Scritti ecologici. Anno 2011

Per capire, possiamo fare un’analisi a posteriori dei benefici di un’impresa e dei costi sostenuti. Un caso a caso: l’acciaieria di Taranto. I costi sono gli impianti, le materie prime, l’energia per far funzionare gli impianti, i costi del personale, le assicurazioni, i trasporti e altre voci del genere. I benefici sono diretti (il prezzo di vendita dell’acciaio prodotto) ma ve ne sono anche moltissimi indiretti. Per esempio l’indotto, e la ricaduta occupazionale che migliora il tenore di vita (in termini di capacità di spesa) degli impiegati. Si possono monetizzare tutte queste voci e si può calcolare il vantaggio ad aver fatto l’acciaieria. In questi termini, molto probabilmente il vantaggio c’è. Tanto che, se i vantaggi che rivengono direttamente all’impresa (il ricavato delle vendite dell’acciaio) non pagano i costi sostenuti per la produzione, magari interviene lo stato che, in effetti, è avvantaggiato dal beneficio della piena occupazione. Per non parlare dell’indotto.

Fino ad ora ha funzionato così. Ma quanto vale l’ambiente su cui è stata costruita l’acciaieria? Mar Grande e Mar Piccolo di Taranto erano due tesori ambientali, un ambiente unico al mondo, sia dal punto di vista ecologico sia da quello paesaggistico. L’impianto della maggiore acciaieria d’Europa non ha certo giovato a quell’ambiente. Si può monetizzare questa perdita? Si può inserire nell’analisi costi benefici? Non è facilissimo perché, oltre al suo valore intrinseco, si potrebbe pensare a quanto si sarebbe potuto guadagnare con il suo sfruttamento turistico. Avrebbe potuto diventare una Costa Smeralda, oppure no. E nessuno lo può dire. Gli abitanti di Taranto hanno tra i più alti tassi di tumori all’apparato respiratorio del mondo. Del mondo! Prima non li avevano. Poi è arrivata l’acciaieria e ora li hanno. Quanto valgono i polmoni dei Tarantini? Ora che ci sono le cause collettive, con un buon avvocato, potrebbero, tutti assieme, valere molto di più dei soldi ricavati dalla vendita dell’acciaio. Ma poi, pensateci bene, ci sono soldi che valgono i vostri polmoni? Pensateci meglio: ci sono soldi che valgono i polmoni dei vostri figli? Perché un padre, per dar da mangiare ai figli, potrebbe anche decidere che i suoi polmoni valgono il benessere dei suoi figli. Ma nessuna persona normale è disposta a barattare la vita dei propri figli per una somma di danaro. Forse qualche disperato li venderebbe a qualche ricco sterile, ma lo potrebbe fare sapendo che la vita di quei bimbi migliorerebbe. Ma qualcuno baratterebbe la vita dei suoi figli per del denaro? Magari come donatori di organi? E come lo valuteremmo, eticamente, questo venditore di bambini se davvero esistesse?

Ci sono cose che i soldi non possono comprare. Non ci sono benefici che valgono questi costi. Una legge della politica, soprattutto in guerra, può essere quella del male minore. Muoiono mille persone, ma la loro morte ne salva centomila. Se i tuoi figli non sono tra quelle mille persone, magari puoi anche decidere che ne vale la pena. Il martire può decidere che valga la pena di immolare la propria vita per salvare le vite di altri, ma l’altruismo ha un limite.

Come hanno risolto questi problemi gli economisti? Con una pratica semplicissima: l’esternalizzazione. I costi ambientali, i costi sociali, sanitari, etc. sono tenuti all’esterno del bilancio. Non ci sono. Ovviamente i costi in danaro li paga lo stato. La cura dei malati, il risanamento degli ambienti. Può succedere che qualche impresa sia chiamata a pagare per i danni che ha provocato, ma è molto difficile. A volte è addirittura difficile provare che i mali siano stati davvero provocati da quell’azienda. Le aziende, poi, hanno ottimi avvocati. E poi, se tutto va in malora, rimane il ricatto occupazionale: allora licenzio tutti! E se si fanno leggi troppo stringenti, l’economia ha inventato un’altra pratica magica: la delocalizzazione. Porto gli impianti in stati in cui le leggi sono meno restrittive, dove si può inquinare impunemente, dove la salute dei lavoratori e degli abitanti non vale proprio nulla, e dove non c’è possibilità che qualcuno ti faccia causa, anche perché, magari, è facile pagare i politici locali. E quindi: tu, stato, mi fai leggi troppo restrittive? E io porto la mia fabbrichetta dove queste leggi non ci sono. La fabbrica chimica più pericolosa del mondo è stata trasferita a Bophal.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. L’economia mondiale è in crisi ma, ancora peggio, sono gli ecosistemi planetari ad essere in crisi. La globalizzazione non è solo quella delle economie, la globalizzazione è prima di tutto ecologica. Il DDT è stato trovato nel grasso dei pinguini del polo sud e negli orsi bianchi del polo nord. Il DDT non è stato impiegato nè al polo sud nè al polo nord. Non ci sono confini per la contaminazione e la distruzione del pianeta. Dopo un po’, quindi, il sistema tende a collassare.

Allora poniamo una domanda semplice semplice. L’uomo fa parte della natura o ne è al di fuori? Non si capisce? Semplifico. L’uomo può vivere senza il resto della natura? Solo un disturbato mentale può dire sì. L’uomo fa parte della natura, e non può vivere senza di essa. Un’altra domanda è: quanta natura può distruggere l’uomo prima che la sua sopravvivenza sia messa in pericolo? Una legge dell’economia dice: non ci sono pasti gratuiti. Se disbosco una foresta che ospita migliaia di specie e la trasformo in un campo coltivato con una sola specie (le monocolture) e lo irroro con insetticidi e erbicidi, e poi lo riempio di fertilizzanti, l’ecosistema ne risente? Quell’ecosistema ci fornisce un bene immediato: il grano. Ma quanti servizi ci forniva quell’ecosistema? In termini per esempio di difesa del suolo dall’erosione, di consumo di anidride carbonica e di produzione di ossigeno da parte delle piante, di bellezza del paesaggio, magari persino di animali da cacciare. Comunque, possiamo distruggere un po’ di foreste, ma possiamo pensare di distruggerle tutte? Di trasformare tutti gli ecosistemi naturali in agroecosistemi? Lo stiamo facendo. E ora, dopo aver snaturato praticamente tutti gli ecosistemi terrestri, stiamo facendo lo stesso servizio a quelli marini. Poi non rimarrà più nulla.

E allora ecco un’altra domanda: se le leggi dell’economia sono in contrasto con le leggi della natura, quali leggi devono prevalere? Non potete avere alcun dubbio, qualunque siano le nostre aspettative, prevarranno quelle della natura. Un’altra domandina, facile facile. Gli economisti conoscono le leggi della natura? Risposta: non le conoscono. Hanno teorizzato l’esternalizzazione. Tutt’al più ne considerano qualcuna, ma non si può considerare quel che non si conosce. E poi, se arriva qualcuno che le conosce, e chiede che prevalgano, quel qualcuno è un disfattista, un nemico del progresso. Evidentemente Giovanni Paolo II era un disfattista e un nemico del progresso, visto che un giorno ha detto: la natura si ribellerà. Per non parlare di quell’estremista di Benedetto XVI che ha detto che i reati contro l’ambiente sono reati di terrorismo. E poi ha aperto il 2010 dicendo che se non si salvaguarda l’ambiente, non si salvaguarda la pace. Che esagerato! Gli economisti hanno generato l’aspettativa della crescita. Tutto quel che è positivo deve crescere. Se gli indicatori di quel che riteniamo positivo si fermano e non crescono più, abbiamo la stagnazione. Se poi diminuiscono abbiamo la recessione. La stagflazione fa paura solo a sentirla. Si deve crescere! Ma è possibile la crescita infinita in un sistema finito? Il sistema finito è la natura, la crescita infinita è quella dei nostri sistemi artificiali. Concepiti come se la natura non esistesse, come se non ci fossero costi ambientali. Ci sono! E non sono tutti monetizzabili. Non si può comprare tutto. E alla fine il conto arriva. Ma non in termini monetari. In termini di disastri, di collassi, di catastrofi. Non è che si paga, e i disastri non ci sono. I disastri non sono multe, cha basta pagare e non ci sono conseguenze. La natura si ribella. In mare non ci sono più pesci, e gli oceani si riempiono di meduse. Ve ne siete accorti? Le inondazioni devastano i territori, se piove. Ma poi non piove per mesi, e avanza la desertificazione.

Nessun timore per la natura. C’è già passata. Ma chi dominava il pianeta quando sono avvenute queste catastrofi ne è uscito sconfitto. La natura ha continuato. La sconfitta dei vincitori di prima è diventata la vittoria di specie prima marginali. Scompaiono i dinosauri e lasciano spazio a mammiferi e uccelli. Nessun problema. I dinosauri di oggi siamo noi. I dominatori del mondo. Consumiamo le risorse in modo efficientissimo, e le consumiamo fino a quando non ce ne saranno più. Il nostro tasso di consumo è superiore a quello di rinnovamento delle risorse e, nel frattempo, escogitiamo metodi sempre più sofisticati per raschiare il fondo del barile. I pesci che prima si prendevano con una rete da posta, ora richiedono aerei di avvistamento dei banchi, e pescherecci velocissimi, con apparecchiature sofisticate che “vedono” i pesci, li inseguono, li circondano, li prendono tutti. Finchè non restano le meduse, e il peschereccio le tira su e il loro peso lo fa affondare. E’ successo in Giappone.

Possiamo uscirne? Certo che possiamo. C’è l’economia della decrescita. Un economista, persino di sinistra, ha paragonato l’economia della decrescita alla recessione economica attuale, dicendo: eccola la decrescita, vi pare bella? Ora, sarà un grande economista, ma c’è differenza tra un preservativo e un infanticidio, o anche solo la morte per fame di un bambino. Da Malthus in poi, alcuni scienziati, tra cui Darwin, e filosofi, tra cui Marx, hanno detto che non si può crescere all’infinito e che le impennate sono seguite da crolli. Succede lo stesso in natura. Ci sono specie che crescono vertiginosamente e poi crollano, per poi ricrescere nuovamente in altre stagioni favorevoli. Le zanzare, per esempio. Ma ce ne sono altre che crescono, arrivano a un certo livello di abbondanza, e poi si fermano, e restano lì per moltissimo tempo. Le foreste, per esempio, con alberi secolari. Ci sono sistemi con grande dinamicità, forti crescite e forti decrescite, e sistemi stabili. Cosa preferiamo? Preferiamo la crescita (sempre seguita da crolli, perché la crescita infinita non è di questo mondo) o è meglio perseguire la stabilità? Ve lo dico io: biologicamente, la nostra specie tende alla stabilità. Stiamo anche allungando la vita, e di molto. Non c’è bisogno di fare tanti figli. I nuovi nati servono per compensare i morti: crescita zero. Bisogna diminuire di numero e bisogna vivere in armonia con i sistemi ambientali che ci sostengono. Non lo vogliamo fare? Poco male, ci penserà la natura. La natura si ribellerà. Dire queste cose non è né di destra né di sinistra. Si tratta di situazioni oggettive. Sono leggi di natura. La politica non c’entra. Certo, se la destra non le riconosce e la sinistra le riconosce, allora divento di sinistra. E viceversa. Ma l’Unione Sovietica e la Cina, che dovrebbero essere di sinistra, non le riconoscono, e non le riconoscono neppure gli Stati Uniti, allora vien fuori che non sono né di destra né di sinistra, e che il mondo è pieno di teste di c…o.  A parte i papi. Ascoltati solo quando fa comodo. Personalmente, sono agnostico. Anzi no, dato che ho visto uno spirito in Papua Nuova Guinea, e mi ha toccato, sono animista. Avendolo visto e essendo stato toccato, in virtù del mio agnosticismo, non posso che credere a quel che i miei sensi mi hanno fatto percepire. Non credo che i papi siano i latori del verbo divino. Credo che siano buffi personaggi con vestiti molto sgargianti, che vivono in sontuosi edifici, e parlano con una strana cadenza, facendo gesti magici che fanno andare in visibilio folle adoranti. Però se dicono cose in cui mi riconosco, grido a voce alta che sono d’accordo con loro. Anche se altre cose che predicano magari non mi piacciono. Sono strano? O sono strani quelli che, a priori, prendono una posizione per partito preso? Gli evoluzionisti sono di sinistra, e quindi quelli di destra devono essere antievoluzionisti. Tipo il vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Mentre il presidente dell’Accademia Pontificia delle Scienze difende l’evoluzione. Nessun problema, ha ragione l’Accademia Pontificia, anche se io, come servitore civile (si chiamano così gli statali, nei paesi anglosassoni) ho una profonda dedizione verso le strutture del mio stato. E poi, essendo un membro della comunità scientifica, ho grandissimo rispetto per il CNR, il massimo ente di ricerca del nostro paese. Ma se il vicepresidente del CNR dice una stupidaggine, ha detto una stupidaggine, che non è né di destra né di sinistra, è solo una stupidaggine. E invece no, quelli della sua parte politica lo difendono dagli attacchi biechi degli scientisti. E poi si trovano a combattere contro il Vaticano.

La parola Natura non è nella nostra Costituzione. Non fa parte della nostra cultura, non ha dimora nei valori fondanti del nostro Paese. Questa è una stupidaggine. Frutto del momento contingente in cui la Carta è stata redatta, lo so. Gloria ai Padri Costituenti. Ma ora sappiamo che ha un valore assoluto. Non bisogna fare i relativisti, con queste cose. Dobbiamo cambiare la Costituzione. Seguendo il pensiero di Darwin e di Giovanni Paolo II, e anche di Benedetto XVI. Su alcune cose il pensiero di questi grandi potrebbe anche divergere (ma sono proprio poche, perché il Vaticano ha inglobato perfettamente il pensiero evoluzionista e non vi trova contrasto con la dottrina cristiana) ma su questa non hanno dubbi e io, che sono un relativista nato, divento assolutista. Un pasdaran. Un integralista catto-evoluzionista. Se incontro qualcuno che mi parla di leggi di economia e mi dice che comandano sulle leggi della natura divento violento, almeno verbalmente. Queste persone sono nostre nemiche, sono nemiche di loro stesse, dei loro figli e dei loro nipoti. Non hanno la cultura per capire di che stanno parlando, e devono essere rieducate. Non sto parlando di gulag in Siberia. Mi viene in mente Arancia Meccanica, con quel trattamento che prevede la visione di film (in questo caso film che spiegano come funziona un ecosistema) a un soggetto legato e costretto a stare ad occhi aperti, rivolti verso lo schermo. Fino a quando l’ecologia non diventa, anch’essa, parte della loro cultura. E poi di nuovo liberi, per governare la decrescita e perseguire la stabilità, in armonia con la natura.

Forse sono un illuso, forse sto chiedendo troppo. La selezione naturale prevede che se una specie non riesce ad adattarsi si estingue. Noi non stiamo riuscendo ad adattarci a noi stessi e al cambiamento che induciamo nell’ambiente che abitiamo. La natura si ribellerà e la selezione naturale ci spazzerà via. Poi la natura continuerà. Ha continuato quando si sono estinti i trilobiti, e le ammoniti, ha continuato quando si sono estinti i dinosauri, quando si sono estinti i mammuth e i neanderthal. Pensiamo davvero di essere così speciali? E’ un’aspettativa infantile, adolescenziale. Come il folle che guida a fari spenti nella notte e poi si schianta, ma fino a un secondo prima pensava che a lui non può capitare, non a lui. Agli altri sì, ma a lui no, no…. crash!

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Il primitivo atomico

Nucleare sì! Ma non qui (lo dice Formigoni, diciamolo anche noi). Parliamo di cose serie. E’ in corso una campagna “di informazione” sulle centrali nucleari, l’avete vista? Appare equidistante dalle posizioni contrarie o favorevoli ma subdolamente insinua che le centrali sono sicurissime e che non ci sono problemi. Mentre le posizioni contrarie suonano vuote e generiche. Ovviamente non c’è la domanda diretta: Ma dove sono le scorie nucleari che dovevano essere seppellite a Scanzano Ionico? Prima diteci cosa avete fatto di quelle,  presentateci un buon piano di smaltimento, e poi ne parliamo. Ma la notizia più divertente è la posizione del governatore della Lombardia, Roberto Formigoni. Le centrali si devono fare! Però in Lombardia non ci sono siti adeguati (Corriere della Sera dell’8 febbraio). Di sicuro sarà adeguato il sito di Avetrana (già individuato come tale qualche decennio fa). Dopo aver costruito una megacentrale a carbone a Cerano (che dà energia anche al di fuori della Puglia), vuoi scommettere che il nostro territorio sarà adeguato anche per il nucleare? Qui non si tratta di essere favorevoli o contrari al progresso, ma di capire bene cosa ci aspetta. Qualche malalingua insinua che il valore dei terreni e degli immobili tende a crollare nei pressi delle centrali nucleari. Ma non è mica vero! Tutti vogliono andare in vacanza vicino a una bella centrale nucleare. Ci dicono che questo ci rende indipendenti dal petrolio. Giusto! Tanto noi abbiamo tanto uranio, no? E poi c’è da fidarsi, anche se tutto fosse fatto a regola d’arte, che la manutenzione, il funzionamento corrente, etc. continueranno ad essere effettuati con le dovute cautele? Prima fatemi vedere che riusciamo a far funzionare gli impianti che bruciano la spazzatura, poi ne parliamo! Non riusciamo a smaltire i rifiuti di casa e ci stanno dicendo che smaltiremo senza problemi le scorie nucleari? Ma andiamo! La credulità umana deve avere un limite.

La televisione ci ha fatto vedere degli estremisti tedeschi che cercavano di fermare un treno che stava portando scorie nucleari francesi che sarebbero state smaltite in Germania. I francesi non sanno dove metterle, e pagano i tedeschi che, però, pare non siano contentissimi di averle a casa loro (li paghiamo anche per smaltire i nostri rifiuti). Non riusciamo a eliminare le polveri sottili e ci buttiamo nel nucleare?

Qui non si tratta di essere contro il progresso, contro la tecnologia. Qui si tratta di chiedere che la tecnologia consideri in modo serio i costi ambientali e che non risolva problemi creandone altri che sono più seri di quelli che pretende di risolvere. Nessuno chiede di tornare nelle caverne, però non si può andare incontro a rischi del genere con l’incoscienza odierna. Prima costruiamo case in modo energeticamente valido, che non richiedano consumi assurdi per essere riscaldate o raffrescate, adeguiamo anche le attuali, e poi ne parliamo. Non è che potremmo risolvere il problema energetico consumando meno energia e rendendo le nostre attività più efficienti? Prima di costruire nuove centrali, perché non cerchiamo in tutti i modi di consumare meno?

Avetrana dista dieci chilometri da Manduria. Magari una centrale nucleare potrebbe essere un buon pretesto per lanciare una nuova etichetta: il primitivo atomico! E poi c’è tutta la costa ionica. Correranno da tutto il mondo per fare il bagno nelle nostre acque. D’altronde non bastano i poli industriali di Brindisi e di Taranto, ci manca una bella centrale nucleare! E le scorie a Scanzano Ionico. In Lombardia no, non ci sono siti adeguati. Vorrebbero tanto, perché ci sta bene una bella centrale nel paesaggio padano. Ma proprio non si può. E stanno facendo un gemellaggio con le Maldive, per andare a fare belle vacanze al mare. Ci sono voli diretti a partire da 10 euro. Da Malpensa. Costa meno che andare a Gallipoli!

Insomma, quella pubblicità mi insospettisce. Perché finge, finge di essere imparziale mentre è smaccatamente a favore del nucleare. Chi gioca con le pedine bianche è a favore, chi ha le nere è contro. I contrari hanno una voce tagliente, mentre i favorevoli hanno una voce dolce. Ma che combinazione! I contrari parlano dei problemi contingenti, mentre i favorevoli parlano del futuro! Io non so tutto sul nucleare. Però se vedo disonestà intellettuale, e parzialità spacciata per imparzialità, mi insospettisco. Quella campagna finge, finge di essere imparziale (lo voglio ripetere). Non mi piace chi finge. Quando entro in banca e leggo: in questa banca i patti sono chiari! Mi insospettisco. Perché lo devono dichiarare in modo così enfatico? Forse prima mi fregavano? Se mi presento a uno sconosciuto non dico: piacere, Ferdinando Boero… e non ti voglio fregare! Ascolterò con piacere gli argomenti di chi è a favore, ma vorrei non essere preso in giro. Per ora stanno insultando la mia intelligenza. E anche la vostra. Le decisioni importanti non si prendono avendo gli spot come fonte di informazione, e neppure questo articolo, del resto. Documentatevi più che potete, cercate. Ma diffidate di chi finge. Di chi dice una cosa e ne fa un’altra. Quella campagna finge di essere imparziale e invece è a favore del nucleare. Come mai devono ricorrere a questi trucchetti?

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Buon compleanno Darwin!

Il 12 febbraio anche in Italia si celebra il Darwin Day, soprattutto da quando il ministro Moratti propose di togliere l’evoluzione biologica dai programmi della scuola dell’obbligo e la comunità scientifica, una volta tanto compatta, si rivoltò.

Scacciato alla porta, Darwin rientrò dalla finestra, ma ora, con la nuova riforma dell’istruzione scolastica, è probabile che verrà nuovamente scacciato. Nei nuovi programmi c’è una materia chiamata “scienze naturali” che riassume biologia, chimica, e scienze della terra. Il numero di ore è di solito appena il doppio delle ore di religione. Sarà insegnata da singoli docenti che, a seconda della loro formazione universitaria, non conosceranno bene che uno dei tre argomenti e, ancora una volta, la natura nelle sue manifestazioni più complesse (non c’è nulla di più complesso della vita, nell’Universo conosciuto) si troverà ad avere un ruolo ancillare, figuriamoci l’evoluzione.

Il nostro Paese è continuamente in situazioni di calamità. Abbiamo devastato il territorio, distruggendo gli habitat, seminando immondizia, disboscando regioni intere, cementificando i litorali, inquinando le acque e il sottosuolo, l’aria che respiriamo. E la natura si ribella. Non ce la possiamo fare, contro di lei. Ho già scritto che la parola Natura non esiste nella nostra Costituzione, e quindi non fa parte dei principi fondanti del nostro Stato. La Natura non esiste neppure in quello che consideriamo Cultura. Eppure, nel 1859, quando Darwin pubblicò l’Origine delle Specie, la nostra visione del mondo fu costretta a mutare radicalmente. Darwin ci ha messo nella natura, e ci ha spiegato che siamo il prodotto dell’evoluzione biologica. Nessuna rivoluzione culturale ha avuto più impatto di questa. Nessuna filosofia ha spiegato più di quanto abbia fatto Darwin, mostrandoci “da dove veniamo”.

L’anno scorso un signore di cui non voglio fare il nome ha pubblicato, con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, un libro intitolato Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi. A difendere Darwin scese in campo il compianto Nicola Cabibbo, Presidente dell’Accademia Pontificia delle Scienze. Proprio così. L’Accademia Pontificia delle Scienze difese Darwin dagli attacchi di un libro pubblicato con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La notizia, comunque, passò quasi inosservata perché questi argomenti “non interessano”. Penso che sia un male e vedo con sgomento che la cosa più complessa dell’universo conosciuto (lo voglio ripetere), la vita, riceva un trattamento mortificante nei nostri corsi di istruzione. I futuri cittadini, esposti a questo tipo di “cultura” non si faranno troppi scrupoli se distruggeranno l’ambiente, qualunque lavoro andranno a fare. Per loro la Natura avrà l’importanza che ha ora: poca, pochissima. Fuori dalla Costituzione.

E’ strano come ci sia questo disaccoppiamento tra quel che lamentiamo (la distruzione sistematica dell’ambiente) e quel che poi facciamo (la distruzione sistematica dell’ambiente)! Il problema non è tecnico, è culturale. Prima della tecnica c’è la cultura, e se la tecnica viene affidata a chi ignora come funziona un ecosistema (dove la vita ha una parte rilevante, almeno per noi, che siamo forme di vita) sono guai. I guai in cui ci troviamo.

Sarei contentissimo se non ci fosse bisogno di celebrare Darwin. Dopotutto non celebriamo Copernico, e nessuno si sogna di dire che la terra è al centro dell’universo. Abbiamo incamerato questo concetto. Ma il fatto di essere parte della Natura (come ha dimostrato Darwin) non l’abbiamo ancora digerito e continuamente fingiamo di essere qualcosa di speciale, a cui tutto è concesso e a cui tutto è permesso. E’ un atteggiamento suicida. Se distruggiamo la Natura, distruggiamo le premesse del nostro vivere. Eppure si persevera indefessamente in questo errore diabolico, e pensiamo che sia superfluo conoscere le leggi della natura. Non bastano la fisica e la chimica per conoscerle, sono solo la base, e nessuno vivrebbe in un edificio costituito solo dalle fondamenta. Il nostro sistema di istruzione propone un edificio fatto solo di fondamenta, e produce individui che ignorano come sia fatto il resto della casa che ci ospita. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e dovremmo preoccuparci di insegnare bene, e in profondità, il pensiero di Darwin e tutto quello che in seguito ha prodotto.

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Non c’è vera crescita se si distrugge l’ambiente

La crisi va affrontata e tutti propongono la ricetta magica: la crescita! Ho già posto questa domanda: se il nostro pianeta è un sistema “finito” (non ha risorse infinite da offrirci) è possibile una crescita infinita? Non si fanno le frittate senza rompere le uova, e le uova, per la crescita, sono le condizioni dell’ambiente. Nessuno, ma proprio nessuno, sembra preoccuparsene. Abbiamo visto i risultati della presenza di grandi poli industriali e sappiamo il prezzo che stiamo pagando, in termini di salute umana e di integrità degli ecosistemi, per aver dato spazio ai poli di Taranto e Brindisi. Hanno portato lavoro, ma ne valeva davvero la pena? Era quella la strada? Attualmente non può esserlo. Le industrie delocalizzano i loro impianti e li portano in stati privi di regole che salvaguardino l’ambiente e la salute umana. Non possiamo pensare di attirare questo tipo di iniziative: nonostante tutto le nostre regole limitano questo tipo di “progresso”, per non parlare del fatto che, in certi paesi, il costo della mano d’opera è a livelli di puro schiavismo.

La riqualificazione ambientale del territorio è una grande opera, di cui necessita l’intero Paese. L’Italia era il paese della bellezza e in due generazioni l’abbiamo trasformata in un obbrobrio. Dobbiamo tornare ad essere il paese più bello del mondo. Il patrimonio culturale va in rovina (Pompei è solo la punta dell’iceberg) e il degrado ambientale avanza. I liquami scaricati nel Golfo di Napoli sono l’emblema di come consideriamo l’ambiente: un freno allo sviluppo. Potrebbe diventarne il motore, se non lo considerassimo il tappeto sotto cui nascondere la spazzatura. La tecnologia è la risposta, ma non quella a cui siamo abituati. Dobbiamo inventare modi di confezionare i prodotti che non ci sommergano di imballaggi, dobbiamo trovare sistemi puliti di produzione di energia, dobbiamo riscaldare e rinfrescare le nostre case in modi ecologicamente compatibili. Non sto parlando di andare indietro, sto parlando di andare avanti, ma in un’altra direzione. Ci sono margini di crescita enormi, se si cambia strada.  I prodotti agro-alimentari del Salento sono unici al mondo e non si possono rifare in Cina. Sono unici se mantengono la loro originalità, anche nel modo in cui sono prodotti. Quello che abbiamo fatto con il vino lo dobbiamo fare con l’olio e con tutte le altre produzioni agricole. La qualità viene prima della quantità e solo la qualità ci può salvare. Agricoltura, quindi. Il Salento, poi, è rinomato per la bellezza del suo territorio, per i paesaggi rurali e per il suo mare. E quindi ambiente di ottima qualità. Lo stiamo davvero custodendo in modo adeguato? Le campagne sono piene di discariche abusive, i muri a secco crollano, la costa è deturpata da decine di migliaia di costruzioni abusive. E poi i beni culturali, i centri storici, i  posti dove si “vive” la storia. Le infrastrutture per trarre profitto da questo patrimonio ancora non ci sono. Si parla solo di costruire, costruire, costruire. Porti turistici, complessi alberghieri, villaggi turistici, campi da golf, strade e strade. Ma per fare queste opere distruggeremo l’ambiente e avremo rimosso il motivo per cui qualcuno dovrebbe venire da noi. Vengono perché ci sono le strade, gli alberghi e i porti? Noooo! Vengono perché il Salento è bellissimo. Ma è bellissimo proprio perché non è sovraccarico di queste “infrastrutture”. Una volta che queste opere saranno fatte saremo come… Rimini. Dobbiamo inventare una strategia alternativa.

Cosa propongono i nostri politici? Questa semplice domanda: come disegni il futuro del Salento? merita risposte meditate e saranno queste risposte a identificare chi propone strade nuove. Sappiamo dove hanno portato le vecchie, non possiamo riproporle ancora. Non sono interessato a identificare candidati di destra o di sinistra. Un tempo lo ero, ma ho cambiato idea. Non mi importa il “colore” di chi fa le proposte, mi interessano le proposte. Domande semplici: sei a favore o contrario a fare una centrale nucleare ad Avetrana? Se sei a favore, mi dici dove pensi di mettere le scorie? Confesso che il rigassificatore mi fa meno paura. Come mi fanno meno paura i termovalorizzatori (in attesa di non avere più spazzatura da bruciare). Negli altri paesi questi impianti funzionano e non causano danni all’ambiente. Ma se si fa una discarica ben fatta e poi si getta il percolato a mare, che garanzie ci sono che si farà diversamente con centrali nucleari, termovalorizzatori, rigassificatori? Le leggi inventate dall’uomo impongono la crescita, ma le leggi della natura non possono essere ignorate, e sono più stringenti di quelle dell’uomo. A chi propone la crescita come un imperativo categorico chiedo come pensa di obbedire, con questo, alle leggi della natura. E voglio anche sapere se, in caso di conflitto, intende privilegiare le leggi dell’economia o quelle della natura (sono anche curioso di sapere se le conosce). Fino ad ora hanno prevalso quelle dell’economia, e sappiamo dove ci hanno portato. E’ necessario un nuovo patto tra noi e l’ambiente, ma non ne parla proprio nessuno. La natura, intanto, come predetto da Giovanni Paolo II, si sta ribellando. Ma noi pensiamo di essere più forti di lei.

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Il paradiso è un bunga bunga

Ci sono fanatici religiosi che affrontano il martirio con la convinzione che, se moriranno da eroi, andranno dritti in paradiso. E quale è il paradiso che li attende? Qualcuno li ha convinti che in quel paradiso ci sono 72 vergini che li aspettano, vogliose, e che potranno sollazzarsi con loro per l’eternità. Vi viene in mente qualcosa?

Giovani vergini può significare minorenni. C’è chi si scandalizza, chi non ci crede, chi non si stupisce e reputa tutto questo normale.  Il motivo di questa passione dei maschi per le giovani femmine è del tutto naturale. Le specie non si estinguono perché gli individui si riproducono. Tutti, infatti, siamo destinati a morire e se non ci riproduciamo la nostra specie si estingue con noi. Andate e moltiplicatevi è un comando divino. Ed è anche un comando naturale. La pulsione più forte è proprio quella di lasciare discendenti e questo si ottiene, nella nostra specie come in molte altre, praticando il sesso. Le femmine generano i nuovi individui e hanno quindi il potere della riproduzione, mentre i maschi danno solo un piccolo, anche se determinante, contributo. Le femmine, inoltre, sono certe che i discendenti portano i loro geni, mentre i maschi non possono esserne certi. E’ per questo che sono ossessionati dalla fedeltà delle loro partner. Questo grande potere delle femmine si paga con il fatto che il loro periodo riproduttivo è limitato. Man mano che avanzano negli anni non hanno più la possibilità di riprodursi in modo efficace, mentre i maschi possono continuare a contribuire alla riproduzione fino a tarda età. I maschi, quindi, cercano femmine giovani. E sono attratti da femmine procaci, con grandi fianchi e grandi protuberanze mammarie. Perché sono garanzia di buona possibilità di dare una discendenza. Mi direte: ma mica si fanno queste cose per fare i figli… Giusto! Ma la selezione (in questo caso la selezione sessuale) ha fatto sì che come “effetto collaterale” all’attività sessuale ci sia proprio il fare i figli, anche se non ce ne rendiamo conto. Il motivo per cui agli uomini piace così tanto andare con le donne è, quindi, proprio questo: per fare figli. E’ la nostra natura. Un uomo potente ha tanti figli, e con tante donne. La nostra cultura ha rinnegato il valore di avere un harem, ma esso permane in molte culture e, evidentemente, è sopito ma ben vivo anche nella nostra. L’istituzione che sopravvive da più tempo, la Chiesa, ha ben chiaro questo fenomeno e non per niente ha imposto la castità ai suoi ministri. Proprio perché ben conosce il potere delle pulsioni sessuali e esige che chi la serve ne sia immune. Che questo poi funzioni davvero è tutt’altra storia. Però il principio esiste e deriva dalla consapevolezza che il sesso è un motore fortissimo, che fa perdere la testa agli uomini.

L’uomo è prima di tutto un animale, le pulsioni di base sono a volte sopite da sovrastrutture culturali ma, sotto sotto, permangono. Basta veramente poco. La storia è stracolma di uomini che hanno perso la testa per giovani donne. Si chiama amore. Ci può essere l’amore platonico ma di solito l’amore prevede che… si faccia l’amore. E torniamo alla natura e al fare figli.

Più si invecchia, poi, più si sente che la vita va via e più si vuole lasciare un segno, si cerca di persistere nell’unico modo che ci è concesso: con la riproduzione. Certo, uno si potrebbe accontentare, e godersi i nipotini (sono loro la garanzia di futuro) ma, potendo, perché non godere delle famose settantadue vergini senza necessariamente diventare un martire? In pochi direbbero di non essere interessati. Guardate la pubblicità. Se si vuol vendere qualcosa ad un uomo, basta mettere una giovane donna seminuda. Tutto si vende con questo messaggio, da un silicone sigillante a un copertone. Mentre se si vuol vendere qualcosa ad una donna si deve mettere un bambino piccolo. Alle donne interessano i bambini, agli uomini interessano le donne (perché è attraverso le donne che gli uomini fanno i bambini).

Non ci sono giudizi morali in tutto questo. Siamo fatti così e la nostra specie sopravvive perché siamo così. Citando Dante: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza… ma erano altri tempi. La cultura non si mangia, ci dicono. Anche se non si vive di solo pane, e lo sanno anche le pietre che tira più un pelo di f…emmina che un  carro di buoi. Perché sorprendersi? è normale! Va bene così. Basta con le ipocrisie! Accettiamo la realtà. L’uomo in fondo in fondo è una bestia, e le donne sono tutte … escort. Giusto? Ovviamente con l’eccezione delle nostre madri, delle nostre mogli e delle nostre figlie e sorelle. E’ evidente che l’evoluzione biologica è molto ma molto più potente dell’evoluzione culturale e che gli istinti prevalgano sulla ragione. Non è colpa di nessuno, siamo fatti così. La cultura è una noia mortale, viva le femmine procaci. Il paradiso in terra è il bunga bunga, c’è chi si accontenta di vederlo in televisione e chi se lo può portare a casa. E’ tutta invidia!

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Il gigante buono

La prima volta che ho visto uno squalo elefante ero su una barca di sette metri, e lui, lo squalo, era di otto metri. Vederlo passare sotto la barca mi ha fatto sentire così piccolo e insignificante, una bella lezione. Animali di queste dimensioni, in Mediterraneo, possono solo essere cetacei oppure squali. Lo squalo bianco raggiunge i sei metri, e non è un incontro da affrontare a cuor leggero. Ma se la “bestia” è più grande, allora si può stare tranquilli, si tratta di uno squalo elefante.

L’animale avvistato a Frigole è, con ogni probabilità, proprio uno squalo elefante, o cetorino. Può anche raggiungere i 15 metri di lunghezza, ma da noi in Mediterraneo di solito arriva a 8-10 metri. Quello avvistato a Frigole pare fosse di sei-sette metri, e quindi è un cucciolo!

Lo squalo elefante si nutre di piccoli crostacei e di piccoli pesci, proprio come le balene. E’ un filtratore, ha denti piccolissimi e si procura il cibo procedendo in acqua con la bocca enorme spalancata, in modo da poter utilizzare le branchie come filtro. L’aspetto è spaventoso, ma è solo apparenza.

Da noi è abbastanza comune e, ogni tanto, ne capita uno nelle reti dei pescatori. Una volta un pescatore ne ha trovato uno nelle sue reti, a Porto Cesareo, e lo ha donato al Museo di Biologia Marina “Pietro Parenzan”. Adesso quello squalo fa bella mostra di sé nel Museo, è lungo otto metri, ed è la principale attrazione per le migliaia di visitatori che ogni anno ci vengono a visitare. I più piccoli che entrano in quella sala e se lo trovano davanti restano a bocca aperta, increduli. Per molti, ne sono sicuro, quell’incontro sarà il primo ricordo della loro vita, e forse li avrà fatti diventare rispettosi della natura.

Ci pare strano che il nostro mare ospiti animali di queste dimensioni, come i capodogli che tempo fa sono spiaggiati sulla costa del Gargano, ma non c’è da stupirsi.

Il cetorino è inoffensivo, molto mite. In internet ci sono molte foto di subacquei che si sono immersi vicino a lui, per farsi immortalare vicino al gigante.

Lasciatelo stare, è un animale protetto in molti paesi, non è attrezzato per farci del male, e ha tutto il diritto di vivere. Se volete provare un brivido, tuffatevi in acqua con lui e accarezzatelo mentre vi passa accanto. Sono emozioni che possono cambiarci la vita, in meglio.

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A ciascuno il suo mestiere

Il prof. Umberto Veronesi è un luminare della medicina. Un grande scienziato. Se mai dovessi ammalarmi di cancro, mi metterei nelle sue mani, potendo scegliere. Però, se dovessi chiedere a qualcuno di progettare una casa dove vivere, be’ andrei da un architetto per fare il progetto, e da un ingegnere per renderlo esecutivo. Mica andrei da un medico! E se dovessi coltivare un campo, forse chiederei ad un agronomo, no? A ognuno la sua scienza. Ho sentito un esponente politico dire: se il nucleare può avere effetti sulla salute, e far insorgere patologie oncologiche (traduco: far venire il cancro), chi meglio di un oncologo per vigilare sul nucleare? Eh no! Non funziona in questo modo. Veronesi cura le malattie che potrebbero insorgere in seguito a problemi con l’energia nucleare, ma non è nelle sue competenze progettare centrali che elimino i rischi oncologici per la popolazione. Questa è competenza di fisici e di ingegneri nucleari. Uno a caso: un premio Nobel per la fisica. Lo abbiamo, si chiama Rubbia. E lui non è d’accordo con Veronesi. Se devo ascoltare qualcuno sul cancro ascolto Veronesi, ma se devo ascoltare qualcuno sul nucleare ascolto un premio Nobel per la fisica. 
Conosco personalmente tre premi Nobel. Uno si chiama Tim Hunt, e ha chiarito il modo con cui si svolge il ciclo cellulare. Poi c’è Christiane Nüsslein-Volhard, una biologa molecolare, e il più simpatico si chiama Torsten Wiesel, un neurobiologo.  In occasione di uno dei nostri incontri, il presidente della Stazione Zoologica di Napoli ha chiesto a Wiesel se poteva tenere una conferenza inerente la biologia marina. E Torsten, un vero gigante della scienza, ha detto: ma io non sono mica competente in questo! Non è che, perché ho preso un premio, divento esperto in qualunque disciplina. Ho avuto il privilegio di conoscere altri scienziati (senza virgolette) di fama mondiale, e tutti sono persone umilissime. Tanto più sono grandi, tanto più sono modesti.

Ora, Veronesi viene visto come un essere divino dai malati, può dar loro la vita quando temono di perderla. E’ una persona a cui si bacia la mano. Io lo farei, se mi salvasse la vita, o se salvasse la vita di un mio caro. Però, un giorno, ho letto una sua dichiarazione sull’essere vegetariani, ed ha giustificato la sua scelta (di essere vegetariano) dicendo che i nostri cugini scimpanzé (la specie a noi più vicina) mangiano frutta, e quindi anche noi possiamo vivere senza la carne. Mi vanto ancora un po’. Conosco anche Jane Goodall, la scienziata che più di ogni altro ha chiarito la biologia e l’etologia degli scimpanzé. Gli scimpanzé cacciano, uccidono altre scimmie, o altri animali, e se le mangiano, alternando una dieta a base di vegetali con una a base di animali. Proprio come noi. Nei film di Tarzan, invece, Cita mangia solo banane, e probabilmente è su questa fonte che Veronesi ha basato la sua convinzione del fatto che gli scimpanzé siano vegetariani!
E quindi: i medici lavorano per curare le malattie, ma qui stiamo parlando di produrre energia in modo da non far venire le malattie. Non è un compito da medici! Un conto è curare i tumori, e un altro è di produrre energia in modo che non ci vengano i tumori. Veronesi è un oncologo, non è un etologo (non sa cosa mangiano gli scimpanzé) e non è un fisico nucleare. Il suo posto è in un ospedale a curare i malati. Non a pianificare la produzione di energia nucleare. Quando dice che se le metterebbe in camera da letto, le scorie nucleari, è facile che esprima pareri simili a quelli che ha espresso sulla dieta degli scimpanzé. Non c’è un modo sicuro per sbarazzarsi delle scorie nucleari. I loro effetti durano troppo a lungo, e non sappiamo quanto le protezioni che potremmo predisporre siano davvero in grado di durare tanto. Che eredità lasciamo alle generazioni future? Io mi sentirei sicuro se Veronesi fosse in sala operatoria e Rubbia a progettare centrali. Non sarei contento di vedere Rubbia col camice verde e un bisturi in mano. Come non sono contento di vedere Veronesi in camice bianco a disquisire di dove mettere le scorie nucleari. Mi spiace, non mi fido di questi esperti improvvisati. Che non hanno neppure un premio Nobel! E quest’anno alla Fondazione Veronesi il mio 5 per mille non lo darò. Lo darò all’Università del Salento!

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Un futuro dopo il nucleare: onestà e competenza

E così abbiamo detto addio al nucleare. Chi diceva che non ci fosse altra alternativa ora ci ripensa e dice: no, abbiamo scherzato. Abbiamo fatto meglio i conti e ci siamo resi conto che i costi per dismettere le centrali non sono stati conteggiati (e sono altissimi) e poi, sapete una cosa?, non sappiamo come smaltire le scorie! Nessuno lo sa.

Ma guarda un po’. E quindi non conviene economicamente ed è una follia per la sicurezza delle generazioni future, e anche per la nostra. Ma queste cose le dicevano da sempre quelli che si opponevano alle centrali. Il vero motivo per cui si fa marcia indietro è che al referendum la gente sarebbe andata a votare, e avrebbe votato no. E allora… l’uva è acerba, come disse la volpe che non riusciva a prenderla. Chernobil non è bastato, c’è voluta anche Fukushima. Nel frattempo vediamo che per installare gli impianti solari si usano gli schiavi. Oppure che si fanno cose encomiabili, come i filobus a Lecce, ma poi non si realizzano fino in fondo. Ci sono i pali e i fili, ma i filobus non ci sono. E comunque pali e fili non arrivano fino a Ecotekne, dove il filobus sarebbe davvero necessario.

Da una parte si sfianca il paese per spendere meno soldi pubblici, dall’altra si spendono montagne di denaro per imprese che non portano a niente. Tipo le installazioni per i due G8 (prima Maddalena e poi L’Aquila), costati fortune e ora in completo abbandono. Credo che l’Italia sia l’unico paese al mondo ad aver organizzato due G8 al posto di uno. Ogni giorno Striscia la Notizia ci fa vedere complessi architettonici degni di un faraone ma in completo abbandono. Mai finiti, ma costati fortune. La sanità nel nostro paese ha costi inaccettabili, a fronte di servizi non sempre impeccabili. Non riusciamo a smaltire la spazzatura domestica, figuriamoci le scorie nucleari. E purtroppo ne approfittano tutte o quasi le amministrazioni. Di destra e di sinistra. Quegli sprechi no, quelli non riusciamo proprio ad eliminarli. Tutti sanno che la Salerno-Reggio Calabria è una vergogna nazionale, ma i lavori fasulli continuano come se niente fosse.

Si pensava che le privatizzazioni avrebbero risolto tutti i problemi. E invece, chissà perché, i privati, invece di pensare al bene comune pensano al proprio. I treni vanno peggio di prima, non parliamo delle poste, qualcuno ci capisce qualcosa nei telefoni? Tutto quello che è stato privatizzato costa di più e funziona peggio. Ricordo che le privatizzazioni le ha iniziate un governo di sinistra.

L’accettazione rassegnata di questa tragedia nazionale, basata sulla disonestà generalizzata, si basa sul qualunquismo del “tanto sono tutti uguali”. Ci si assolve dalle proprie colpe stigmatizzando le colpe degli altri.

Non credo che questa analisi possa essere modificata un gran che. La domanda è: un sistema che si lancia in gestioni follemente costose (e che effettua “minori spese” su scuola, università, ricerca e innovazione, beni culturali, pensioni, ambiente, etc.) può durare a lungo? La risposta è ovviamente no. Quando abbiamo abbandonato il nucleare avremmo dovuto lanciarci anima e corpo nella ricerca sulle energie alternative. Lo abbiamo fatto con l’idroelettrico, ma abbiamo abbandonato il solare, su cui eravamo pionieri. Se avessimo dedicato 30 anni di ricerca all’energia solare, mentre tutti si lanciavano nella folle avventura nucleare, oggi potremmo vendere tecnologia pulita a tutto il mondo. E invece siamo sempre qui, a comprarne. Tra parentesi, le centrali nucleari che avremmo dovuto costruire le avremmo comprate dalla Francia!

Uscire dal circolo vizioso in cui ci siamo cacciati deve essere possibile. Abbiamo solo uno strumento per farlo: il voto. Dobbiamo chiedere ai politici che ci risparmino frasi ad effetto con faccioni sorridenti e rassicuranti. Dobbiamo chiedere che ci facciano l’elenco dei problemi che ritengono più rilevanti, e che ci spieghino come pensano di risolverli. Basta discorsi generici. Basta indicare le colpe degli altri. Credo sia chiaro che gli italiani hanno perso fiducia nella classe politica e oramai “tifano” per una parte o per l’altra solo per abitudine, oppure non si interessano più, e non votano. Non ci possiamo permettere una gestione della nostra vita basata su questi presupposti.

Ci sono parole oramai cadute in disgrazia che dovrebbero diventare il metro di misura delle persone. Mi vergogno quasi a scriverle: onestà e competenza. Non sappiamo che farcene di onesti incompetenti, e anche i competenti disonesti sono letali.

I candidati a cariche elettive dovrebbero dimostrare, con la loro storia, di essere sia onesti sia competenti. Non so perché, ma l’impressione che ho dalla nostra classe politica, con le dovute e rare eccezioni, è che sia fatta di onesti incompetenti, di disonesti competenti e, e forse è la componente più rappresentata, di disonesti incompetenti. Gli onesti e competenti sono mosche bianche, e di solito vengono trattati come pecore nere. Io voterò per chi riuscirà a convincermi dalla sua onestà e della sua competenza, qualunque sia il suo colore politico. Ah, il cinque per mille a Veronesi proprio non lo darò (credo abbia preso abbastanza fondi dalle industrie del nucleare). Lo darò all’Università del Salento.

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Ancora sul futuro del Salento

Ho letto con piacere la risposta del Prof. Aldo Romano ai miei commenti sulla sua proposta di “fare come la Cina, l’India e il Brasile” nel nostro Salento e, proprio da quella risposta, temo di essermi spiegato male. E’ ovvio che concordo con lui sulla necessità di un motore di innovazione scientifica e tecnologica nel nostro paese, e non solo in Puglia o in Salento. Le mie perplessità riguardano come indirizzare questa ricerca, e mi permetto di ribadire che i modelli cinesi, indiani, e brasiliani (anche se il Brasile si discosta un pochino) non mi paiono ottimi. Questi paesi hanno scelto il degrado ecologico (il Brasile cerca di rimediare, però) e hanno puntato tutto sullo sviluppo economico. Lo abbiamo fatto anche noi, qualche decennio fa, quando abbiamo creato due grandi poli industriali a Brindisi e a Taranto. Lo ha fatto la mia Genova, nel secolo scorso, quando diventò uno dei vertici del triangolo industriale (Genova, Milano, Torino) con lo sviluppo di grandi industrie pesanti. Lo stesso fece Napoli, con Bagnoli, o Venezia, con Mestre, o Trieste, con Monfalcone. A Napoli hanno smantellato le acciaierie di Bagnoli e lo stesso si sta facendo a Genova. Quelle industrie hanno portato lavoro e ricchezza, ma hanno anche devastato l’ambiente e la salute umana, proprio come fanno i poli industriali che abbiamo qui da noi. Costa meno produrre in Cina, e lì sono disposti a prendersi la devastazione ecologica in cambio di sviluppo economico. La mia modesta opinione è che se facciamo qui le cose che si possono fare anche in Cina, o in India o in Brasile, non riusciremo a farle con la stessa competitività, perché, per farle, dovremo dire addio alle leggi che proteggono l’ambiente e la salute umana (spesso disattese, comunque). Volete che non inquiniamo? ci chiedono gli industriali. Allora i costi salgono, e dobbiamo chiudere. Scatta il ricatto occupazionale e si preferisce il degrado alla disoccupazione.

Secondo me la strada per competere con questi paesi emergenti (e incuranti del proprio ambiente) non è di fare come loro. Dobbiamo inventare tecnologie che ci permettano di produrre senza inquinare, senza produrre rifiuti. Tecnologie che consumino meno energia, privilegiando l’efficienza delle strutture, e non solo la produzione lorda, conveniente solo se i costi ambientali si esternalizzano, accollandoli alla collettività o alle generazioni future, come i costi di dismissione delle centrali nucleari. Non conteggiati nei costi di costruzione e gestione di queste opere di alta tecnologia. E poi dobbiamo produrre cose che abbiano il valore aggiunto di essere prodotte qui. Perché il Primitivo di Manduria non è uguale al Primitivo di Manciuria! Anche se si prendono i vitigni del primitivo e li si coltiva in Manciuria, producendo una copia del nostro primitivo. I Salentini hanno già fatto una rivoluzione tecnologica, proprio con il loro vino. Qualche decennio fa il vino pugliese era usato per tagliare i vini deboli (ma nobili) del nord. Vino da taglio. Venduto per poche lire al quintale. Vigoroso sangue plebeo per rinforzare il rammollito sangue dei nobili. I Salentini hanno imparato a fare il vino, sono diventati enologi, hanno evoluto tecnologie avanzate di vinificazione, e ora vendono il loro vino in tutto il mondo. E’ stata una rivoluzione. Ci attende ancora quella dell’olio che, comunque, un tempo veniva venduto proprio come il vino da taglio. Le olive davano olio lampante, venduto per illuminare le strade di Londra, tra l’altro, prima dell’avvento dell’elettricità. Ora si produce olio extravergine, con tutt’altro prezzo, ma ci sono ancora margini di miglioramento. Dobbiamo migliorare le tecnologie per salvaguardare i nostri beni culturali, che non possono essere fruiti se non qui. Possiamo inventare nuovi modi di costruire le case, in modo che non richiedano energia ma che, invece, ne producano. Dobbiamo fare come i Cinesi, gli Indiani e i Brasiliani nel puntare sulle tecnologie, concordo. Ma non lo dobbiamo fare come lo fanno loro. E dobbiamo stare molto attenti alle delocalizzazioni, perché portano all’arricchimento di chi possiede le aziende, ma impoveriscono chi lavora(va) in quelle aziende. Ricordo che molte multinazionali del turismo hanno fatto base qui, per sfruttare le nostre bellezze naturali, costruendo villaggi vacanze i cui introiti vanno all’estero, e noi svolgiamo solo ruoli di servizio. Siamo la meta di delocalizzazioni, ve ne siete accorti? Le nostre aziende produttive, tipo il calzaturiero, emigrano in Albania, per la manodopera a basso costo, e ci sono aziende dell’industria del turismo che delocalizzano da noi perché abbiamo le bellezze naturali. Ma non ce ne accorgiamo e le lasciamo sfruttare da altri. Benissimo delocalizzare un certo tipo di industrie (anche se c’è molta ipocrisia in queste politiche), malissimo non accorgersi dell’unicità del nostro patrimonio e pensare di fare come i destinatari delle delocalizzazioni (Cina, India, Brasile). Le tecnologie sono solo strumenti, per utilizzarle e svilupparle al meglio ci vuole una strategia, altrimenti i nuovi centri potrebbero andare incontro agli stessi problemi di quelli che li hanno preceduti e che, ora, sono chiusi o sono in difficoltà (con qualche nobile eccezione).

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Dottor Jeckill e Mister Hyde

Ho visto la prima e forse ultima puntata del programma “Ora ci tocca anche Sgarbi”. E’ evidente che si tratta di un “Vieni via con me” alternativo, con Sgarbi al posto di Fazio. Sgarbi è un perfetto dr Jeckill, il bravo medico che vuole solo far del bene, ma che poi si trasforma nel perfido mr Hyde. Sgarbi ha a cuore la bellezza del nostro paese, e più di ogni altro sa spiegarla e sa trasmettere entusiasmo verso di lei. Quando spiega un quadro, o descrive un paesaggio, Sgarbi è veramente un maestro, nel senso antico del termine. Però, forse per fare audience, poi si arrabbia e si scaglia contro nemici a volte immaginari. 
Sgarbi ha introdotto Carlo Vulpio, un replicante di Saviano, che ha parlato contro le energie alternative, facendo riferimento alla Puglia.

Premetto: concordo con Sgarbi & Vulpio che si stia esagerando, e condivido il sospetto che l’affare sia stato fiutato da faccendieri disonesti. Non mi piace la campagna vetrificata. Anche perché l’abbiamo già vetrificata e plastificata con le serre che, forse, si potrebbero semplicemente trasformare  in modo che siano ANCHE impianti solari. Sulla Leverano-Porto Cesareo ne ho visto una. Non sono un esperto, però se quella fosse la strada, sarebbe da seguire. 
Vulpio ha detto una valanga di castronerie, assieme a giustissime considerazioni. Intanto ha detto che la vera mafia non è quella di Mastrosso e Carcagnosso, facendo riferimento a Saviano. Quella mafia, evidentemente, non lo preoccupa. La vera (e unica?) mafia è quella delle energie alternative che, quindi, diventano un tutt’uno con essa. Ovviamente, anche le strade sono mafiose, visto che c’è la Salerno Reggio Calabria, e lo smaltimento dei rifiuti, visto il caso Campania. Non facciamo più strade e non smaltiamo più i rifiuti perché i mafiosi hanno invaso parte di queste attività? Vulpio ci informa che, in Puglia, le pale eoliche sono miriadi, in mare, e sono loro a far perdere l’orientamento a delfini e capodogli in tutto il Mediterraneo… dove non c’è una sola pala eolica! Lo so perché ho presentato un progetto all’Unione Europea (che pare sia stato approvato) in risposta ad un bando che chiede di valutare l’opportunità di istituire reti di Aree Marine Protette in Mediterraneo e Mar Nero, e di valutare anche l’opportunità di istituire campi eolici in mare. Per il momento non ce ne sono, neppure una pala. E quindi Vulpio ci ha raccontato storie vere (dr Jeckill) ma poi ci ha raccontato delle palle (mr Hyde) creandosi un credito con le verità per poi spacciare falsità. Il video è disponibile on line. Dice testualmente che la Green Economy è una buona causa per commettere il crimine peggiore. E quindi green economy è uguale a crimine. Sul mare e sulla terra il crimine delle energie alternative viene perpetrato tutti i giorni. E i mafiosi finanziano anche la Notte della Taranta. Non avrei mai pensato di dover difendere la Notte della Taranta (che non amo particolarmente).

Non mi piacciono le pale eoliche a deturpare il paesaggio. Mi sono scoperto (con orrore per me stesso) a fare come Emilio Fede, che storpia i nomi dei suoi avversari per delegittimarli, e in alcune occasioni ho chiamato Nichi Ventola l’ottimo presidente della nostra regione!

Spacciare falsità miste a verità è una strategia vincente, se si vuole confondere l’opinione pubblica. Ma non sempre. Pare che l’opinione pubblica non sia più così incline a lasciarsi prendere in giro. Come ha cercato di fare, per esempio, lo spot del Forum Nucleare. Sgarbi & Vulpio non hanno detto esplicitamente che il nucleare è una bella cosa, ma hanno concimato il terreno per arrivare a quello. Prima si distrugge l’alternativa, e poi non rimane che una proposta. Nessuna citazione delle polveri sottili, o delle scorie nucleari. 
Detto questo, spero che si metta ordine in questa corsa alla erezione di pale eoliche e ai campi fotovoltaici. E se ci sono comitati di affari che speculano, vanno colpiti. Le denunce di Sgarbi e di Vulpio, scremate dalle mistificazioni, meritano la massima attenzione. E mi spiace che la trasmissione sia stata un flop. Magari avrebbero potuto correggere il tiro. E’ evidente che queste strategie non incontrano più il favore del pubblico. La strategia è evidente: spariamole grosse, alziamo cortine di fumo, disorientiamo. Così alla fine gli onesti e i disonesti diventano uguali. Tutti colpevoli uguale tutti innocenti. Dire che il Mediterraneo è coperto di pale eoliche che uccidono delfini e capodogli fa cadere la maschera dell’indignazione pelosa. Questa strategia conviene solo ai disonesti. Ci sono diverse possibilità per catalogare questi comportamenti: o Sgarbi & Vulpio sono onesti incompetenti (pensano davvero che ci siano pale eoliche in mare), oppure sono disonesti competenti (sanno che non ce ne sono, ma raccontano palle). Non voglio pensare che siano disonesti incompetenti (non lo sanno e se lo inventano). Abbiamo voglia di una quarta combinazione: i competenti onesti!

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L’ultimo pesce

I giornali, qualche giorno fa, hanno lanciato una notizia allarmante. Abbiamo pescato tutti i pesci disponibili nei nostri mari e ora viviamo di prodotti importati. Repubblica la riporta così, il 2 maggio: Abbiamo finito le scorte. Ci siamo mangiati l’ultimo pesce preso in Italia il 30 aprile e da ieri portiamo a tavola pesce importato. Mettendomi nei panni di un semplice cittadino, capisco che se oggi dovessi andare a Porto Cesareo a comprare un pesce mi vedrei offrire solo pesci pescati in altri mari e che i pescatori non escano neppure più, dato che di pesci non ce ne sono più.

Basta andare a vedere il ritorno dei pescherecci per capire che non è così. I pesci nelle reti ci sono, e nelle pescherie ci sono anche pesci “nostri”. E allora? Credo che ci sia stata un po’ di confusione tra la burocrazia e la realtà. Ogni paese europeo ha quote di pesce che può pescare. Le quote sono definite dalle dichiarazioni degli anni precedenti. Hai dichiarato di pescare 100 negli anni precedenti? Allora non puoi pescare più di 100 negli anni seguenti, e ti controlliamo. Il problema è che abbiamo dichiarato meno di quel che peschiamo e, ora che ci controllano, vien fuori che quello che abbiamo dichiarato è nettamente inferiore a quel che peschiamo. E’ successa la stessa cosa con le quote latte. Non so bene cosa succederà ai pescatori e alla vendibilità dei loro prodotti. Forse gli sarà vietato di uscire a pescare? Il fatto è che non è vero che non ci sono più pesci, però abbiamo pescato nei primi mesi dell’anno tutti quelli che ci era concesso di pescare in tutto l’anno. Forse dovremo pagare multe salate (come quelle delle quote latte).

Tutto bene, allora? E’ solo burocrazia? No, non è solo burocrazia. In tutto il mondo si assiste al collasso di popolazioni di pesci pescati industrialmente. E non si salvano neppure i pesci più piccoli. Qualcuno si sorprende che l’acquacoltura non riesca a “salvare” le popolazioni naturali di pesci. Se, invece di pescare i pesci in mare, li alleviamo, tutto dovrebbe essere a posto, no? No. Perché alleviamo carnivori e li alimentiamo con mangimi a base di pesci pescati da popolazioni naturali. Dopo aver preso i pesci più grandi, ora li alleviamo e li nutriamo con quel che resta: i pesci piccoli. Una pratica che non esito a definire folle.

Il problema non è di facile soluzione. Siamo sette miliardi, e tutti vogliamo mangiare (mi pare giusto) e l’ambiente non ce la sta facendo più a soddisfare i nostri bisogni. Disboschiamo le foreste per aumentare il terreno coltivabile, pompiamo le colture in modo da aumentare il numero dei raccolti, peschiamo con tecnologie raffinatissime. Ma la natura non ce la sta facendo più a darci altre risorse, visto che le stiamo consumando più rapidamente di quanto lei riesca a rinnovarle. La solita storia della crescita infinita in un sistema che ha dei limiti di sopportazione. Limiti che non vogliamo riconoscere.

L’ottusa burocrazia europea si rende ridicola, dicendoci che non ci sono più pesci, quando è evidente che ce ne sono ancora. Però ha ragione. Sta cercando di salvarci da noi stessi, ammonendoci dei limiti naturali delle popolazioni, prima che davvero non ci siano più pesci.

Ancora una volta mi trovo costretto a dire che la natura non fa parte della nostra cultura, e che questi fatti sono visti con fastidio da chi predica la crescita dei consumi e della produzione come unica nostra salvezza. Non è vero. E’ una pratica irresponsabile. L’unica via è la diminuzione della popolazione mondiale, ma nel frattempo che si fa? Risposte magiche non ce ne sono. Bisogna però che ci si impegni per trovarle, aspettando che arrivi un po’ di saggezza. Ma questo richiede un cambiamento culturale, in modo che si smetta di pensare solo a crescere e si inizi a capire come poter vivere in armonia con la natura che, lo ripeto ancora una volta, ha dei limiti in quello che ci può offrire.

Per il momento, i pesci che mangiamo sono un debito che abbiamo con la natura. E lo stiamo contraendo senza avere una politica per ripagarlo. E qui non si tratta di finanza, di trucchetti contabili. Con la natura non si scherza. Prima o poi il conto ce lo presenterà davvero, e non lo potremo pagare con i soldi.

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Diffidiamo da chi promette i miracoli

Ora vi racconto un esperimento che ci permette di capire gli eventi di questi giorni. Nel sistema nervoso dei vertebrati esistono centri che registrano la sazietà e impediscono che lo stimolo della fame costringa a mangiare ulteriormente. Questi centri si attivano se nel corpo sono immesse sostanze nutritive. Mangiare è una necessità vitale, ma ce ne sono altre. Quando il morso della fame viene meno, si può passare ad altro. L’esperimento consiste in questo: nel cervello del topo si inserisce un elettrodo che stimola i centri della sazietà, in modo che la fame non sia placata da presenza di cibo nello stomaco. L’attivazione è fasulla, i centri sono stimolati, questo è vero, e innescano il comportamento di cessazione di ricerca del cibo, ma la pancia è vuota. I topi vengono messi in una gabbia di Skinner e l’esperimento ha inizio. Le gabbie di Skinner hanno due pulsanti che permettono una scelta all’animale ingabbiato. In questo caso, se si preme il tasto bianco arriva un bocconcino di cibo (vero), mentre se si preme il tasto nero l’elettrodo stimola il centro della sazietà. I topi, per un po’, provano i due tasti in modo casuale, ma poi, una volta capito (sì: capito) il funzionamento della struttura, dirigono la loro scelta, invariabilmente, su un tasto. Vi lascio un po’ di mistero. Cosa sceglieranno? Provate a indovinare. Ed ecco la soluzione: non scelgono il tasto che fa arrivare il cibo, ma quello che stimola i centri della sazietà. Conta più il cervello della pancia. Se portato all’estremo, questo esperimento porta alla morte per fame dei poveri topi. Ma loro muoiono convinti di avere la pancia piena.

Bene, a me questa storia dei topolini fa pensare che siamo proprio un popolo di fessi. Andiamo dietro a chi ci fa le promesse più mirabolanti (stimolando qualche elettrodo) anche se poi non riceviamo quasi niente. Lo so che pensate a Berlusconi, che in effetti ha fatto la sua fortuna con prodotti virtuali (televisione e pubblicità) ma io penso anche a De Magistris, che promette miracoli ma poi non li fa.

A noi topolini piace essere rassicurati. Ci piace scegliere qualcuno che ci dice che tutto si aggiusta, che non ci sono problemi, che in breve tempo ci sarà il miracolo che risolverà tutti i problemi. Ma poi siamo solo noi? Che dire di Obama? Premio Nobel per la Pace a pochi mesi dall’elezione, senza aver fatto alcunché. Miracoli promessi che, però, non avvengono. 
E quindi sì, siamo come topolini nella gabbia, col telecomando in mano. Questa storia dei miracoli e della speranza che tutto si aggiusti è soddisfatta con la religione (ma questo è solo uno dei motivi del successo della religione: ho scritto un libro su questo argomento e, se vi interessa la mia opinione, cercatelo) e molto spesso la religione è stata usata a scopi politici. Lo stesso Berlusconi un tempo si definì “unto dal Signore”, una manna mandata dal cielo. Questi stratagemmi funzionano, ma poi la bugia diventa talmente palese che … bisogna inventarne un’altra. Vedi il caso di Napoli. 
Nessuna speranza, quindi? I napoletani sono di nuovo arrabbiati, si sono fatti affascinare dalle promesse di miracolo, ma la spazzatura è una cosa troppo palese per essere rimossa in modo virtuale. I precari (la parte peggiore del paese) vedono un futuro senza grande speranza, e non esistono stimoli virtuali che possano far fronte alla disperazione. 

Quando ero un ragazzino pensavo che la rivoluzione avrebbe risolto tutto. Ma poi, guardandomi indietro, guardando la storia, non ci sono state molte rivoluzioni che abbiano risolto i problemi che le hanno generate. O meglio, tagliare la testa a un re dà una grande soddisfazione, ma poi si finisce con un imperatore. Però quelle parole: Libertà, Fraternità, Uguaglianza, alla lunga sono diventate un programma veramente serio. Oggi, in teoria, dovremmo essere più maturi, e non aver bisogno di rivoluzioni. Mi vien da ridere a usare la parola “riforme” al posto di “rivoluzione”, anche perché è da quarant’anni che sento parlare di riforme. Dagli anni Ottanta non sento più parlare di rivoluzione, e ora, dopo quella tunisina ed egiziana, vedo che ne stanno per scoppiare anche “da noi”, per esempio in Grecia (dove non ci sono re o dittatori). Ma che soluzione sarebbe, la rivoluzione, per la Grecia? Se esiste un progetto alternativo, basta che chi lo propone vada alle elezioni. Ma le vincerebbe? Dipende da quel che promette. C’è una bella differenza. Noi scegliamo le persone che ci governano. Eppure eccoci qua: non c’è il re, ma c’è comunque una corte che vive alle spalle del paese. Oppure, come in Grecia, c’è un intero paese che falsifica i bilanci e vive allegramente un benessere virtuale. La prima soluzione, come al solito, sta dentro di noi. Nel nostro paese forse siamo ancora in tempo. Ma le persone non vanno valutate dalle promesse che fanno. Sono le realizzazioni di promesse che devono contare! Il credito deve essere a termine. E, comunque: diffidate da chi promette rimedi mirabolanti.

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Scienza e allarmismo

Così ora tocca all’Escherichia coli, un batterio che vive normalmente nel nostro intestino, grazie al quale siamo in grado di digerire quel che mangiamo. C’è un ceppo impazzito, che causa disagi e persino la morte. Da dove viene? Cetrioli, salami, germogli di soia, ristoranti tedeschi, ogni giorno si lancia un allarme. E le vendite del prodotto incriminato crollano. Poi si dice che non era quello, il colpevole. E se ne trova un altro. Non è la prima volta che assistiamo ad allarmi di questo tipo: la mucca pazza, la febbre aviaria, influenze letali. Magari si producono tonnellate di farmaci, e poi la bolla si sgonfia. L’impressione è che si cerchi di cavalcare le paure della gente, e si promettano grandi catastrofi a cui si deve far fronte con grandi investimenti per ottenere il rimedio miracoloso. 
C’è un grave rischio in tutto questo: vien meno la fiducia nella scienza. Però, se non si “pompano” le notizie non si ottiene attenzione. Se si spiega per bene una situazione, la gente non segue il ragionamento. Bisogna semplificare. Alla televisione bisogna spiegare tutto in pochi secondi. Con parole semplici. Ma non tutto è spiegabile in questo modo. E allora gli “scienziati” (metto sempre le virgolette quando uso questa parola) tendono a semplificare, e a spararla grossa. Trent’anni fa gli ecologi dissero che il pianeta avrebbe subito un collasso entro venti anni. Il collasso non c’è stato, così molti pensano che sia tutto a posto. D’altra parte, c’è gente che promette la cura di tutto. Col progetto genoma capiremo l’origine di tutte le malattie, e le cureremo! Non è successo.  Ogni giorno ci dicono che su qualche pianeta c’è l’acqua e, se c’è l’acqua, allora c’è la vita. Ma sono decenni che spendiamo cifre immani per trovare la vita sugli altri pianeti, e non l’abbiamo trovata. Oppure si cercano particelle infinitamente piccole, e si dice che, facendole collidere, si potrebbe provocare la fine del mondo.

Non c’è un modo alternativo alla scienza per conoscere. E i progressi ci sono, eccome. Però gli scienziati (con o senza virgolette) sono sempre costretti a gonfiare le loro promesse di risultati mirabolanti, o a ingigantire i pericoli. Prima si spaventa la gente, e poi la si rassicura. Un tempo queste cose si facevano con la religione, però i rimedi avvenivano in un’altra vita. Ci sono le guarigioni miracolose, questo è vero. Ma non è mai successo che, miracolosamente, sia ricresciuto un arto amputato (mentre gli ortopedici riescono a riattaccare le mani). La scienza, a differenza della religione, promette risultati qui e ora. E le bugie possono essere più facilmente smascherate. Se esiste l’al di là lo si sa quando si muore, ma di solito non si torna indietro per dire se c’è. E, se non c’è, di sicuro non si torna… A me è capitato di vedere uno spirito e quindi ho qualche propensione a credere a queste cose. Ma non è possibile provarle scientificamente. Con la scienza è più difficile barare, anche se certi trucchetti (penso alla vita extraterrestre) vanno avanti da decenni e continuano ad avere successo. Io penso che davvero la nostra specie (non il pianeta) sia in pericolo per tutti i guai che stiamo combinando all’ambiente che ci garantisce la possibilità di vivere bene. E penso che dovremmo preoccuparci moltissimo di quel che stiamo combinando. La scienza può aiutare, ma bisogna saperla usare. Faccio un esempio. A Taranto ci sono molti tumori all’apparato respiratorio. Si prospettano investimenti faraonici per costruire un enorme ospedale che curi queste malattie.  Il problema è che in zona esistono impianti industriali che producono polveri sottili che generano tumori. Come risolvere il problema? Forse una soluzione potrebbe essere di modificare gli impianti, in modo da rimuovere la causa dei tumori. Invece si sceglie di lasciare la causa e di curare i tumori (così i clienti dell’ospedale sono garantiti).

La scienza è come un bisturi. Nelle mani di un chirurgo fa miracoli, nelle mani di un serial killer no. Questi sono i due estremi. Non dico che chi cerca la vita sugli altri pianeti, o chi propone ospedali per curare le malattie invece di rimuovere le cause delle malattie sia un serial killer. Si tratta di validi professionisti che vedono il mondo dalla loro prospettiva particolare. E vogliono vendere la loro “merce”. E’ qui che si rivelano le carenze della classe politica. Perché non sono gli scienziati a dover decidere. Deve decidere la gente. Attraverso il voto a politici competenti. Ma la cultura scientifica, nel nostro paese, è in condizioni disastrose, sia nella gente sia nei politici. E quindi i poveri “scienziati” sono costretti a fare gli imbonitori e gli stregoni. Solo chi la spara grossa trova ascolto. E si torna alla sfiducia nella scienza. Lo voglio ripetere: esiste un altro modo per acquisire conoscenza? E mi do anche la risposta: non esiste. Riconosco però che molti scienziati possano essere visti con diffidenza. Il problema è che spesso chi dovrebbe decidere a chi credere non ha gli strumenti per farlo. E questo vale sia per i politici, sia per la gente.

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L’assassinio del mare

Martedì scorso, l’ultima puntata di Anno Zero ha denunciato l’assassinio del mare. Una cosa non da poco per un paese come l’Italia, con ottomila chilometri di coste, e con uno spazio di acque territoriali superiore rispetto allo spazio emerso.

Santoro ha parlato di “assassini del mare” e ci ha mostrato i fatti. Speculazione edilizia, “sviluppo” industriale, pesca industriale e inquinamento di ogni tipo sono gli assassini del mare. Il tutto in nome della crescita economica. Santoro ci ha fatto vedere questa tragica realtà attraverso gli occhi dei pescatori. I pescatori ammettono le loro colpe, mostrano gli attrezzi poderosi con cui attaccano i fondali, denunciano gli effetti dello sterminio della natura perpetrato da loro stessi con strumenti sovradimensionati rispetto alle possibilità di sopportazione del sistema mare. Lo sanno, lo vedono, ma non possono che andare avanti. Abbiamo visto il pesce gettato a mare, oppure tenuto in frigo, per diventare mangime da dare ai pesci di allevamento. Abbiamo visto come si alterano i pesci per farli sembrare freschi, e abbiamo sentito che questi metodi possono causare allergie (io sono allergico ai crostacei… o a quello con cui vengono trattati?).

Non c’era il mondo scientifico, in quella trasmissione. I pescatori hanno menzionato “i biologi” dicendo che non dicono mai nulla. Poi uno, verso la fine della trasmissione, ha menzionato Cousteu che, quarant’anni fa, disse che il Mediterraneo aveva vent’anni di vita. Aveva sbagliato, Cousteu. Non erano vent’anni. Stando a quanto dice Santoro erano quaranta. Cambia poco. Il fatto rimane: prima il prelievo era sostenibile e il mare riusciva a rigenerare le risorse sottratte. Ora non ce la fa più. 

I biologi lo dicono da tantissimo tempo. Certo, ci sono quelli che dicono quello che le autorità vogliono sentirsi dire (tipo che l’acquacoltura salverà il mare, come se l’agricoltura avesse salvato le foreste), ma molti, la maggioranza, dicono che così non va, e lo dicono da tantissimo tempo. Inascoltati. La curva dell’economia deve salire. Se sale qualcosa, però, di solito qualche cos’altro scende, e quel che scende è la curva dell’ecologia. Oramai è trita e ritrita l’immagine retorica del “segare il ramo su cui si sta seduti”. Ma è proprio quello che stiamo facendo. Noi lo diciamo da sempre. Inascoltati.

Ho appena finito la negoziazione di un grosso progetto europeo sulla creazione di reti di Aree Marine Protette in Mediterraneo e Mar Nero. L’Europa sa che bisogna cambiare registro, e chiede alla comunità scientifica di rispondere, di proporre soluzioni. Una soluzione consiste nell’estendere la protezione anche al di fuori delle tradizionali Aree Marine Protette, creando reti di protezione molto più grandi. Il progetto pilota lo faremo qui, in Salento, nel Canale d’Otranto. Come coordinatore di questo progetto, che impegna ricercatori di ventidue stati, ce la metterò tutta per dare altri strumenti ai decisori. Anche se so che poi quel che diremo non sarà ascoltato. Ci sono sempre altre priorità. Dal 1987, anno del mio arrivo a Lecce, cerco di costruire una Stazione di ricerche marine sita direttamente sul mare. Ho ricevuto offerte da amministrazioni di molti paesi costieri, ma nessuna è mai andata in porto. Alla fine si decide sempre di fare altro, magari per vederlo fallire o mai decollare, ma ci sono sempre altre priorità. Le poche risorse locali che avevamo ci vengono tolte, come è successo per il sostegno da parte della Provincia al Museo di Biologia Marina di Porto Cesareo. E per quanto facciamo, noi biologi, per quanti successi possiamo avere, le risorse per studiare il mare non ci sono mai. Dobbiamo andare in Europa, a prenderle. Nessun problema, ci andiamo e le otteniamo. Ma un po’ di considerazione da parte del sistema in cui operiamo direttamente forse non guasterebbe.

Intanto, nei primi giorni di luglio, si svolgerà a Lecce il congresso dell’Associazione Italiana di Oceanologia e Limnologia. E’ un riconoscimento al ruolo leader che la nostra Università ha in questo campo di indagine. L’anno scorso abbiamo organizzato due convegni mondiali sulla biodiversità marina. Abbiamo lanciato il primo corso di laurea magistrale in inglese su questi argomenti, il primo corso interamente in inglese nella nostra Università e uno dei primi in Italia. Siamo nei network di eccellenza dell’Unione Europea, il nostro lavoro raggiunge la copertina di Time. Ma non basta mai, per quanto facciamo, c’è sempre qualcosa di più importante, che merita maggiore considerazione. Non è un atteggiamento “locale”, è prassi comune in Italia. In Francia c’è una stazione di ricerca marina ogni sessanta chilometri, da noi le poche che c’erano sono state chiuse. Poi ci lamentiamo che il mare muore. Il mare non è morto, ma non sta bene. Pensiamo al mare come se fosse un uomo malato. Ecco, è malato, però pensiamo che per affrontare la malattia i medici e gli ospedali siano inutili. La scelta è fatta. Però non dite che non diciamo niente, che non avvertiamo, che non facciamo presenti i problemi e che non proponiamo soluzioni.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 30 giugno 2011]

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La nostra specie non evolve più? Dipende….

Uno studio dell’Università di Cambridge suggerisce che la nostra specie abbia raggiunto il massimo dell’evoluzione del sistema nervoso e che non ci siano margini di ulteriore aumento della nostra intelligenza. Praticamente dovremmo essere alla fine del nostro percorso evolutivo. Le spiegazioni sono squisitamente fisiologiche e parlano, tra le altre cose, di consumi energetici del cervello e di connessioni neuronali. Penso che questo studio sia una delle tante bufale estive, e ora vi spiego perché.

Intanto abbiamo innumerevoli esempi di esseri umani dotati di poteri intellettuali ben al di sopra della media, e questi mostrano come ci siano ampi margini di “miglioramento” per la grande massa di chi, invece, stenta a ragionare adeguatamente. Visto che ci sono così tante guerre, è evidente che dobbiamo ancora “evolverci” nel modo in cui affrontiamo i problemi! Non dico che diventeremo tutti Mozart che, a cinque anni componeva pezzi musicali che ancora ci sorprendono, ma penso che abbiamo ancora molta strada davanti. E poi la nostra specie ha evoluto qualcosa che non ha molto a che vedere con la neurobiologia, anche se ne è il prodotto: noi siamo animali tecnologici. I nostri neuroni non riescono più a contenere tutte le informazioni e le conoscenze accumulate dai nostri antenati, però abbiamo inventato i computer, e la rete. Se oggi non ricordo più il titolo di un film del mio attore preferito, basta scrivere il nome di quell’attore in un motore di ricerca e ecco che in pochi secondi ho l’elenco dei suoi film e… ecco il titolo che non mi veniva in mente (a causa di insufficienti connessioni neuronali). Se voglio fare un calcolo complicatissimo, che persino il cervello di un matematico autistico non potrebbe affrontare, ecco che posso usare un supercomputer che in un batter d’occhio fa il lavoro per me. Anche i nostri muscoli hanno dei limiti, e la nostra struttura fisica ci impedisce di volare. Eppure spostiamo pesi che nessun altro vivente potrà mai spostare e, in barba alla nostra conformazione fisica… voliamo! Non respiriamo sott’acqua eppure raggiungiamo le più recondite profondità degli abissi marini. Questo è il nostro vero pericolo: siamo troppo bravi! Forse un uomo moderno medio non resisterebbe un giorno nella giungla amazzonica, ma il vero problema è che l’uomo moderno se ne sta nelle sue città e, per soddisfare i suoi bisogni, sta distruggendo la foresta amazzonica, e non solo quella. Non c’è bisogno di intelligenze superiori per capire che se non freniamo la nostra “potenza” arriveremo a distruggere i sistemi ambientali che ci sostengono e, così facendo, metteremo a rischio la sopravvivenza della nostra specie. Il problema, quindi, non è di diventare sempre più intelligenti ma, invece, di essere abbastanza intelligenti da capire che siamo andati troppo avanti e che dobbiamo restare al passo con il resto della natura, perché ne siamo parte. Qui non si tratta di connessioni neuronali, si tratta di bilanciare una tendenza evolutiva a soddisfare bisogni immediati sempre crescenti mantenendo la capacità di prevedere che il loro soddisfacimento ci creerà problemi che non riusciremo ad affrontare neppure con tutte le nostre magnifiche tecnologie. Non ci vogliono intelligenze superiori per capire che la crescita della popolazione umana non può procedere all’infinito (il pianeta non può sostenere un numero infinito di umani) e che, ovviamente, la crescita economica ha anch’essa dei limiti, esattamente per gli stessi motivi. Abbiamo canalizzato la nostra intelligenza verso la crescita, ora dovremmo cercare di adoperarla per aumentare la qualità della nostra vita, senza pretendere che la quantità aumenti all’infinito. Le nostre connessioni neuronali dovrebbero essere sufficienti per capire questo semplice fatto. Se invece non lo sono… poco male. Ci estingueremo seguendo un’impossibile crescita e sopravviveranno specie meno distruttive di noi. Se evolveremo non sarà verso un aumento della nostra intelligenza ma, invece, verso un uso sostenibile dei suoi prodotti.

[Pubblicato nel “Nuovo Quotidiano di Puglia” del 19 agosto 2011 col titolo I veri limiti dell’intelligenza dell’uomo]

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La soluzione è consumarne meno!

Quando Roosevelt si candidò a presidente degli Stati Uniti d’America, gli USA erano nel pieno della crisi economica. Propose il Nuovo Patto (il New Deal) e rilanciò l’economia con grandi investimenti statali. Veramente abbiamo fatto questo Patto anche noi, anche il Presidente Berlusconi ha fatto un patto con gli Italiani, e ha proposto le Grandi Opere. Prima tra tutte il Ponte sullo Stretto. Pare, però, che le Grandi Opere siano diventate un modo per far arricchire faccendieri che regalano case ai ministri (senza che questi se ne accorgano) e siamo arrivati a fare due sedi per lo stesso G8, unico paese al mondo ad abbracciare la filosofia di fare uno al prezzo di due!

Tutti dicono che non ci sono alternative a questo governo, tutti concordano nel dire che siamo al capolinea di una lunga fase, ma tutti concordano che la sinistra non abbia idee. Oppure che ne abbia troppe, e che non riesca a mettersi d’accordo con se stessa. Certo, è più comodo affidarsi al leader carismatico e lasciar fare a lui. Ma il presidente della Confindustria ci dice che abbiamo perso dieci anni, e la stessa cosa la dicono i suoi predecessori, un tempo affascinati dal Ghe pensi mi (Ci penso io) del premier. 
Dato che tutti gli italiani sono allenatori della nazionale (a parte me, perché di calcio non capisco niente) mi azzardo a fornire una ricetta.

Il Nuovo Patto ci deve essere, e deve essere lo Stato a dare la scossa al Paese, per ridargli vita. Ma come? Confesso che l’idea del Piano Casa mi piace. Con una piccola modifica. Le case italiane consumano troppa energia. Spendiamo fortune per riscaldarle e spendiamo fortune per rinfrescarle. Le nostre case vanno ristrutturate in modo radicale, tutte. In modo che diventino inerti, che consumino il meno possibile, anzi, che producano energia. Non abbiamo la tecnologia per farlo? Investiamo per arrivare a questo risultato. Ma mi pare che questa tecnologia ci sia. Questo rilancerebbe l’industria edilizia. Non per fare altre abitazioni (devastando ulteriormente il territorio) ma per migliorare quelle esistenti. Per restaurare in modo energeticamente valido le abitazioni che ci sono già. Tra parentesi, questo permetterebbe di risparmiare energia, in modo da dipendere meno dalle importazioni. La soluzione non è produrre più energia, la soluzione è consumarne meno! Ogni casa deve avere il suo impianto solare, deve essere coibentata, insonorizzata. Si devono cambiare gli infissi, le porte, e i sistemi di riscaldamento e raffreddamento. Contemporaneamente si mettono linee internet associate a quelle dei telefoni. Non basta?

Ci sono le automobili. Abbiamo un parco auto vecchissimo. E anche le nuove automobili consumano e inquinano. Dobbiamo inventare, sì inventare, automobili che consumino pochissimo e che non inquinino. E una volta che le abbiamo fatte dobbiamo incentivare le persone a cambiarle. In modo da rinnovare il parco auto. Invece la FIAT fa i SUV!

E dobbiamo cambiare, in modo radicale, le produzioni di beni. In modo da eliminare la produzione di rifiuti. Bisogna ripensare le confezioni dei beni che consumiamo. In modo che non si getti niente. La soluzione del problema dei rifiuti non è la raccolta differenziata, bisogna smettere di produrre rifiuti.

In ogni lavandino ci deve essere un tritarifiuti organici (negli USA c’è). Bisogna riutilizzare l’acqua domestica, per irrigare i campi, dopo opportuno trattamento. 
Insomma, c’è da ripensare la nostra vita di tutti i giorni. Abbiamo vissuto in modo irresponsabile per troppo tempo. Non voglio tornare indietro, non voglio tornare agli anni Cinquanta. Ma so che non possiamo continuare così.

Il Ministero dell’Ambiente deve diventare più importante di quello dell’Economia. Tutto quello che si farà deve passare per il Ministero dell’Ambiente che deve controllare la sostenibilità delle proposte. Basta crescita infinita in sistemi finiti. E’ una follia. Questa gente, quella che propone la crescita secondo i vecchi schemi, ci ha portato alla rovina. Non possono essere loro a guidare la ripresa, la crescita. E l’Italia deve tornare ad essere il paese della Bellezza. E quindi propongo il Ministero della Bellezza. Che poi altro non è che la sintesi del Ministero dell’Ambiente e il Ministero dei Beni Culturali (le due facce della Bellezza del nostro Paese). L’obiettivo deve essere di ridiventare il Paese più bello del mondo. Lo eravamo. Questi ultimi venti anni ci hanno ricacciato indietro. E poi ci vuole il Ministero del Gusto. Anche i nomi hanno la loro importanza. E il Ministero della Pace.

Ah! gran parte della spesa pubblica va in Sanità. Noi distruggiamo il Paese, creiamo situazioni che portano alle patologie, e poi spendiamo fortune per curare i malati. Non va bene, non dobbiamo spendere per curare chi si ammala, dobbiamo spendere per evitare che ci si ammali. Inoltre spendiamo montagne di danaro per far vivere più a lungo chi è arrivato in fondo alla vita, e poi non sappiamo come gestire miriadi di anziani ai quali non viene concessa la dignità di morire senza accanimenti terapeutici. 

Ci sono tante cose da fare, e non sono né di destra né di sinistra. Ah! ancora, mi piacerebbe vedere il Ministero della Logica, perché molto di quel che abbiamo fatto negli ultimi decenni è fuori da ogni logica. Ci vuole la Guardia della Logica, e appena uno la spara grossa bisogna prenderlo e metterlo di fronte alle sue contraddizioni logiche. Una per tutte: meno tasse per tutti (che significa anche meno tasse per chi non le ha mai pagate). Un’altra? i mafiosi sono eroi, i giudici sono un cancro da estirpare. Queste sono quelle della Destra.  Ne volete una della Sinistra? Pensare che le cose fatte dallo Stato siano necessariamente inefficienti e che solo i privati sappiano fare bene le cose. Non è vero! Vogliamo uno Stato che faccia funzionare bene le cose. Si può! Il Governo D’Alema, di sinistra, ha iniziato le privatizzazioni! Invece avrebbe dovuto far vedere che le cose dello Stato possono funzionare benissimo.

Forse può bastare, per ricominciare….

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Benedetto XVI e l’ecologia degli uomini

Benedetto XVI, durante il viaggio in Germania, ha parlato al Reichstag, il parlamento tedesco. Ha parlato di molte cose, ma c’è un passaggio che mi ha particolarmente interessato: “L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza ancora un punto che oggi come ieri viene largamente trascurato: esiste anche un’ecologia dell’uomo”. Il Pontefice ci ricorda che siamo parte della natura (abbiamo anche la nostra ecologia) e dobbiamo ascoltarne il linguaggio. Ma ascoltare non basta, bisogna anche capire, aggiungo io. Perché se il linguaggio non si comprende, anche se lo si ascolta, lo si può interpretare in modo errato. Che poi è anche quello che succede allo stesso Pontefice, visto che parla e nessuno lo ascolta. Io credo che il papa sbagli: l’importanza dell’ecologia non è indiscussa. L’ecologia viene sempre dopo, e noi pensiamo di essere fuori dalla natura, di non avere ecologia, di non dipendere da essa per la nostra sopravvivenza. Indiscussa è l’importanza dell’economia! E spesso l’economia viene praticata senza tener conto della natura, dell’ecologia.

L’ecologia è considerata una guastafeste, un limite allo sviluppo economico, come se noi ci potessimo sviluppare al di fuori della natura. Ovviamente il mio disaccordo con il Pontefice, per quel che vale, ha esclusivamente fini retorici: sono completamente d’accordo con lui, solo che lo reputo troppo ottimista nel dare per scontata l’importanza dell’ecologia. Cercate quanto spazio viene dato all’ecologia nei programmi dei partiti. Uno, a dir la verità, l’ha messa persino nel suo nome. Confesso che non mi ha fatto piacere, perché l’ecologia non è di sinistra (o di destra). Come non lo sono la libertà, o la democrazia. Se una parte si appropria di un valore assoluto, lo rende inviso a chi non appartiene a quella parte. E non va bene! Il Popolo delle Libertà, per i risultati che il suo governo ha ottenuto, non riscuote le mie simpatie (se avesse mantenuto le promesse sarei un suo strenuo sostenitore) ma questo non significa che io sia contro la libertà. Tutti i partiti dovrebbero avere molta ecologia nei loro programmi, e libertà, e democrazia. Tornando al linguaggio della natura, lasciatemi scrivere per la seconda volta un piccolissimo ragionamento: se le leggi dell’economia contrastano con le leggi della natura, quali leggi prevarranno? Non c’è gara: prevalgono le leggi della natura! Ma se non le conosciamo, se non sappiamo ascoltare il linguaggio della natura, se non lo capiamo, possiamo anche far prevalere le leggi dell’economia, andando contro natura. Tutti chiedono la crescita, ma questa aspettativa è contro natura. La crescita non può essere infinita, è contro natura! Se l’economia cresce, di solito decresce la natura. Prima di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II ha detto: la natura si ribellerà! E, aggiungo io (con non poca vanagloria visto a chi mi associo), le sue leggi prevarranno sulle nostre. Non è la natura che si ribella a noi, siamo noi che ci ribelliamo a lei! Benedetto XVI, ricordandoci che anche noi abbiamo un’ecologia, ci richiama all’interno della natura. Confesso di non essere un fervente cristiano e, per completare il mio commento sui nomi dei partiti, non amo quelli che mettono la religione nel loro nome (alla fine non ne amo nessuno…), però sono un grande ammiratore delle posizioni papali sulla natura. Ovviamente perché coincidono in pieno con le mie! Ora mi aspetto che i partiti che si rifanno al Cristianesimo le facciano proprie. Ma sono pronto a scommettere che non lo faranno, e non lo faranno neppure gli altri. Abbiamo bisogno di novità, e l’economia si può innovare solo in un modo: adeguando le sue leggi a quelle della natura.  Prima lo capiremo, prima troveremo soluzione ai nostri problemi.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 26 settembre 2011]

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Ho costruito una casa sulla spiaggia… e il mare se l’è portata via!

Ho visto il video della spiaggia erosa a San Cataldo. Il mare arriva fino a opere di cemento, fatte direttamente sulla spiaggia. In lontananza mi pare si vedano i pannelli costruiti per difendere il litorale dall’erosione. E’ evidente che non hanno funzionato. Soldi gettati (in tasca ai soliti che promettono soluzioni miracolose). Volete una previsione? Non funzioneranno neppure i ripascimenti. L’ho già scritto altre volte: esiste una disciplina geologica che si chiama “dinamica dei litorali”. Dinamica significa che i litorali si muovono, altrimenti si chiamerebbe “statica dei litorali”. Non si costruisce sulla sabbia, ho già ricordato che è scritto persino nel Vangelo. Chi costruisce sulla sabbia ha l’aspettativa che la sua costruzione duri come se fosse costruita sulla roccia. Il Vangelo chiama stolti quelli che non capiscono che sulla sabbia non si costruisce.

Il litorale deve avere la possibilità di muoversi: il mare prende la sabbia da una porzione di litorale e la porta ad un’altra porzione (spesso finisce nei porti, dove non la vuole nessuno…). Pensiamo davvero di poter controllare la natura a nostro piacimento, col cemento? Il nostro territorio è pieno di case costruite dove non si potrebbe, sulle frane o vicino ai vulcani o troppo vicino al mare. E poi ci si sorprende se ci sono le frane, le eruzioni, o le onde. Ho visto intere zone industriali costruite nel letto di qualche fiumara calabra. Ci sono villaggi turistici, nel tarantino, costruiti in posti che si chiamano “pantano”, e poi ci si lamenta se quando piove diventano pantani!

Spesso queste opere sono fatte infrangendo le regole dello Stato, che poi sciaguratamente le condona, e che poi, ancora, viene chiamato a porre riparo visto che l’illegalità è diventata legale. Mi spiace, la natura non si batte col cemento. O meglio, la si batte per un po’, ma poi torna e chiede il conto. Ho già scritto sul Quotidiano che queste difese costiere non sarebbero servite a molto. Confesso che avrei preferito aver torto, dopotutto non sono un geologo, ma ho imparato queste cose da colleghi geologi, che nessuno ascolta mai. Chi dice che queste cose non si devono fare, che non si deve costruire sulla spiaggia, viene visto come un nemico del progresso. Non è vero: chi dice questo vuole salvare proprio quelli che costruiscono, li mette in guardia, li avverte. I nemici di chi costruisce dissennatamente sono quelli che permettono che si costruisca.  La soluzione al problema è semplice, si chiama ritirata dalla costa. Tutto quello che è costruito direttamente sulla spiaggia deve essere demolito, compresa la strada, e le dune devono essere restaurate. Sul litorale ci possono essere solo costruzioni temporanee, di legno, su palafitta. Il resto si trasferisce nell’interno. Non vogliamo demolire noi? Ci penserà il mare. Anzi, ci pensa il mare.  Milena Gabanelli, intervistata da Fabio Fazio, ha detto una cosa terribile: nei posti chiave ci sono miriadi di incompetenti, e gli incompetenti si circondano di incompetenti, e tutto, nel nostro paese, è in mano a incompetenti. Ha esagerato, perché io conosco alcuni “decisori” competenti. Ma sono pochi, e sono mal visti. Gabanelli ha parlato di una casa che non si restaura con un po’ di intonaco: bisogna ricostruirla fino all’ultimo mattone. La battaglia per riportare a galla questo disastrato paese è tutta qui, è la battaglia agli incompetenti, che generano disastri dopo disastri e che hanno una rete di protezione talmente forte da continuare indefessamente a restare al loro posto, perché si sostengono a vicenda. Continuando indefessamente a fare disastri. I competenti sono i loro peggiori nemici, perché evidenziano la loro incompetenza. Li avversano, li combattono, e li costringono ad emigrare o a restare marginali. Non è così solo da noi, e infatti il mondo intero va a rotoli. Obama si è imbestialito quando si è accorto che, dopo aver fatto fallire le banche con la loro incompetenza, i manager si sono assegnati gratifiche faraoniche con i soldi (pubblici) concessi alle banche per il salvataggio. Non si può andare più avanti così e la mareggiata di San Cataldo è la metafora del nostro paese, che va a bagno per palese incompetenza. Il bello è che chi ha causato questi disastri ora si farà avanti per porvi riparo, e guadagnare altri soldi (pubblici). Proprio come i manager delle banche americane… vogliamo scommettere?

[“Il Nuovo Quotidiano di Puglia” del 13 ottobre 2011, col titolo La rincorsa a opere inutili]

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Economia senza natura: la grande truffa

Il Ministro dell’Ambiente non voterà la finanziaria perché il suo ministero ha subìto un taglio del 90% delle risorse. Evidentemente la protezione dell’ambiente non viene ritenuta una priorità ai fini economici e se si deve fare un risparmio lo si fa prima di tutto tagliando le risorse dedicate alla protezione, alla gestione e allo studio della natura.

Il presupposto filosofico di tutto questo si basa sul considerare gli umani come qualcosa che non ha nulla a che vedere con la natura. Ce la caviamo da soli. Che c’entra la natura con l’economia? Sono lussi che ci possiamo permettere quando siamo ricchi, ma se ci sono problemi allora dobbiamo pensare alle cose serie. E ovviamente, per il nostro governo, la natura non è una cosa seria, non è una priorità.

Poi spendiamo miliardi per sanare i danni che derivano dal progettare l’economia senza tenere conto della natura. E quindi paghiamo costi economici enormi (per non parlare dei morti) per non aver rispettato le leggi della natura.

La storia dell’erosione costiera, vista some qualcosa che si può contrastare con il cemento, è paradigmatica nel mostrare come ci rapportiamo con la natura. La dobbiamo sfruttare e se reagisce la dobbiamo domare. Ovviamente senza sapere nulla di come funziona.

Questa impostazione culturale è una follia, è una truffa che facciamo a noi stessi. Prima di tutto è una truffa economica. Perché i costi che dobbiamo pagare per non aver rispettato le leggi della natura sono molto superiori rispetto ai benefici che abbiamo ricavato dal non averle rispettate. Certo, se esternalizziamo i costi che derivano da queste pratiche, allora tutto sembra a posto. Esternalizzare significa fare i conti dei costi e dei benefici di una impresa senza tener conto dei costi ambientali e sociali che ne derivano. I costi però ci sono, e ci si attende che sia il pubblico a pagarli. Se internalizziamo questi costi nei bilanci delle aziende, ci accorgiamo che sono economicamente svantaggiose. E alla fine i conti dello stato collassano. E le aziende falliscono. Prima si pensava che queste cose sarebbero accadute nel medio lungo termine, e ci si è accontentati dei vantaggi a breve termine. Il medio-lungo termine è arrivato, è ora. E abbiamo un conto da pagare che non ci possiamo permettere, perché siamo stati folli nel modo in cui abbiamo gestito le nostre azioni.

La natura ci presenta il conto, e noi facciamo finta di non vederlo. La dimostrazione della follia sta nella produzione del cibo. Gli agricoltori sono costretti, in molti casi, a utilizzare gli schiavi perché non riescono a guadagnare a sufficienza nel produrre quel che mangiamo. I prodotti vengono pagati pochissimo. Ma poi costano tantissimo. Senza cibo si muore. E’ la cosa più importante, quella che dovrebbe avere il valore massimo. Ma chi lo produce non guadagna quasi nulla. In più, per produrre cibo spremiamo la natura in modo folle e creiamo le premesse perché non ce ne possa più fornire. Riempiamo l’ambiente di veleni e pompiamo artificialmente le specie che adoperiamo, in modo che producano sempre di più, fino a quando collassano.

Questi sono problemi che non vengono riconosciuti, e chi li propone vine etichettato come nemico del progresso. Prima di trovare le soluzioni, che non sono facili, dobbiamo capire che abbiamo dei problemi. Parleremo di soluzioni quando ci accorgeremo che i problemi sono considerati tali, e non sono nascosti sotto il tappeto, sperando che si risolvano da soli.

Far morire il Ministero dell’ambiente non risolve il problema, lo nasconde. E lo fa diventare sempre più grave. Pagheremo enormi costi economici a causa di queste scelte, li stiamo già pagando ma saranno ancora più salati per i nostri figli e i nostri nipoti.

Benedetto XVI continua a dire queste cose e, prima di lui, le ha dette Giovanni Paolo II, quando ha gridato: La Natura si ribellerà! Ma noi restiamo sordi, sia alle autorità religiose sia alla comunità scientifica che, una volta tanto, dicono le stesse cose.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 17 ottobre 2011]

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Le farfalle nere ci salveranno dal disastro

Non esiste il Premio Nobel per l’Ecologia, le scienze considerate “Nobeli” (le più nobili) sono la fisica, la chimica, la fisiologia e medicina (a volte spacciate per biologia, ma sempre solo a livello molecolare, con la sola eccezione del premio a tre etologi, tanto tempo fa). Il resto non conta. Ovviamente non sono d’accordo e penso che un premio Nobel per l’ecologia ci vorrebbe eccome, visti i guai in cui ci stiamo cacciando. Darebbe maggiore dignità ad una disciplina la cui importanza è oramai riconosciuta dai Papi, ma non dal mondo scientifico. Facciamo finta che il comitato per il Nobel veda la luce e che istituisca il Nobel per l’Ecologia. Chi potrebbe avere le carte in regola per vincerlo? Conosco bene gli ecologi più importanti del mondo, se non altro per leggere quel che scrivono. Alcuni li ho anche incontrati personalmente. Potrei fare qualche nome. Ma l’altra sera ho visto Dario Fo a Che Tempo Che Fa e ho deciso: il Nobel per l’ecologia lo merita lui. Non per le scoperte che ha fatto, perché non ne ha fatte. Ma per come ha messo assieme cose già note e, dall’averle messe assieme, ha tratto qualcosa che è più della semplice somma delle parti. Che poi è proprio il compito dell’ecologia. Fisica, chimica, fisiologia studiano componenti della realtà, pezzi. Scompongono la realtà in sottorealtà e le analizzano a fondo, con risultati magnifici. Ma poi i pezzi vanno rimessi assieme, perché la semplificazione della complessità è un ossimoro. La complessità semplice non è più complessità. Un concerto non si capisce ascoltando le note una alla volta, strumento per strumento. Un’opera letteraria non si comprende semplicemente cercando sul dizionario il significato di ogni parola. Quando le parole o le note sono messe assieme, acquisiscono proprietà differenti rispetto a quando sono separate le une dalle altre. Ecco, mettere assieme le cose e vederne il significato complessivo è compito dell’ecologia.

Dario Fo lo ha fatto in modo mirabile, in dieci minuti. Ha spiegato cosa sia l’evoluzione, e come le avversità generino novità. Lo ha fatto parlando di farfalle bianche che vivono sui tronchi biancastri delle betulle. Arriva l’inquinamento, i tronchi diventano neri e le farfalle bianche sono preda degli uccelli. Ma le poche farfalle nere, prima una inutile deviazione dalla bianca normalità delle farfalle, si trovano improvvisamente avvantaggiate. Gli uccelli non le vedono sui tronchi neri, ed ecco che la specie cambia. E da bianca diventa nera. Quello che era uno svantaggio diventa un vantaggio, nell’avversità. E poi Fo ci spiega che noi ora siamo come quelle farfalle. Stiamo facendo diventare “nero” il nostro mondo, lo sporchiamo, lo spremiamo, lo distruggiamo. E ha previsto che un giorno tutte le cose che facciamo non ci saranno più concesse. Un giorno la luce non si accenderà più, non ci saranno aerei nel cielo, il cibo non arriverà alle città, e ci saranno grandi catastrofi naturali. I soldi non avranno più alcun valore, e la gente scapperà dalle città. Sta già cominciando a succedere, a New Orleans, a L’Aquila, a Bangkok.

Chi sono le farfalle nere, quelle che si salveranno? Sono il miliardo di persone che non hanno mai avuto l’elettricità, che non hanno mai volato, che non vivono in città, che vivono di agricoltura di sussistenza e che non hanno mai avuto soldi. Loro ci sono nati in questa situazione, e sanno come fare. Noi no. Il futuro è il loro. Li chiamiamo selvaggi, o primitivi.

Aggiungo io: è già successo in passato. Civiltà fulgide che ci hanno lasciato testimonianze di enorme grandezza, dagli Egizi agli Incas e agli Aztechi, sono crollate in poco tempo sotto il peso del proprio successo. E quei popoli sono diventati “primitivi”, rispetto a quello che erano prima.

Oggi, alla radio, ho sentito un signore che diceva che l’Africa ha margini di miglioramento enormi e che presto diventerà come noi. Non è vero. Il pianeta non si può permettere sette miliardi di persone che vivono come noi. Non ce la fa. I segni sono evidentissimi. Dario Fo, un artista, riesce a comunicarlo come nessuno scienziato potrebbe. E il colpo di genio di mettere insieme le farfalle bianche e nere, e i “progrediti” e i “primitivi” vale da solo il premio. Ne ha già preso uno, di Nobel, ma Dario Fo merita anche questo Nobel immaginario. Il fatto che non ci sia questo Nobel va di pari passo con l’assenza della Natura nella nostra Costituzione. La nostra cultura resta indietro, nelle sue forme istituzionali, è ancora ferma su singole parti del tutto e non vede il tutto. Guarda l’elefante con la lente d’ingrandimento, e non si accorge della sua grandezza. Dario Fo, sabato scorso, ce lo ha spiegato in modo magistrale: senza tecnicismi, senza paroloni, ci ha fatto vedere il futuro che ci aspetta. Se lo capiremo, forse saremo ancora in tempo per cambiare questo destino, ma i tempi sono sempre più stretti e noi, purtroppo, siamo irrimediabilmente stupidi.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 26 ottobre 2011]

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Cinque Terre addio, la natura sa vendicarsi

Ho parlato recentemente dell’erosione lungo le nostre coste. Ora assisto alla devastazione di una delle coste più belle del mondo: le Cinque Terre, nella mia Liguria. In effetti lì le case sono state costruite sulla roccia, e sono lì da secoli. Qualche moderna devastazione è stata fatta, è stata costruita una strada, per esempio. Prima alle Cinque Terre si andava solo in treno, o a piedi, o in barca. Ora ci sono anche i parcheggi. L’impermeabilizzazione del terreno, con asfalto e cemento, è iniziata anche lì. Ma il vero problema è stato il mezzo metro di pioggia caduto in poche ore. I monti sono ripidi, alle Cinque Terre, e l’acqua dilava molto rapidamente, e prende velocità, portando al mare un fiume di terra e pietre. Sono questi eventi estremi che formano le spiagge. Ogni tanto succede. La spiaggia non si forma piano piano, e non se ne va piano piano. Bastano poche ore e una spiaggia scompare, oppure appare, come è il caso delle Cinque Terre ora. Eventi estremi. E ogni volta che accade ci sorprendiamo, restiamo attoniti. Poi dimentichiamo rapidamente e continuiamo a metterci in condizione di doverli subire ancora.

Chi costruisce deve conoscere bene la geologia e deve anche conoscere bene la storia del territorio in cui costruisce. E deve costruire tenendo conto degli eventi estremi. Possono essere terremoti, inondazioni, frane, sprofondamenti del terreno… bisogna pensarle tutte perché, prima o poi, queste cose arrivano. Non è la fatalità, non c’entra nulla la fatalità. Non è il fato, è la natura. Se la conoscessimo bene, se la rispettassimo, queste cose non succederebbero. Anzi, no, succederebbero però non ci danneggerebbero molto. A Catania, per esempio, lo hanno capito e le eruzioni dell’Etna non fanno mai grandissimi danni perché nessuno si sogna di costruire nella valle del Bove, dove di solito confluiscono le colate laviche. Ma l’Etna erutta lava e lapilli abbastanza spesso, e quindi non si può ignorare, o dimenticare.

Abbiamo visto che il ponte sullo stretto di Messina non si farà, abbiamo finito i soldi. Meno male (peccato per le fortune spese in progettazioni completamente inutili). Meno male perché i geologi avvertono che non si può fare. Calabria e Sicilia stanno su due blocchi continentali che si allontanano reciprocamente. La Calabria va da una parte e la Sicilia va dall’altra. E’ per questo che c’è stato un terremoto con conseguente maremoto, poco più di un secolo fa. Congiungere due blocchi continentali che si allontanano è una follia. Punto e basta. L’ho sentito dire da Pier Luigi Nervi (il più grande costruttore di ponti che l’Italia abbia mai avuto) tantissimo tempo fa. I geologi continuano a dirlo. Eppure ci sono degli irresponsabili che, per sete di denaro, continuano a proporre opere destinate al disastro.

I disastri continuano a succedere e noi, che studiamo la natura, continuiamo a dire che bisogna rispettare la natura e bisogna conoscerla. Invece la prima cosa che facciamo, quando siamo in ristrettezze, è tagliare i fondi destinati allo studio e alla protezione della natura. Per poi spenderne molti, moltissimi di più quando gli immancabili disastri arrivano.

E abbiamo visto, anzi sentito con le intercettazioni, degli imprenditori delinquenti ridere pensando ai soldi che avrebbero guadagnato per il terremoto de L’Aquila.

Che tutto questo sia fatto ad arte? Che davvero si costruisca male e dove non si deve, così poi si guadagnano ancora più soldi per riparare i danni causati dalla nostra apparente incapacità di costruire? Chi costruisce sarà davvero un incapace ignorante e irresponsabile, oppure sa benissimo quello che fa e lo fa di proposito, in modo da continuare ad arricchirsi? In entrambi i casi c’è qualcosa che non va. L’altro giorno sono andato a passeggiare su Viale Japigia, ma non ho potuto. Ogni palazzo ha un fronte autonomo, scollegato con i palazzi vicini. Alcuni hanno ampi spazi per camminare, ma poi si interrompono e c’è un parcheggio privato, e il marciapiede quasi scompare, e il poco che c’è è pieno di cartelli, ognuno con un palo magari proprio dove si dovrebbe passare. Altri palazzi arrivano direttamente sulla strada. Non si percepisce una coerenza urbanistica. Ognuno fa quel che vuole. Siamo fatti così. Gli altri ci guardano e non riescono a capire come possiamo vivere in questo modo, soprattutto guardando al nostro passato. A volte, pensando a noi, si guardano e non riescono a trattenere il riso.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 30 ottobre 2011]

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Genova per me

Sto guardando su internet la mia Genova che se ne va, portata via da tanti piccoli fiumi impazziti. Come nel 1970, quando ci fu l’alluvione. Dopo quella di Firenze, dopo il Vaiont, e il Polesine. Qualche giorno fa le Cinque Terre, e tre anni fa Scaletta Zanclea, in Sicilia. E Sarno. La lista si allunga, la memoria non ce la fa a tenere il conto. Le fiumare calabre, con i campeggi spazzati via da improvvise piene. Morti, feriti, distruzione.

E’ un bollettino di guerra e il nostro nemico ce lo siamo scelto proprio bene: la natura. Mi viene in mente papa Wojtyla, con il suo: La Natura si ribellerà! Eccola la ribellione della natura. Non è più un futuro nero che  viene predetto da ambientalisti menagramo. Il futuro, previsto da decenni da chi si occupa di ambiente, è arrivato. La Natura presenta il conto e non abbiamo abbastanza soldi per pagarlo. Lo paghiamo con la vita, con la perdita dei beni, delle cose che ci sono care. I soldi non servono a comprare la clemenza della natura. Non sa che farsene, dei soldi. Vuole di più.

Queste cose le ho già scritte tante volte, sul Quotidiano, e non solo. Le ho scritte, le ho dette, e con me le hanno scritte e dette in tanti. Molto prima di me.

Chi può negare, ora? Chi può dire che sono tempeste passeggere e che poi tutto si aggiusterà? L’emergenza più grave è la devastazione della Natura, e l’impatto della sua risposta è anche sull’economia. Abbiamo sempre messo l’economia prima dell’ecologia. Abbiamo sempre pensato che l’ecologia fosse un lusso romantico. Le cose serie riguardano l’economia, la produzione. Dimenticavo il Veneto, dove queste cose sono successe l’anno scorso,  e due anni fa. Hanno costruito fabbrichette dappertutto, impermeabilizzando il terreno. Piove, e l’acqua non viene assorbita dal terreno, dalle paludi (le abbiamo bonificate), e allaga e distrugge.

Abbiamo messo a rischio la sicurezza nazionale. In modo irresponsabile e spesso criminale. I rischi si corrono e si spera sempre che gli scenari peggiori non si verifichino. Ci piace il brivido: guidare a fari spenti nella notte. Confesso che, quando ero un po’ più giovane (e scemo) mi piaceva spegnere le luci e vedere come è guidare nel buio. Ma durava poco la mia (stupida) temerarietà, e prima di spegnere mi assicuravo che davanti la strada fosse a me conosciuta. Sono decenni che guidiamo a fari spenti nella notte, e ecco che non è così difficile morire. Chi fa queste cose pensa sempre che tanto saranno sempre altri a pagare. Non può capitare a me. Ma oramai chi può sentirsi al sicuro? Ho telefonato a mia cugina, pochi minuti fa, a Genova. Era per la strada, sentivo le sirene. Camminava nell’acqua e cercava di raggiungere la sua casa, aveva il fiatone. Ma Via Ferreggiano è distrutta, mi ha detto. Speriamo che ci arrivi, perché per arrivare a casa dovrebbe passare proprio da lì. Aspetto che mi chiami, per sapere se la sua casa è ancora in piedi.

Cos’altro deve accadere per capire che la strada che abbiamo intrapreso è profondamente sbagliata? Crolla l’economia, crolla l’ambiente. Ma noi continuiamo a proporre di costruire strade, porti, industrie, alberghi, case, ponti, ferrovie. Occupiamo il territorio, e pensiamo di risolvere i problemi con il cemento.

Anche ora ci sarà qualcuno che, come a L’Aquila, si frega le mani pensando agli affari che si potranno fare con la ricostruzione. Ricostruiremo con gli stessi criteri? Fino ad ora abbiamo fatto così. Chi ha devastato il territorio nazionale ha poi tratto vantaggi per riparare le devastazioni che aveva provocato. Affari.

Certo, il boom economico del dopoguerra è venuto proprio con la ricostruzione, dopo un conflitto che ci aveva visto dalla parte sbagliata, un conflitto che ha devastato il paese. Si risorge. Ma si risorge solo rinnegando gli errori del passato, imboccando strade virtuose. Cambiando filosofia, cambiando le priorità e i valori. Nei nostri valori fondanti la Natura non c’è, non l’abbiamo messa nella Costituzione. C’è il Paesaggio, nell’articolo 9. Ma il paesaggio italiano è proprio la modificazione della natura. Ricostruita per soddisfare i nostri bisogni, incuranti delle sue leggi.

La grande opera che ci aspetta, che ridarà magari fiato all’economia, è la messa in sicurezza del territorio nazionale. Ma prima bisogna modificare la nostra cultura. Non smetterò mai di ripeterlo. Gli ecologi dicono queste cose da sempre. Avvertono, prefigurano le sciagure, spiegano i motivi della loro apprensione. Ma nessuno li ascolta. Anzi, qualcuno dice: ma non potevate avvertirci prima? Mi prudono le mani quando sento questa domanda. Sono decenni che avvertiamo, e nessuno ci ascolta. E ora ci dicono che avremmo anche potuto avvertire!

Non ho il coraggio di chiamare Paola, e poi i cellulari non prendono più. Le linee sono intasate. Pare che questo sia solo l’inizio, domani e dopodomani si prevedono piogge ancora più forti. A Genova.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 5 novembre 2011]

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Petrolio: i cento schiaffi al nostro territorio

Leggo sul “Quotidiano” che nel nostro mare sono in corso rilevazioni per identificare zone da cui estrarre petrolio dal fondo del mare. Qualche tempo fa sono stato in Norvegia e recentemente ho visitato la Scozia. Nei mari di entrambi questi stati c’è molto petrolio e sono molto fiorenti la attività estrattive. Si tratta di posti ricchi in termini economici e, almeno per ora, problemi non ce ne sono per quel che riguarda l’ambiente. Certamente in Florida ci sono stati.

Pur essendo uno strenuo difensore dell’integrità ambientale, mi rendo conto che il nostro tenore di vita dipende da queste fonti di energia. Bisogna sviluppare quelle alternative, non ci sono dubbi, ma per il momento dobbiamo ancora convivere con il petrolio.

Quando si intraprendono queste iniziative bisogna analizzare i costi e i benefici. Le popolazioni locali, e il sistema paese in generale, cosa guadagnano da queste possibili estrazioni? Perché se è vero che queste compagnie (mi pare inglesi) hanno avuto dei permessi, allora significa che senza permessi non avrebbero potuto iniziare i loro lavori, giusto? Se questo è giusto, il mio ragionamento può continuare, se invece non c’è bisogno di permessi da parte dello stato italiano allora non abbiamo nulla da dire. Mi pare che i permessi ci siano. Chi li ha dati? Apparentemente i comuni rivieraschi non sono contenti. Non lo sono le provincie, e non lo sono le regioni. E quindi sarà stato lo stato a concederli. Che firme ci sono sotto quei permessi? E se sono firme di tecnici, a quali politici hanno fatto riferimento?

A questo punto bisogna chiamare quei politici e bisogna chiedere a loro quale sia stata l’analisi costi benefici che ha portato a quella decisione. Chi sopporta i costi? A chi vanno i benefici? Quei politici saranno ben di qualche partito, no? E allora bisogna chiedere ai nostri referenti (i deputati, i senatori, i vari consiglieri) come mai il partito ha accettato che cose del genere siano avvenute.

Così funziona la democrazia, e è chiaro che è molto meglio la democrazia del governo dei tecnici, perché il tecnico non risponde agli elettori.

Chi reputa che ci siano minacce per la propria incolumità e per l’integrità dell’ambiente deve poter chiamare i suoi rappresentanti e chieder loro conto del loro operato. Deve negoziare. Accetto i pozzi se mi togli il carbone da Cerano, per esempio. Ma se Cerano rimane, se rimane l’Ilva, se arriva il degassificatore a Brindisi, e le condotte transadriatiche, e ora mi aggiungete anche i pozzi di petrolio, noi che ci guadagniamo?

E devono stare molto attenti, i cittadini. Perché questi impatti non devono essere analizzati uno alla volta. Assieme, i loro effetti possono essere molto maggiori della loro semplice somma. Mi spiego: se prendo cento schiaffi, non posso valutare l’impatto di un solo schiaffo alla volta. Magari non mi fa gran che. Ma cento schiaffi mi possono anche uccidere.

Chi ha dato quei permessi sapeva di tutti gli altri schiaffi inferti al nostro territorio? O li ha emessi pensando solo a un singolo schiaffetto? Le valutazioni di impatto ambientale sono state fatte in questa ottica, tenendo conto di tutte le altre pressioni negative sul nostro territorio? O sono state fatte come se queste attività fossero condotte su un ambiente che non subisce altre offese? So per esperienza che si trova sempre un tecnico disposto a firmare che va tutto bene. Ho visto progetti approvati dove si dice che si può scavare una trincea in una prateria di Posidonia oceanica (la pianta che protegge la nostra costa dall’erosione) senza fare grandi danni. Tanto si può ripiantare. Non ci sono prove che sia vero. Sto parlando di responsabilità. Chi ha detto che il problema dell’erosione costiera a San Cataldo si sarebbe risolto con i moli perpendicolari alla costa è stato chiamato a rendere conto del fatto che il sistema non ha funzionato? Quando le praterie di Posidonia degenereranno per le trincee che saranno scavate, si chiamerà qualcuno a rispondere di quel che ha scritto, della firma che ha messo? Abbiamo un disperato bisogno di buoni politici, e di cittadini molto attenti ai propri interessi.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 25 novembre 2011]

Questa voce è stata pubblicata in Ecologia, Scritti ecologici (2009-2015) di Ferdinando Boero e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.