Globalizzazione politica e sovranità nazionali

Trascorso un secolo e mezzo dalla proposta kantiana e avendo assistito ai nuovi tragici eventi, Jacques Maritain (1882-1973) riprese i sentieri di pensiero tracciati dal filosofo tedesco e li consolidò con la propria speculazione politica, arricchita dagli insegnamenti della storia a lui contemporanea. Il filosofo francese tenne nel 1949 un ciclo di lezioni a Chicago presso la “Fondazione Charles R. Walgreen”, che furono pubblicate due anni dopo col titolo “L’uomo e lo Stato” (Chicago, University of Chicago Press, 1951; qui si citerà dall’edizione Marietti, Milano 2003). Negli stessi anni, invero, da più parti si ricercavano e si proponevano possibili soluzioni per il superamento della difficile situazione e tentare la realizzazione d’un globalismo, che fosse non solo garanzia di scambio e d’equilibrio economico, ma anche e contemporaneamente di crescita civile e maturazione morale, cioè, degno d’essere vissuto dagli uomini. Si ricordano, tra gli altri, i contributi di Hans Kelsen (1881-1973) e Jürgen Habermas (1929), propugnatori entrambi di un globalismo, fondato e affidato a un ordine giuridico universale, accettato da tutte le nazioni; tale proposta rimarrebbe, tuttavia, carente del necessario e adeguato potere anche coercitivo e, quindi, in sostanza resterebbe legata alla volubilità della volontà delle singole nazioni. Vanno ricordati, inoltre, i contributi dottrinali, le esortazioni pastorali e i coraggiosi e concreti passi in avanti di papa Giovanni XXIII con la rivoluzionaria enciclica ”Pacem in terris” del 1963 e del suo successore Paolo VI con la “Populorum Progressio” del 1967.

Nel panorama culturale di questo periodo s’inserisce il contributo di Jacques Maritain, che alla fine della seconda guerra mondiale fu scelto personalmente da Charles De Gaulle per dirigere l’ambasciata francese presso la Santa Sede e si trovò proiettato in un’esperienza difficile nuova. Veramente tra papa Paolo VI e Maritain correva un’amicizia personale sin dal 1928, quando il giovane Gianbattista Montini – assistente presso la Pontificia Università Gregoriana, esponendosi a un grave rischio personale – tradusse e curò la pubblicazione dell’opera maritainiana “I tre riformatori”; d’allora i due stettero costantemente in contatto anche durante l’intero svolgimento del Concilio Ecumenico Vaticano II; di questa reciproca stima s’era capito quando Paolo VI consegnò al filosofo-amico, l’8 dicembre 1965, uno dei messaggi del concilio con queste parole: “La Chiesa vi è riconoscente per il lavoro di tutta la vostra vita”.

La mente e l’animo di Maritain non restarono mai insensibili ai gravi problemi, che tormentavano l’Europa e il mondo, e in diverse occasioni era intervenuto per denunciarvi cause e proporre adeguati rimedi di natura giuridica, etica e politica. Nel 1936, con “Umanesimo integrale”, metteva in guardia dalla massificazione e dalla spersonalizzazione implicite nelle dottrine marxiste-comuniste; nel 1965, con “Il contadino della Garonna”, avvisava e denunciava la forza subdola e disumanante dell’individualismo borghese proprio delle idee del liberalismo e dei modelli dell’economia liberista. L’invito americano del 1949 gli diede l’opportunità d’esplicitare ordinatamente le sue preoccupazioni e di formulare coerentemente le sue proposte di rimedio. “L’uomo e lo Stato” costituisce, quindi, uno dei più importanti e completi documenti della sua visione della problematica politica.

Lo svolgimento delle lezioni americane si conclude con la delineazione d’un progetto di unificazione politica di tutte le nazioni del mondo, ossia della creazione d’una società politica mondiale, fondata sulla responsabilità solidale dei popoli e delle nazioni, dotata di suoi organismi strutturali e affidata a un’autorità mondiale costituita e rispettata da tutti, tenendo nel giusto conto che il globalismo, come processo graduale anche di “globalizzazione politica”, è un dato di fatto, in quanto il genere umano, essendo unico e uguale per natura, è di per sé globalità. Solo che i dilaganti messaggi e le allettanti prospettive dell’individualismo borghese di quegli anni – oggi vestiti con i paludamenti dell’uomo democratico, attento solo al proprio interesse privato e alla propria visibilità sia pure fugace – oscuravano e oscurano tuttora la realtà vera, e inventano, raccontano e insistono sulle differenze artificiosamente spiegate e giustificate, dando libero campo e facile vittoria ai sentimenti disumani di rabbia e di odio.

La formulazione della proposta maritainiana si differenzia dalla soluzione politica di Kant: infatti, l’universalismo umano non è un’idea regolativa della ragione degli uomini, ma l’ideale storico da perseguire e realizzare concretamente grazie alla graduale maturazione morale degli uomini. Maritain ritiene che le istituzioni e le leggi possono ostacolare e impedire alcuni comportamenti umani, ma sono impotenti a far germinare l’intima convinzione e la totale adesione al bene comune esteso quanto il genere umano. Si tratta certamente d’un processo lungo e lento, ma di sicure conquiste.

Il discorso di Maritain si fonda su due presupposti, esposti nei primi due capitoli dell’opera. In primo luogo, la distinzione tra Stato e Società Politica, per rimarcare la preminenza e l’anteriorità della società sullo stato: lo Stato – puntualizza – non esaurisce la totalità della Società, ma ne è solo parte. In secondo luogo, la critica radicale del concetto di sovranità come progettato nei tempi moderni da Bodin, Hobbes e Rousseau e la definizione d’un nuovo schema di rela­zioni internazionali, in cui non c’è più posto per lo Stato, che non riconosce né accetta alcuna superiorità di potere o di legge. I rapporti tra gli Stati moderni – argomenta il Maritain – si fondano sulla ragion di Stato, che si traduce e coincide con il piccolo interesse particolare di uni Stato ritenuto inviolabile, perché supremo. Questo è il falso presupposto che interpreta lo Stato come “Persona” superiore al corpo politico della società e produce la propensione sventurata al potere supremo caratterizzato da una sicura e chiara amoralità d’azione.

Le nazioni e i governi democratici o che vogliono essere tali debbono liberarsi dal totem della sovranità sia nei rapporti tra i propri cittadini e sia nelle relazioni internazionali. I cittadini di un unico Stato possono tutelarsi e difendersi dall’assoluta arbitrarietà della sovranità dei propri governanti con i limiti previsti dalla costituzione e dalle leggi, ma i governi delle nazioni sono costretti, quando il dialogo umano e l’arbitrato politico falliscono, a ricorrere al “diritto di fare guerra”, che il principio di sovranità concede loro. Oggi appare più urgente e necessario questo percorso di globalizzazione politica, in quanto è divenuta vitale e quasi strutturale l’interdipendenza tra le nazioni; solo che, conservando e difendendo le sovranità nazionali, i rapporti sono più occasione di conflitti che di collaborazione, soprattutto perché si tratta di relazioni imposte da processi tecnici  ed economici e non politici.

Il 10 dicembre 1948 fu approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite la “La dichiarazione universale dei diritti umani”, il cui articolo 1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fraternità vicendevole”. Guardando lo spettacolo che oggi ci fa vedere il mondo, non è facile capire come mai siano passati più di settant’anni, senza che l’umanità abbia lavorato per il suo progresso civile e morale. Forse non resta che continuare a credere nella bontà dell’animo umano e sperare in uomini migliori e tempi meno infausti. Nel frattempo facciamo nostro il consiglio che ci ha dato mezzo secolo fa Italo Calvino ne Le città invisibili: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

[“Presenza taurisanese” XXXVIII – n. 3-4, marzo-aprile 2020, p. 13]

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