di Guglielmo Forges Davanzati
Anni 2010-2011
L’Università e il mito meritocratico
[http://www.popoliecostituzioni.blogspot.com, 22 dicembre 2010]
Sulla cosiddetta riforma dell’Università, è bene sgombrare il campo da un equivoco: il suo reale obiettivo non è introdurre criteri di valutazione che premino il merito, bensì operare un depotenziamento del sistema formativo pubblico che non ha precedenti nella storia recente del Paese[1]. Depotenziamento che è già, in parte, passato attraverso la legge 33/2008, con la quale si è provveduto a sottrarre al sistema universitario pubblico circa un miliardo e mezzo di euro, per il biennio 2010-2011, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di molti Atenei. I fondi recuperabili con la Legge di stabilità non serviranno a ripianare i bilanci degli Atenei italiani, ma, nella migliore delle ipotesi, ad arginare le proteste degli attuali ricercatori in ruolo, che hanno consentito – negli anni passati – la sopravvivenza di corsi di studio, svolgendo attività didattica non retribuita, e ai quali il Ministero offre oggi in cambio la messa ad esaurimento del loro ruolo. Peraltro – e non si tratta di un aspetto marginale – la riduzione dei finanziamenti è ‘lineare’, ovvero non tiene conto delle variabili di contesto (PIL procapite, tassi di disoccupazione) e, dunque, grava maggiormente sulle Università meridionali. La delegittimazione mediatica del sistema universitario pubblico (che regge sulla duplice retorica dei professori ‘baroni’ e ‘fannulloni’) sostiene questo disegno[2].
Sebbene nessuno possa negare che casi, anche frequenti, di nepotismo negli Atenei italiani esistano, occorre sottolineare che l’intervento legislativo non contiene misure che pongano argini a questi problemi[3]. Queste misure sono demandate a regolamenti che il Ministero dovrà emanare successivamente all’approvazione della Legge, e alcune sono di difficilissima attuazione (si pensi alla previsione, di cui all’attuale stesura del DDL Gelmini, di commissioni concorsuali nelle quali uno dei componenti deve essere un docente strutturato in una Università dell’area OCSE). Misure ulteriori che si aggiungono agli oltre 1.500 provvedimenti che hanno riguardato l’Università nell’ultimo decennio. Difficile, poi, immaginare che il merito venga premiato con la precarizzazione del ruolo di ricercatore. Nella stesura attuale del disegno di Legge, si prevede che i ricercatori verranno assunti con contratti a tempo determinato triennali, rinnovabili, ai quali può far seguito la prosecuzione dell’attività di ricerca solo in caso di definitiva stabilizzazione: il che, con il taglio dei finanziamenti, è un’ipotesi piuttosto ardua[4].