di Paolo Vincenti
“Siamo isole nell’oceano della solitudine e arcipelaghi le città,
dove l’amore naufraga…”
(“Cigarettes and coffe” – Scialpi)
“Tu non sei non sei più n grado neanche di dire se
quello che hai in testa l’hai pensato te
qui non sei non sei nessuno, qui non esisti più
se non appari mai mai mai mai in tv”
(“Non appari” – Vasco Rossi)
All’inizio era Cavallo Pazzo. Ve le ricordate le sue incursioni nelle trasmissioni televisive dove cercava di interrompere la diretta gridando inverosimili proclami prima di essere braccato dalla sicurezza e trascinato fuori? Mario Appignani fece del disturbatore tv una vera professione. Soprannominatosi “Cavallo Pazzo”, in onore del famoso capo indiano dei Sioux protagonista della battaglia di Little Big Horn, riusciva sempre ad eludere i servizi di controllo e fiondarsi sul palco di qualsiasi manifestazione, nello sbalordimento generale. Memorabile, la sua incursione al Festival di Sanremo 1992 in cui gridava: “questo festival è truccato!”. Scopro in rete che negli anni Settanta aveva fondato una banda, Gli Indiani Metropolitani, con cui avanzava delle proposte assurde come “Non più Potere Proletario ma Potere Dromedario”, oppure “Rendiamo più chiare le Botteghe Oscure: coloriamole di giallo”, trionfo del nonsense. Figlio della Roma degli anni di piombo, un’infanzia difficile, adottato da un brefotrofio, alcune condanne per piccoli reati, scrisse anche un’autobiografia, “Un ragazzo all’inferno”, con prefazione di Marco Pannella. Nella sua battaglia contro vere o presunte scorrettezze, imperversò per anni nelle varie trasmissioni come Festivalbar, Azzurro e il Tg1. Mario Appignagni si è spento per un cancro nel 1996. Ad affossarlo definitivamente, ci pensò proprio Pippo Baudo dichiarando: “il suo scopo era di parlare alla gente, anche se non aveva nulla da dire”. Amen!