di Rosario Coluccia
Viviamo tempi bui che non dureranno poco (non giorni né settimane, purtroppo). In queste condizioni, può apparire futile parlare di argomenti che non siano legati all’attualità giornaliera del coronavirus, a quello che ogni giorno ascoltiamo, vediamo e leggiamo attraverso i media, alle conseguenze che la pandemia genera nei nostri pensieri e nei nostri comportamenti, alle molte domande senza risposta che affollano la nostra mente. Ma no, forse possiamo non rassegnarci alla fatalità della contingenza. Forse possiamo reagire alle difficoltà attuali non isolandoci nella paura senza freni di chi non vuole vedere o sapere (credendo ingenuamente che questo comportamento possa costituire una sufficiente difesa dal rischio) o agendo nel modo irrazionale di chi nega la virulenza del contagio e va in giro senza necessità, incurante degli altri e accampando le motivazioni più strane. In un articolo precedente ho definito questi ultimi criminali irresponsabili, chi agisce così mette a repentaglio la salute altrui, in tanti mi hanno scritto condividendo. Forse invece possiamo (/dobbiamo?) reagire all’incubo che stiamo attraversando, facendo ricorso agli esempi che vengono dalla nostra storia e dai grandi del passato, cercando spunti di riflessione nelle opere che narrano le angosce che altri prima di noi hanno fronteggiato, vivendo in periodi difficili come quello che ora viviamo noi.