per caso. Non possiamo negare il progresso, ma non possiamo neppure accettare tutto, passivamente. Il potenziale naturalistico del mare pugliese è altissimo e merita di essere valorizzato come sino ad ora non è stato fatto. L’uso del territorio, la cura per la bellezza del paesaggio, sono stati spesso messi da parte in nome di un non ben compreso “sviluppo economico”.
Resta
emblematica l’azione di valorizzazione di Porto Cesareo attraverso un monumento
lapideo a una attrice di fiction televisive, mentre la realizzazione di un’Area
Marina Protetta è stata vista come un freno allo “sviluppo” del paese. Non
capire le potenzialità di un’Area Marina Protetta la dice lunga su come stiamo
“pensando” il futuro del nostro mare.
Forse le minacce “straniere” ci faranno apprezzare di più quello che abbiamo e
che ancora non abbiamo capito fino in fondo.
Ma, prima di parlare di ambiente, sarebbe bene capire la convenienza economica di queste azioni. Se guardiamo lo sviluppo di fonti “pulite” di energia, per esempio, come non accorgerci che le nostre campagne sono stato coperte di impianti fotovoltaici che, da quel che mi pare di aver capito, rendono solo se ci sono gli incentivi? Questo significa che non rendono per l’energia che producono, ma per i soldi pubblici rastrellati da chi li ha impiantati. Sarà così anche per queste attività? Come sta andando il petrolio in Basilicata? In altre parole: ha senso che qualcuno venga nel nostro territorio e ne tragga vantaggi, magari a spese dell’integrità della natura? Noi che vantaggi avremo da queste azioni? Siamo sicuri che i benefici di queste azioni siano maggiori dei costi ambientali che dovremo sopportare? Quanti benefici verranno a noi che qui viviamo? Che azioni di compensazione sono previste? Ricordiamo che i fondi per fare i progetti del Ponte sullo Stretto di Messina sono stati stanziati e spesi, qualcuno ha guadagnato montagne di denaro e il ponte non c’è! Ripensiamo al costo estetico del filobus a Lecce, e al costo di realizzazione. In quanto tempo verranno ripagati? Ne valeva la pena? O il guadagno era solo per chi realizzava l’opera? La foresta di pali e fili che vantaggi ha fornito alla cittadinanza? Ogni opera deve prima di tutto essere vantaggiosa in termini economici, e deve usufruire di incentivi solo se porta vantaggi alla popolazione, visto che gli incentivi derivano dai soldi presi ai cittadini attraverso le tasse. Se questi vantaggi ci sono, si può pensare di passare alla valutazione di impatto ambientale. Ma penso che raramente si arriverebbe alla valutazione ambientale se si guardasse davvero alla convenienza delle opere. Lo sport della corsa alle opere inutili, proposte solo per prendere incentivi e finanziamenti pubblici, non può continuare all’infinito. E qui sono i nostri politici che ci devono difendere. Ma capiranno di queste cose? Mah! Spesso sono proprio loro a promuovere questi “affari”, oppure comprano derivati e titoli tossici per sanare i bilanci! Quando avvengono queste “sviste” si tratta solo di incompetenza o ci sono collusioni spartitorie?
Torniamo al mare di Puglia. Lo possiamo salvare solo se ne comprendiamo il valore, e non solo nel mese di agosto. Il mare fa parte della “cosa pubblica” e, purtroppo, noi italiani siamo culturalmente alieni a darle valore e a rispettarla. O cambieremo questo atteggiamento, o verranno altri a prendersi quel che è nostro e la nostra sovranità ne risulterà limitata (forse lo è già, e siamo troppo concentrati su noi stessi per accorgercene).
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 22 luglio 2012]
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Lavoro o vita? Un’alternativa disumana
Sono decenni che il problema Italsider e poi Ilva attanaglia Taranto, la Puglia e l’Italia. Come ha attanagliato Genova, con l’impianto di Cornigliano, e Napoli con Bagnoli (ora entrambe bonificate o in corso di bonifica). Sono morte centinaia di persone per quei fumi che, d’altra parte, hanno dato e danno lavoro a migliaia di persone. Questo è quello che sta avvenendo ora in Cina. Ricordate le Olimpiadi di Pechino? Gli impianti industriali furono chiusi durante i giochi perché il pubblico non avrebbe potuto vedere le gare a causa del fumo, e gli atleti avrebbero avuto problemi respiratori. E’ con l’ignoranza dei problemi ambientali e della salute umana che si costruisce il miracolo economico cinese, e la stessa ignoranza ha segnato il nostro. Le industrie inquinanti, messe in difficoltà da una nuova percezione dei problemi ambientali, trovano molto comodo trasferire la produzione in paesi favorevoli, dove si può inquinare impunemente.
Non è lontano il giudizio di condanna dell’industria che produceva l’Eternit, il materiale a base di amianto che ha avvelenato un numero impressionante di persone.
La lista delle vittime del progresso è lunga, molto lunga. E si tratta di aggressioni subdole alla nostra salute. Si muore piano piano, è difficile provare le responsabilità e sono le statistiche a parlare, a puntare il dito. Dove ci sono industrie inquinanti si muore sensibilmente di più e ci si ammala tantissimo, con differenze enormi rispetto all’incidenza di malattie di un certo tipo riscontrate in aree dove non ci sono impianti inquinanti. I salentini, poi, andavano e vanno a curarsi in altre parti d’Italia e non è facile fare statistiche in base ai ricoveri. La situazione, però, è talmente grave che, prima che si scoprisse che la dirigenza del San Raffaele fosse un’associazione a delinquere, si era pensato di erigere proprio a Taranto un megaospedale targato San Raffaele per curare le malattie respiratorie.
Ora si parla di bonifiche. Come al solito avverranno a spese dello stato. L’industria inquina e guadagna, la popolazione lavora, si ammala e muore, lo stato paga i danni. Se l’industria viene messa con le spalle al muro, scatta il ricatto occupazionale. L’alternativa è subito disponibile: si chiude e si va a produrre in paesi dove non ci sono regole. Produrre acciaio senza inquinare, avendo pagato i danni, non è economicamente sostenibile. La concorrenza degli inquinatori impuniti non lascia alternative: o si lavora e si muore, o si vive e non si lavora.
C’è una sola
possibilità di uscire da questa situazione di stallo, ed è politica. Gli stati
devono arrivare a dire: sul mio territorio si possono usare solo prodotti
provenienti da attività rispettose dell’ambiente e della salute umana. Per
usare terminologie logore, il “capitale” non si cura di queste cose. Scopriamo
che i computer sono prodotti in industrie site in paesi compiacenti che
tollerano incredibili sfruttamenti delle maestranze, i palloni da calcio sono
cuciti da lavoratori bambini. Quando vediamo Made in .. e poi metteteci paesi
africani o asiatici o sudamericani… è quasi certo che il prodotto che stiamo
acquistando sia frutto di attività che danneggiano l’ambiente e la salute
umana. La prima cosa da fare è di non comprare quelle merci. Ma finiremmo per
non poter comprare quasi più nulla. Perché tutto viene trasferito in quei
paesi. E quindi è una questione da affrontare a livello di stati. Ma chi ha
trasferito, il termine tecnico è delocalizzato, la produzione è potente e può
condizionare i politici. Un giretto di parole per dire che li può comprare. Ma
queste persone da una parte distruggono l’ambiente e la salute, dall’altra
distruggono l’economia perché gli stati non ce la fanno a pagare i danni e alla
fine falliscono. Non ci sono più i soldi per curare i malati e
l’ambiente.
Per quel che vale, sono solidale con gli operai di Taranto ma sono anche
solidale con i malati e con l’ambiente, con i parenti delle vittime. Non
esistono bacchette magiche che risolvano il problema con piena soddisfazione di
tutti. Ma dobbiamo lavorare per invertire questa tendenza perversa e la prima
cosa da fare è di prendere coscienza del problema e di chiederne la soluzione.
Chi si presenta alle elezioni deve proporre soluzioni, ci deve spiegare come
intende affrontare la situazione. Ma il problema delle malattie respiratorie a
Taranto non si risolve costruendo ospedali. Non basta. Non si possono curare i
sintomi senza rimuovere le cause del male. E le cause non le cura la medicina,
le cura l’ecologia. I malati del San Raffaele di Taranto, se si fosse fatto,
cosa avrebbero respirato a pieni polmoni, aprendo le finestre delle loro stanze
con vista sull’impianto siderurgico? I tumori respiratori, comunque, non sono
più numerosi rispetto alla media nazionale solo a Taranto. Il vento porta il
fumo anche altrove, in posti che dovrebbero essere presumibilmente puliti.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 28 luglio 2012]
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Guadagni privati, costi pubblici
E così regione e governo centrale stanziano milioni di euro per bonificare i danni ambientali provocati dall’acciaieria di Taranto, realizzata come Italsider con i fondi statali e poi rilevata da Ilva, impresa privata. Ilva, giustamente, dice che i danni sono stati perpetrati a causa della natura dell’impianto, e che quindi la colpa è di Italsider. A quei tempi non c’era molta sensibilità verso i problemi dell’ambiente. Però poi le leggi sono state fatte, ma gli impianti non sono stati adeguati alle norme. Il motivo è semplice: costa troppo, non conviene. Meglio avvelenare e magari pagare qualche multa. E poi l’impianto di Taranto ha importanza strategica per l’intero paese, non si può mica chiudere! Come al solito è la Magistratura a farsi carico di imporre il rispetto delle leggi. Dopotutto quello è il suo ruolo, mi direte. Però di solito non è la minaccia di azioni legali ad imporre il rispetto della legge ma, invece, quella che un tempo si chiamava etica. Una parola ormai priva di significato. Se posso farla franca, perché rispettare la legge? Se sono forte, così forte da condizionare la politica con il ricatto occupazionale, perché obbedire alle norme? Poi arriva il magistrato “fissato” che osa chiedere il rispetto delle leggi. E non si può più far finta che tutto vada bene così. Arrivano i ministri, ovviamente scendono in piazza gli operai (le vittime del ricatto occupazionale), si minacciano disastri economici che ovviamente oscurano il disprezzo per la salute umana e per l’ambiente che hanno causato ben altri disastri. Siamo in un periodo di crisi. E tutti, ma proprio tutti, dicono che bisogna vendere il patrimonio dello stato. Ma l’Italsider l’abbiamo venduta, no? Come è andata? Chi l’ha comprata non era di sicuro un benefattore, l’ha comprata perché era un buon affare. E’ presumibile che in poco tempo abbia ammortizzato la spesa e poi abbia iniziato a guadagnare. E’ così che funziona, nel privato. Ora che c’è da pagare i danni, chi viene chiamato a pagare? Lo stato! Facciamo un ragionamento semplice semplice. Se lo stato ha dei beni che valgono e che rendono, e li vende, ha un guadagno immediato ma poi rinuncia ai proventi della gestione di quei beni, proprio come è avvenuto con Italsider. Il gioco di solito è questo: gli amministratori della cosa pubblica hanno dato vita ad imprese che poi hanno utilizzato per crearsi una folta schiera di elettori (che sono stati assunti nell’azienda di stato). Queste aziende funzionerebbero se avessero la metà degli occupati e se questi lavorassero. Ma non si possono mica licenziare i dipendenti pubblici! Allora si svende l’azienda ai privati, questi licenziano il surplus occupazionale (tanto lo stato paga con la cassa integrazione) e poi si cerca di far funzionare l’azienda (magari senza rispettare troppo le leggi).
La soluzione non è privatizzare. Lo abbiamo già visto in moltissime occasioni che i magnifici vantaggi non ci sono. La soluzione è far funzionare bene la cosa pubblica, anche licenziando i raccomandati che non lavorano e assumendo solo chi merita, senza guardare in faccia nessuno. E ogni stipendio pubblico deve rendere più del valore dello stipendio.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, agosto 2012]
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L’erosione costiera è fonte di grande guadagno
Ancora il Quotidiano si occupa di erosione costiera e, per l’ennesima volta, ripeto cose che dico da più di venti anni. La mia impressione è che il problema non si voglia risolvere in modo definitivo ma che sia invece molto conveniente che resti, in modo che soluzioni palliative, ma molto costose, continuino ad essere adottate all’infinito.
Il fatto incontrovertibile è che non si deve costruire in vicinanza della costa, soprattutto se sabbiosa. Eventuali costruzioni devono essere temporanee e rapidamente smontabili. Invece si sono costruite infrastrutture permanenti, come strade, stabilimenti balneari in cemento, case, alberghi, passeggiate, ferrovie. La costa è stata ingessata e l’aspettativa è che tutto resti come sta. Quando la natura reclama quel che è suo, come nel caso dell’erosione, si pensa di agire ingabbiandola ulteriormente, con difese costiere, massicciate, ripascimenti. Sono i palliativi di cui parlavo prima. Questo atteggiamento è stato tenuto in tutto il nostro paese, e abbiamo costruito sui vulcani, sulle frane, nei greti dei torrenti, nelle paludi, sulle montagne, nelle zone sismiche e, ovviamente, sulle coste. E in più abbiamo anche costruito male. Abbiamo pensato che l’ingegneria potesse vincere la natura, adottando la stessa filosofia che abbiamo adottato con l’economia. Sono filosofie perdenti. E continuare a perseguirle significa solo perseverare nell’errore. La soluzione è ancora ingegneristica, ma radicalmente differente da quelle messe in atto attualmente. La soluzione è: ritirata dalla costa. Nei tratti dove l’erosione è evidente, le costruzioni e le infrastrutture devono essere smantellate e devono essere ricostruite a distanza dalla costa. Ma la comunità non vuole. Quando un candidato alla presidenza regionale della Sardegna ha proposto il divieto di costruire entro una considerevole distanza dalla costa, la bocciatura è stata sonora. Democraticamente abbiamo scelto di macellare il nostro paese. In democrazia la maggioranza vince, ma non è detto che abbia ragione. Neppure la democrazia la può spuntare con la natura.
Gli interessi del partito (molto trasversale) degli alberghi, dei porticcioli, degli stabilimenti balneari (di cemento invece che di legno), dei villaggi turistici, delle strade, dei ripascimenti, delle difese costiere, è fortissimo. E la richiesta di queste infrastrutture da parte del pubblico è grande. Tutti, ma proprio tutti, vogliono la stessa cosa: che la natura ci dia quel che vogliamo. Chi, come me, dice che non è possibile e che dobbiamo noi adattarci alla natura, e non viceversa, viene visto come un guastafeste, nemico del progresso. Ci sono abituato. Le lezioni arrivano, sempre più dure, ma rifiutiamo di capirle. Tutto questo, se visto nella giusta ottica, potrebbe rappresentare una grande opportunità di crescita, proprio per i costruttori. Bisogna ridisegnare i nostri insediamenti, correggendo gli errori del passato, inventando nuove modalità di costruire, in armonia con la natura. Si tratta di una grande, anzi grandissima opera diffusa su tutto il territorio. Però chi costruisce dovrà ascoltare molto attentamente i geologi e gli ecologi. Come pure dovranno fare i legislatori, emettendo leggi molto restrittive su come e dove costruire. Il Salento ha una grandissima possibilità di sviluppo, proprio per la bellezza della sua natura, una bellezza di cui dobbiamo giustamente godere. Ma lo dobbiamo fare in modo responsabile, cambiando il nostro atteggiamento. Non sto parlando in difesa della natura: non sono preoccupato per lei, perché la natura è molto più forte di noi. Sto parlando in difesa nostra, perché dobbiamo e possiamo metterci in condizione di trarre vantaggi dalla natura che, se la si sa prendere, è molto generosa. Abbiamo confuso la sua generosità con una benevolenza che non esiste. Prima capiremo il nostro ruolo nei confronti della natura, prima saremo in grado di convivere con lei in modo armonioso. Ora non lo stiamo facendo, e le lezioni continueranno ad arrivare. La cura, lo voglio ripetere ancora, dovrà essere drastica, e i palliativi che si stanno proponendo non risolveranno un bel niente. Però faranno guadagnare molti soldi a chi li metterà in atto.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 18 agosto 2012]
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La crescita è un’illusione, pensiamo all’armonia
Nonostante tutto, si continua a parlare di crescita. L’ho detto, scritto e ripetuto mille volte, e non ho mai avuto serie contraddizioni: la crescita non può andare avanti all’infinito, semplicemente perché il sistema in cui viviamo ha dimensioni finite, e la crescita infinita (prospettata dai fautori della crescita) in un sistema finito è semplicemente impossibile. I guai in cui siamo sono anche dovuti a questa aspettativa.
La creazione di un’economia drogata dalla finanza è la prima responsabile della situazione attuale. Poi c’è la delocalizzazione delle attività produttive in aree del pianeta dove il lavoro quasi non costa nulla, e dove l’ambiente e la salute umana non sono protetti da alcuna legge. Con il risultato che le nostre industrie muoiono in patria (oppure devono operare come se l’ambiente e la salute umana non contassero nulla). La lista dei motivi della crisi è lunga e, prima di adottare terapie, è bene fare accurate diagnosi. Altrimenti le cure non possono funzionare. Ora la malattia è talmente grave che è necessaria una terapia d’urto ma, una volta guariti, dovremo cambiare radicalmente il nostro stile di vita, oppure tutto ricomincerà come prima, e peggio di prima. Il compito della politica è di presentare un progetto a medio e lungo termine (nel breve ci stanno pensando i tecnici) che ci faccia uscire dalla melma in cui siamo sprofondati. Il problema (anche questo lo ripeto da anni) è culturale. I giovani devono trovare sbocchi occupazionali, ma non si possono coltivare sogni impossibili. Tutti hanno il diritto (e io direi anche il dovere) di costruirsi una cultura, ma un conto è diventare un esperto di poeti dialettali liguri (mio padre era un esponente della poesia dialettale genovese) e un altro conto è pensare che centinaia se non migliaia di esperti di poesia dialettale possano trovare da vivere mettendo a frutto questo tipo di competenza. Persino i poeti fanno altri mestieri (mio padre era un portuale). Il mito della cultura umanistica come unica forma alta di cultura, prospettato in tutto il percorso educativo del nostro sistema scolastico, spinge moltissimi giovani a scegliere progetti di istruzione universitaria che non permetteranno sbocchi lavorativi. E il risultato sono milioni di giovani che non hanno lavoro e che neppure più lo cercano, con la prospettiva di vivere a spese della famiglia fin quando possibile. E poi? Non c’è la pensione di reversibilità per i figli, oltre una certa età! Intanto le campagne sono abbandonate o, peggio, l’agricoltura usa manodopera che alcuni non esitano a catalogare come soggetta a schiavitù. Siamo un organismo obeso che non può ulteriormente crescere, deve fare, anzi, una cura dimagrante (deve fermarsi di crescere) e deve poi intraprendere un nuovo stile di vita. Non crescere non significa tornare nelle caverne, come alcuni fautori della crescita cercano di insinuare. Il nostro futuro si deve basare su scienza e tecnologia basate su una nuova visione del mondo (una filosofia). Il concetto è semplicissimo: non possiamo continuare a saccheggiare la natura come abbiamo fatto sino ad ora. Dobbiamo inventare modi nuovi di star bene senza distruggere il capitale naturale (e umano). Certe parti del nostro sistema economico dovranno decrescere, altre dovranno crescere. Ma senza distruggere la natura, restando in armonia con lei. Questa è la sfida: ripensare la nostra vita con un solo grande obiettivo: vivere bene, senza intaccare il capitale naturale. Ovviamente non potremo continuare a crescere di numero, perché il pianeta non può ospitare un numero infinito di umani. La tecnologia, guidata dalla scienza e dalla cultura umanistica, dovrà trovare risposte. Tutte le branche del sapere dovranno collaborare per il raggiungimento di questo obiettivo, e sarà compito della politica armonizzare il tutto.
Questa crisi era ineluttabile, in molti l’hanno predetta, ma fino a quando non si sbatte la testa contro il muro non si hanno stimoli per cambiare. Ora l’abbiamo sbattuta. Se continuiamo così ce la romperemo definitivamente. La soluzione prospettata da chi vuole semplicemente la crescita, nella direzione intrapresa sino ad ora, è puro suicidio.
Ah, dimenticavo. Se mai avremo la saggezza di cambiare, dovremo soddisfare un prerequisito ineluttabile: l’onestà. Accompagnata, ovviamente, dalla competenza. Abbiamo attraversato un periodo storico in cui la competenza si comprava in modo disonesto, magari conseguendo lauree fasulle in improbabili università. Non si va lontano, con queste pratiche. Leggo di un presentatore a me sconosciuto che pare abbia evaso il fisco per milioni di euro. Milioni. Ovviamente disonesto. Ma in che consisteva la sua competenza? Perché ha potuto guadagnare tutti quei soldi senza avere particolari doti? Ho visto penosissimi brani di suoi spettacoli e mi preoccupa molto pensare che gente del genere possa guadagnare milioni. Se hanno un mercato è evidente che una grande fetta della popolazione li trova attraenti. E qui torniamo alla cultura. Come dice una canzone attualmente in voga, non può bastare un bel sedere per ambire a posti di rilievo nella gestione politica del paese. E invece è bastato, eccome! La cultura va rifondata, e il lavoro richiesto per farlo è immane. Ma ora ricomincia il campionato, no? E quindi avremo altro a cui pensare.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 2 settembre 2012]
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Tutti i tubi vengono per nuocere?
Leggo che il Comitato di Valutazione di Impatto Ambientale della Regione ha bocciato il progetto della Trans Adriatic Pipeline (TAP), riguardante la posa di un tubo (un gasdotto) che, dal lontano Oriente, dovrebbe portarci il gas (ci cui abbiamo un certo bisogno). Non sono competente per quel che riguarda gli ambienti terrestri, e non voglio parlare di cose su cui non sono ferrato. Non posso quindi pronunciarmi sull’impatto che TAP avrà sugli ambienti terrestri. Però qualcosa sul mare la so. So, per esempio, che abbiamo devastato le coste con migliaia di costruzioni (spesso abusive) che hanno innescato processi di erosione costiera ai quali cerchiamo di rispondere costruendo muri di vario tipo (con risultati molto scarsi). So che ci sono decine di tubi che portano in mare i liquami delle nostre fognature (da qualche parte dobbiamo pur metterli) e so anche che sono stati approvati progetti di posa di alcuni di questi tubi su praterie di Posidonia, una pianta marina di interesse comunitario. Ho visto, ma non molto in dettaglio, il progetto della TAP e ricordo che prevede di scavare un tunnel sotto le praterie di Posidonia, in modo da non intaccarle. Costa molto, ma ne vale la pena. Il tubo di TAP è di 90 cm di diametro e trasporta gas. Che io sappia non ci sono mai stati incidenti che abbiano avuto l’impatto che invece hanno le condotte che trasportano petrolio o liquami, per non parlare degli impianti di estrazione di petrolio.
Se TAP ha un impatto rilevante sull’integrità dei nostri ecosistemi, ovviamente sono il primo a dichiararmi contrario. Solo non riesco a capire come si possano tollerare tutte le cose che continuamente devastano il nostro territorio, e che continuano ad accadere, per dedicare una grandissima attenzione a qualcosa che, nel contesto della situazione ambientale delle nostre coste, ha un impatto veramente locale (e un interesse generale, visto che ci porta il gas di cui abbiamo bisogno).
Le tartarughe sono certamente più disturbate dalle tonnellate di spazzatura portate dal mare che si accumulano sulle nostre spiagge, rispetto a un tubo di 90 cm di diametro, sepolto sotto più di un metro di sabbia. Quella delle tartarughe è una scusa puerile!
Ma da qualche parte bisogna pur cominciare, e se la battaglia contro TAP è l’inizio di un processo che vedrà maggiore rigore nella difesa dell’ambiente… ben venga! Ora mi aspetto che vengano demolite le costruzioni in territorio demaniale (sono decine di migliaia), e che i tubi delle nostre fognature siano costruiti senza distruggere o comunque danneggiare le praterie di Posidonia, che la spazzatura venga rimossa dalle spiagge e dalle campagne, con severa repressione per chi la disperde. Mi aspetto che il business delle difese costiere venga ridimensionato (visto che deturpano l’ambiente e non servono gran che), che non si diano le autorizzazioni a deturpare le coste con residence che prevedono lo smantellamento delle rocce, come mi pare stia accadendo a Santa Cesarea, o che vengano ridimensionati i progetti che porteranno a costruire una miriade di porticcioli turistici che poi resteranno vuoti per gran parte dell’anno, fornendo però la scusa per costruire “infrastrutture” a terra (cioè altri residence e alberghi). Il fervore edilizio non si placa mai, e la rete di interessi che lo sostiene è amplissima. Poi ci si libera la coscienza con la TAP!
Il bene del
paese forse dipende di più da quel gas portato da un tubo di 90 cm di diametro
che non da tutte quelle aggressioni al territorio che ho appena menzionato. E
ce ne sono molte altre, ma non voglio annoiarvi con ulteriori esempi.
Mi viene in mente la storia della pagliuzza nell’occhio di altri, rispetto al
tronco nel nostro. Anche la pagliuzza dà fastidio ma, se ci sono priorità,
forse sarebbe meglio pensare prima al tronco.
Mi trovo in una strana posizione, ora. Essendo un “paladino” dell’ambiente, dovrei essere contento di questo pronunciamento contro TAP. Lo sarei, se pronunciamenti analoghi avessero prima colpito tutte le magagne che ho menzionato, con azioni mirate a rimuoverle. Ma, nella situazione attuale, questo fervore ambientalista mi insospettisce. Ripenso al tubo di fognatura che verrà posato su una prateria di Posidonia e mi insospettisco per la bocciatura del microtunnel di TAP, che dovrebbe lasciare la prateria intatta, con la dimostrazione che i tubi possono essere posati senza grossi danneggiamenti a specie di importanza comunitaria (basta avere la tecnologia adeguata). Ho avuto occasione di vedere il progetto di TAP per quel che riguarda la parte marina (senza essere esperto di parte), e mi viene da dire che la tecnica di posa del tubo dovrebbe essere seguita anche per le tubazioni delle fognature, rappresentando una sorta di modello (che per ora non viene seguito, anzi i progetti che lo proponevano sono stati bocciati, a favore di progetti che prevedono la posa delle fognature sulle praterie). Ovviamente i comitati contrari pare non chiedano che non si faccia la TAP (del gas abbiamo bisogno), vogliono solo che venga fatta da un’altra parte!
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 13 settembre 2012]
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Ragioni a confronto
Alberto Santoro, dalle colonne del Quotidiano, mi invita a leggere le motivazioni del no al gasdotto. Le leggerò (ora sono all’estero e non mi è facile trovarle). Mi chiedo però perché non le abbia esposte nel suo articolo, sollevando invece un polverone che ripete quel che ho scritto nell’articolo in cui esprimevo sorpresa verso le modalità di questa presa di posizione anti TAP. Lo so che c’è la cementificazione, che c’è Cerano, e l’ILVA, l’erosione costiera, le trivellazioni etc. etc. E sono totalmente d’accordo, l’ho scritto tante volte, nel ritenere che lo sviluppo del Salento debba passare attraverso tre assi principali: agroalimentare di alto livello, beni culturali, ambiente di alta qualità. Penso che sole e vento siano risorse da sfruttare, ma non nei modi attuali. So perfettamente, ho scritto un libro e decine di articoli su questi argomenti, che dobbiamo cambiare il nostro modo di concepire la nostra economia. Dobbiamo consumare meno e meglio. Ma non sarei contento di tornare al lume a petrolio. Nel mio intervento, ho elencato tutti questi attacchi e ho chiesto come mai ci sia questo accanimento proprio contro il gasdotto, mentre gli altri casi passano nell’ombra (primo tra tutti l’erosione costiera dovuta all’uso scellerato della fascia costiera da parte di “gente” a cui l’ambiente non sta per niente a cuore, se non per abusarne). Ora mi si portano tutti questi argomenti come supporto al no al gasdotto. Sono sorpreso. Il gas è una fonte energetica accettabile, tra le tante che possiamo usare. Ho riportato in modo puntuale il fatto che in quel progetto sia previsto un microtunnel sotto le praterie di Posidonia, mentre sono stati approvati progetti di condotte poste sopra la prateria, senza che nessuno dicesse nulla. Mi piacerebbe avere risposte su questo.
Perché mi piacerebbe che il modo proposto da TAP per la posa di tubazioni (come le condotte fognarie: non possiamo abolire tutte le tubazioni!) in presenza di posidonia fosse un obbligo nella nostra regione. E il progetto di TAP è lì a dimostrarlo. La questione tartarughe non ha senso, davvero. L’omino in fiamme e lo slogan sul gasdotto che ci uccide non mi piacciono, lo voglio ripetere. Esagerare i pericoli per far presa sulla “gente” fa parte di una retorica oramai logora. Il comandante Cousteau, quarant’anni fa, disse che il Mediterraneo sarebbe morto in vent’anni. Passati i vent’anni, morì Cousteau e il Mediterraneo è ancora vivo. Nel frattempo si è persa fiducia nel catastrofismo di chi grida al lupo senza che ci sia il lupo. Nella storiella, poi, il lupo arriva e nessuno crede più che ci sia davvero. Ecco, a me preoccupa questo. Perché gli attacchi all’ambiente ci sono e sono continui. Se la “gente” viene orientata contro un capro espiatorio, dimenticando tutto il resto, o utilizzando il resto per scagliarsi nuovamente contro quel capro espiatorio, viene meno proprio quella visione alternativa di cui parla Alberto Santoro. Non comprendo l’invito a “scendere tra la gente”. Sono decenni che lo faccio, e a volte ho dovuto confrontarmi con “gente” ostile all’istituzione di Aree Marine Protette, o a “gente” a cui non importa se la pesca dei datteri di mare devasta i nostri fondali per decine e decine di chilometri (sono buoni!). Alla “gente” spesso l’ambiente non interessa gran che, soprattutto se si è fatta la casa sulla battigia, e sono decenni che, scendendo tra la “gente”, a volte in totale isolamento, ho condotto e conduco azioni in difesa della natura, correndo anche rischi per la mia incolumità fisica. Da tre anni, con la “gente”, sto facendo il progetto di scienza dei cittadini sugli avvistamenti di meduse. Non ho mai detto no a nessun invito, andando dovunque venissi invitato, fossero iniziative dell’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti o dell’Azione Cattolica, con tutto quello che c’è in mezzo. L’invito è inutile, ci sono continuamente tra la “gente”. Mi piacerebbe una manifestazione in cui esponenti di TAP raccontassero il progetto e si sottoponessero a tutte le domande che un gruppo qualificato di esperti vorrà porre loro. I processi fatti dalla “gente” spesso finiscono con i linciaggi. Magari si lincia un colpevole, ma è sempre un linciaggio. Che si faccia un processo, con accusa e difesa. Le giurie popolari non possono certo essere composte da chi ha già emesso un verdetto (l’omino in fiamme e certi slogan sono un verdetto).
La competenza in campo ambientale non si acquisisce tra la gente, ma studiando e lavorando sui problemi dell’ambiente. Nessuno si farebbe curare dalla “gente”, penso che sia normale che ci si affidi a chi ha studiato medicina. Nel campo ambientale tutti si sentono esperti, anche se fanno altri mestieri. Quindi, per favore, lasciamo perdere “la gente” e esponiamo i fatti concreti, con un’analisi costi benefici. E che si cambi quel logo e quello slogan in qualcosa di serio, se si vuole essere presi sul serio. Sono stato a una riunione anti trivellazioni petrolifere qualche mese fa. C’era anche un ingegnere petrolifero. E’ stato preso a male parole, e non ha potuto esprimere il suo pensiero pienamente, mentre una demagoga arringava con argomentazioni risibili la folla urlante. Sono contrarissimo alle trivellazioni sul fondo del mare (come sono contrarissimo al nucleare) e penso che ci siano tante buone argomentazioni contro di esse ma, in quel momento, mi venne voglia di essere favorevole. Avrei dovuto prendere la parola, a quell’incontro, ma me ne andai disgustato. Pur non approvando le trivellazioni, non avevo alcuna voglia di essere accomunato a quel tipo di “contrari” che, in quel momento, erano i beniamini della “gente”. Colgo l’occasione, oggi, per esprimere solidarietà a quel povero ingegnere (aveva torto, per come la vedo io, ma aveva tutto il diritto di esporre le sue ragioni).
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 23 settembre 2012]
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Dal ponte ai maiali, ritratto di un Paese che ha bisogno di reagire
E così il
Ministro dell’Ambiente ci dice che il Governo non intende fare il Ponte sullo Stretto di Messina.
Abbiamo scherzato. Fin da subito, in molti, soprattutto i geologi,
avevano detto che l’opera non è possibile.
La costa calabra e quella sicula sono su placche differenti che vanno
in direzioni opposte. Unirle è molto rischioso. Non per nulla il terremoto
di Messina ha causato una catastrofe immane, con un maremoto (allora non
si usava la parola giapponese tsunami) di proporzioni bibliche. Per
anni, però, il Ponte è stato un importantissimo capitolo di spesa. Si sono
fatti studi, progetti, revisione di progetti, convegni,
conferenze, pubblicazioni. Pare che l’importo medio per la progettazione
di un’opera sia pari al dieci per cento del costo effettivo. Già così le
cifre sono pazzesche. Milioni e milioni di danaro pubblico se ne sono
andati a fronte di qualcosa che… non si farà! Striscia la Notizia e Le
Iene ci fanno continuamente vedere opere non finite, costate milioni e
milioni di euro. La stessa cosa, in modo più serioso, ce la fa vedere
Report. Ma quelle opere non finite sono lì, sono visibili e testimoniano
l’incapacità. Poi ci sono quelle come il ponte: non esistono neppure, ma
sono costate anche di più. L’Italia è maestra di frodi all’Unione
Europea. Le zone industriali delle nostre città sono piene di capannoni
abbandonati, frutto di frodi. Gli imprenditori capaci e abili sono
danneggiati dai loro colleghi disonesti, perché l’immagine del nostro Paese
degenera e il danaro, per noi, costa sempre di più. Questo è lo spread. E’
un indice della nostra reputazione.
Prestare danaro ai tedeschi non comporta rischi, e quindi si chiedono interessi bassi. Prestarlo agli italiani è rischioso, perché falliscono, non fanno le opere, oppure le fanno a costi che lievitano in modo abnorme. Se è rischioso, è logico che gli interessi siano alti. Il rischio si paga. La differenza di interessi per i prestiti a noi rispetto a quelli ai tedeschi è proprio lo spread: non fa altro che quantificare con un numerino il divario tra la nostra affidabilità e la loro. I disonesti non si curano di questo, tanto i soldi li fanno sparire. Magari con qualche falso in bilancio che nel nostro paese è stato depenalizzato. Vi fidereste a mettere i vostri soldi in un sistema paese che non punisce duramente chi falsifica i bilanci? Poi ci sorprendiamo che gli stranieri non investano nel nostro paese. Non sono mica scemi! Dobbiamo ricostruire l’immagine del nostro Paese. E’ la nostra prima emergenza. Abbiamo buoni messaggeri: tutti gli italiani bravi, bravissimi, che lavorano all’estero. Ma sono all’estero perché il sistema italiota li ha espulsi. Non c’è posto per i capaci, da noi. Chi ha gestito il potere ha fatto proliferare la furbizia e ha mortificato la competenza e l’onestà. Chi non ha abilità appetibili all’estero e non ha accesso al gioco dei “furbi” resta qui, e tira a campare, con lavori precari a meno di mille euro al mese. I nostri giovani diventano vecchi e per ora sopravvivono con l’aiuto delle famiglie. Ma poi? Intanto vediamo sprechi incredibili di danaro pubblico che potrebbe essere investito per fini virtuosi e che invece finisce nel nulla. Le feste con maiali e ancelle mi danno fastidio, ma ancor più fastidio mi danno le opere non fatte, che sono costate più di quelle che, in altri casi, sono state fatte. E poi mi danno fastidio i fondi non spesi, che dobbiamo restituire all’Unione Europea per mancata progettualità. E torna, prepotente, il problema dell’incapacità e dell’incompetenza, accanto al problema della mancata responsabilità di scelte errate. I giovani devono entrare in politica, ma devono essere diversi dai loro predecessori. Nicole Minetti è giovane, come è giovane il festaiolo vestito da Ulisse che fa la festa con porci e ancelle. Non basta essere giovani. Fiorito è giovane, e come lui tanti, tantissimi politici. Molti sono donne. Addirittura chiamate a fare il ministro. Qualcuno mi dice che sono un complottista, uno che vede complotti. Io sono convinto che questo sfacelo sia dovuto a lobbies che promuovono scientificamente l’incapacità acquiescente. Ti metto in un buon posto, hai tanti soldi, ma fai quel che ti dico. Queste lobbies si chiamano massoneria (la P2 ve la ricordate?), Opus Dei (l’affare Marcinkus vi dice niente?), Comunione e Liberazione (con il San Raffaele), sindacati (a presiedere la Regione Lazio è stata chiamata una sindacalista), le cooperative, non si salva nessuno. Ci sono le organizzazioni di facciata e poi ci sono le deviazioni. Fa ridere mentre lo si scrive. Ma effettivamente queste persone sono ridicole. Li vedo, col grembiulino mentre passano mezz’ora nella stanza buia, con la bara. E poi giurano. Si sentono importanti, fanno parte di un gruppo che li ha accettati, e sono grati di essere finalmente “qualcuno”. Si proteggono a vicenda, mentre gli “altri” sono disorganizzati. Queste combriccole sono in tutti i partiti, trasversali, pronte a entrare in azione qualunque sia l’esito di un’elezione. A forza di promuovere imbecilli siamo arrivati alla farsa. E’ esilarante vedere il fondatore di un partito che è partito da una loggia massonica (ovviamente deviata, si chiamava P2) che dice di volerlo sciogliere perché ci sono troppi disonesti. Bastava lui. La vecchia saggezza dei proverbi dice: chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Anche i regionales del Lazio volevano i loro festini, con tanto di Olgettine compiacenti. Perché solo il capo?
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 13 ottobre 2012]
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Cosa ci possiamo aspettare dalla scienza
I tecnici che avevano rassicurato la popolazione de L’Aquila, minimizzando il rischio di terremoti devastanti a seguito del persistere di sciami sismici, che avevano indotto altri tecnici a prevedere catastrofi, sono stati condannati a sei anni di reclusione. Si sono difesi dicendo che non è possibile prevedere terremoti, e in questo hanno pienamente ragione. Però, come non è possibile prevedere che avvengano, è altrettanto impossibile prevedere che non avvengano. In Emilia si pensava che i rischi di terremoto fossero minimi. E il terremoto è arrivato.
Questo problema particolare è sintomo di una situazione generale. La scienza ha promesso mirabilie, per avere finanziamenti e considerazione. A volte esagerando nella potenza delle sue possibilità. I medici ci hanno quasi convinto che tutte le cause di morte possano essere rimosse, e ora ogni volta che qualcuno muore si fa causa al medico di turno, perché è impensabile che si muoia! Il risultato è che nessuno osa più prendersi responsabilità e, alla fine, tutti dipingeranno gli scenari più foschi, per poi sentirsi tacciare di allarmismo. L’ho scritto altre volte, sul Quotidiano: non esiste altro mezzo, al di fuori della scienza, che ci permetta di capire come funziona il mondo. Se abbandoniamo la scienza come “modo per conoscere”, non abbiamo altro. Certo, ci possiamo affidare a santi e madonne, o a guaritori e maghi. Ma anche i Papi si fanno operare, se si ammalano di cancro.
Non ci sono alternative alla scienza. Però sappiamo che gli scienziati spesso sono in disaccordo tra loro. Uno dice una cosa, e un altro ne dice un’altra. A chi credere? Se volete credere a me, vi dico che bisogna diffidare di chi ha soluzioni pronte a tutti i problemi, minimizzando la propria ignoranza. La scienza ha come scopo di diminuire l’ignoranza, e siamo ancora molto ignoranti. Più conosciamo, più ci rendiamo conto della nostra ignoranza. Ogni soluzione ci porta a scoprire nuovi problemi. Non arriveremo mai a sapere tutto e, alla fine, dovremo, una volta acquisite tutte le informazioni possibili, basarci anche sul buon senso. Non posso prevedere quando gli ecosistemi che ci permettono di vivere smetteranno di darci i loro beni e i loro servizi. Qualcuno ha previsto che entro il 2048 non ci saranno più pesci da pescare. Non me la bevo. Però vi assicuro che se continueremo ad abusare in questo modo della natura, prima o poi questa si ribellerà a quello che le stiamo facendo. Questa frase l’ho presa, pari pari, da un discorso di Giovanni Paolo II. Quel “prima o poi” è una previsione debole. Dire che questo succederà nel 2048 è una previsione dura. Entrambe le previsioni, però, ci dicono che non possiamo continuare così. Stiamo abusando del pianeta. In Italia, poi, abbiamo anche abusato del buon senso. Non si costruiscono case col cemento depotenziato. Alla minima scossa vengono giù. Una volta che la scienza (e anche il Papa) ci dicono che abbiamo intrapreso una strada sbagliata, dobbiamo prenderne atto e modificare il nostro progetto di vita, in quanto specie. Chi ci promette la crescita infinita ci sta prendendo in giro. Come ci prende in giro chi ci promette che tutte le cause di morte saranno debellate. Facendoci pensare che la durata della nostra vita sarà infinita. Poi si muore, e ci sono le crisi economiche, e ci sentiamo truffati.
La soluzione di questo problema è di investire ancor di più sulla scienza, credendo agli scienziati che abbiano una qualità oramai molto rara: l’umiltà che deriva dalla consapevolezza della propria ignoranza. Ma i politici non vogliono risposte umili, vogliono risposte certe. E tra chi dice che non si può rispondere con certezza e chi dice di esser certo, preferiscono le certezze. Chi propone soluzioni è benvenuto, chi evidenzia problemi è mal visto. Peccato che le soluzioni adottate spesso generino problemi ancora maggiori. Però, guardiamoci indietro. La scienza e la tecnologia ci hanno migliorato la vita in modo inequivocabile. Al prezzo di distruggere il pianeta… Dobbiamo ridirezionare gli investimenti, in modo da continuare a star bene, ma senza distruggere le premesse del nostro star bene. E le premesse sono che l’ambiente deve essere in ottime condizioni. E’ progresso costruire un’acciaieria che dà lavoro a migliaia di persone al prezzo della loro salute? Non lo sapevamo. Ora lo sappiamo. Ma poi non è vero che non lo sapevamo. Qualcuno lo dice da tanto tempo, ed è tacciato come nemico del progresso. Progresso, ora, è vivere in armonia con la natura, e non contro di essa. Dobbiamo costruire meglio, coltivare meglio, distribuire meglio, curare meglio. Posso andare avanti e elencare tutte le nostre attività, facendole poi seguire da un “meglio”. Questo si fa con la scienza e con la tecnologia. Anche se penso che abbiano sbagliato, sono solidale con quei tecnici condannati. Il loro errore è stato di fare quel che si chiede alla scienza e che la scienza non può dare: prevedere con esattezza il futuro. Però, credetemi, le tendenze le vediamo molto bene. E la tendenza che vediamo è che non possiamo andare avanti così. La natura si ribellerà. Anzi: la natura si sta ribellando. Se qualche scienziato vi dice che tutto va bene, non credetegli. Questo è un fatto certo. Ora dobbiamo pensare a come risolvere i problemi in cui ci hanno cacciato tutte le certezze del passato. Con umiltà.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 25 ottobre 2012]
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La lezione di Sandy
Jane Lubchenco
è l’equivalente del sottosegretario all’ambiente dell’amministrazione Obama. La
conosco personalmente, perché è prima di tutto una zoologa e una biologa
marina, e quindi una collega, che è stata chiamata a rivestire un ruolo chiave:
gestire l’ambiente degli Stati Uniti. La scelta di Jane mi ha fatto capire che
gli USA ci tengono molto all’ambiente. Ho però seguito con attenzione i
dibattiti tra Obama e Romney e ho visto che l’ambiente non rientra nei loro
interessi. Non una parola. Mai.
Poi è arrivata Sandy, e ha flagellato New York, uccidendo decine di persone. La
città più importante del mondo, capitale economica del paese più potente del
mondo, si è ritirata come una tartaruga nel suo guscio, aspettando che il
peggio passasse, e ora si sta leccando le ferite. Obama ha avvertito la
popolazione, non ha sottovalutato l’emergenza, ed ha abbandonato la campagna
elettorale, recandosi immediatamente sul luogo colpito. Cosa che Bush non fece,
quando Katrina si abbatté su New Orleans. Ora pare che questa mossa farà la
differenza, e che Obama abbia maggiori possibilità di vittoria.
La Natura, se mai avesse una volontà, non avrebbe potuto dare segnale migliore
per far notare la propria importanza ad un paese che si ritiene fortissimo. Uno
schiaffetto è arrivato, un buffetto. Tra l’altro anche a New York hanno dovuto
chiudere centrali nucleari. Con la natura non si scherza.
Noi non facciamo che scherzarci. Il cambiamento climatico è colpa nostra. Consumiamo troppo ossigeno, e produciamo troppa anidride carbonica. Siamo una specie che brucia cose. La nostra vita è basata sulla combustione. Questo cambia il clima, e rende più intensi gli eventi estremi. D’estate fa molto più caldo, d’inverno fa molto più freddo. Per molto tempo non piove, poi arrivano le alluvioni. E gli uragani. Queste cose sono sempre successe, in passato. Lo sappiamo. Ma mai con questa frequenza. E con un trend così chiaro. Oramai i negazionisti hanno perso ogni argomento. Stiamo usando l’ambiente in un modo folle, e la natura presenta il conto. Alluvioni, terremoti, uragani, inondazioni, frane, erosione, innalzamento del livello del mare per maree estreme, e molte altre catastrofi continuano a ricordarci che stiamo sbagliando.
La crisi economica non è nulla al confronto della crisi ambientale. E la crisi ambientale ha forti impatti su quella economica. Poi ci sono i veleni che spargiamo dappertutto, a causa di un modo dissennato di produrre. Li abbiamo in casa.
Questa crisi ci deve far capire una cosa semplice: dobbiamo cambiare radicalmente il modo di produrre e di consumare. Ci dobbiamo reinventare tutto. Non basta spostare un’industria inquinante in India o in Cina. Poi gli effetti arrivano anche qui. La globalizzazione è una cosa seria e non si può scappare. Sono secoli che alcuni scienziati dicono queste cose. Secoli. Ma sono sempre stati inascoltati. Ora le loro previsioni catastrofiche si stanno avverando. Stiamo attraversando catastrofi economiche ed ecologiche, assieme. La risposta a tutto questo è una sola: armonia. Noi dobbiamo imparare a vivere in armonia con la natura, la dobbiamo rispettare e lei ci rispetterà. Invece cerchiamo di soggiogarla, di vincerla, pensiamo addirittura di migliorarla, ritenendo di saper fare meglio di lei. La nostra tecnologia e la nostra scienza ci devono mettere in condizione di ristabilire questa armonia con la natura, diventando più umili e diminuendo le nostre pretese. Se lo faremo, forse ce la caveremo. Se non lo faremo, la natura saprà come comportarsi con noi. Per ora siamo bambini indisciplinati che ricevono un buffetto. Ma se non capiremo la lezione, le punizioni saranno sempre più dure. Lo so che dico sempre le stesse cose: lo faccio perché mi rendo conto che si continuano ad ignorare, e si prosegue come se niente fosse in una direzione follemente errata. Ci si continua a dire che dobbiamo crescere sempre di più, dobbiamo produrre sempre di più e consumare sempre di più. Solo così le cose potranno andar bene. E’ sbagliato, è una truffa. Dobbiamo progredire verso l’armonia con la natura, e questo cambiamento radicale di prospettiva, una vera rivoluzione, offre grandissime opportunità di lavoro e di sviluppo. Volendo usare un termine che non mi piace: di crescita. Ma in armonia con la natura, non contro di lei.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 3 novembre 2012]
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Maremma amara. Presi a schiaffi da Madre Natura
Ancora disastri per l’acqua che, dai monti, scende a valle. Ancora la Toscana, dopo molte altre regioni. Disastri. La maremma era una palude, e c’era la malaria. Fu bonificata ai tempi del fascismo e quelle paludi diventarono fertili campi. Come avvenne anche in Salento, dove ci sono aziende di bonifica che, appunto, si basano sulla “nuova” terra da coltivare, rubata alla palude.
Rubata, appunto. Siamo ladri della natura e, ancora una volta, mi trovo a dire che con la natura non si scherza. Le si può rubare qualcosa, ma poi se lo riprende con gli interessi. Possiamo pensare di soggiogarla per un po’, ma poi torna prepotente e si riprende in pochi minuti quello che le abbiamo strappato con duro, durissimo lavoro, e sacrifici, e speranze. Ha senso tutto questo? Possiamo pensare di battere la natura con un po’ di cemento? Le lezioni arrivano durissime, una dopo l’altra. E vien da pensare che la natura sia cattiva, matrigna, non madre. E sono di nuovo qui a dire che non va bene, stiamo sbagliando tutto. Un grande, grandissimo piano per l’Italia deve essere la rinaturalizzazione del nostro territorio. E una modalità di abitare, di coltivare, di produrre e di consumare che sia in armonia con le caratteristiche del nostro territorio.
In parte lo abbiamo capito. Le Cesine sono paludi, e le difendiamo. Le difendiamo perché abbiamo capito che le paludi sono preziose. Si prendono quell’acqua che, ogni tanto, arriva. Sono un’assicurazione. L’assicurazione si paga, e si paga anche se non si hanno incidenti. A prima vista è denaro sprecato, ma se ci sono incidenti si capisce subito che l’assicurazione serve. Noi, invece, abbiamo lesinato i soldi per l’assicurazione e li abbiamo spesi per fare miglioramenti all’auto (il territorio). Ma ci stiamo accorgendo che i soldi risparmiati non bastano a coprire i danni degli incidenti, e che quei miglioramenti aumentavano le prestazioni della macchina, ma ne diminuivano la sicurezza. Cattiva, cattivissima economia, se non tien conto della natura. Irresponsabile. E che non ci vengano a dire che sono tragiche fatalità. La maremma ritorna maledetta e ritorna palude.
Dobbiamo inventare nuovi modi di vivere. Le tecnologie devono cambiare direzione, a partire da una nuova cultura. La scienza, mi spiace ripeterlo, lo dice da sempre che queste cose non si possono e non si devono fare. Ma ci hanno sempre trattato come menagramo, e le tecnologie arrivavano a dire: nessun problema, ci pensiamo noi! E hanno fatto danni che ora sta riparando la natura, spazzando via tutto. Le tecnologie non possono ignorare quel che la scienza insegna. Una piccola digressione, ora. Gli scienziati del terremoto, quelli de L’Aquila, non sono stati condannati perché la scienza ha sbagliato. Dalle intercettazioni è scaturito che, bene o male, concordavano con i politici le loro dichiarazioni, asservendo la scienza alla convenienza politica. Le case sono state fatte male (cattiva tecnologia) e in posti dove non si dovevano fare (cattiva scienza). Poi la gente muore. Non cadiamo nella trappola di dire che, allora, scienza e tecnologia sono cattive. La soluzione è di fare buona scienza da cui scaturisca buona tecnologia. La prima misura di una nuova cultura sarà l’introduzione, prepotente, della Natura nella nostra cultura, magari introducendola anche nella nostra Costituzione, dove qualcuno pensa che sia sufficiente dire Paesaggio, nell’articolo 9, per comprendere anche la Natura. Non è sufficiente, non basta. Bisogna passare dalla concezione estetica del paesaggio a quella strutturale e funzionale di Natura, intesa come insieme di ecosistemi interconnessi che potrebbero anche non costituire, insieme, un paesaggio esteticamente percepibile. Quel che facciamo nella pianura padana influenza l’Adriatico. Sbarrare un fiume non porta più sedimenti al mare, e causa erosione costiera. Non basta il paesaggio, inteso come nell’Articolo 9 della Costituzione. Ci vuole di più. La missione di un’Università è di produrre la cultura alta del paese, con la formazione di nuovi cittadini a grande qualificazione. Capire la Natura, conoscendola, dovrebbe essere un requisito indispensabile per “licenziare” cittadini ad alta qualificazione, qualunque sia la loro specializzazione. Perché l’Uomo, senza la Natura, non può vivere ed è assurdo che ci siano donne e uomini con formazione ad alta qualificazione che possano non tenerne conto, semplicemente perché la ignorano. Ora la ignorano, e poi la maledicono se li prende a schiaffi. Noi che studiamo la natura continuiamo a dire cose ovvie, tipo: non si attraversa un’autostrada! Non veniamo ascoltati, l’autostrada si attraversa, e si viene travolti da un TIR e la colpa è del TIR! Oppure siamo noi i menagramo che, dicendolo, abbiamo favorito l’incidente. Le autostrade non si attraversano! Con la Natura non si scherza. Altrimenti si viene travolti.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 14 novembre 2012]