di Paolo Vincenti
Eroina del trash primi anni Ottanta, oggetto di culto per i nostalgici dell’epoca, in cima alle classifiche del cattivo gusto, vecchia icona gay, Sonia Argento emerge dalle nebbie letargiche di un passato sempre verde, e furoreggia in un panorama artistico sbrindellone e sibaritico quale quello luccicoso e promiscuo degli Eighties. Sdoganata dalla rete ma non dalla tv nei suoi vari programmi vintage, quindi celebrata da un pubblico di nicchia, Sonia Argento è l’interprete di “Supergay” e “Fallo insieme a me”, rispettivamente lato a e lato b di un 45 giri che ha segnato un solco, quello nella libreria dove gli sfortunati acquirenti dell’epoca lo hanno depositato per sempre dopo il primo ascolto. Comunque, all’insegna della più sfrenata libertà dei costumi (che coinvolgeva tutti, in quegli anni post riflusso, se pensiamo che persino una più morigerata Viola Valentino cantava “Comprami”, manifesto del sesso a pagamento in musica) e di una pansessualità (il famoso saggio di Mario Mieli è del ’77) intesa come ritorno alle tendenze più elementari, ad uno stato di grazia primigenia e pre-educastrazione, questi capolavori pop della spazzatura musicale, fra le vette del fetish revival, sono inarrivabili anche perché involontariamente comici. Pezzi come quelli di Alberto Camerini e di Alan Sorrenti, di Umberto Balsamo o del primo Scialpi sono esemplari della subcultura del tempo, emo-omo sexual e promiscuity, plastica e pasticche. La Argento è una meteora delle tante che hanno brillato per pochi secondi nell’etere dei nostri happy days per poi spegnersi inevitabilmente.