Fichi secchi

di Franco Melissano

L’aveva svegliato il cigolio del traínu di Giovanni Prèstoli, il quale, ancora al buio, s’era messo in movimento per raggiungere i fondi delle Lamie.

Si girò dall’altra parte cercando di riaddormentarsi, ma il caldo era opprimente. Tirò via il lenzuolo e restò con le sole mutandine. Era sudato e si sentiva prudere la mano destra. Dormendo doveva essersi grattato inconsciamente, forse per la puntura di qualche zanzara. Stava per riprender sonno, quand’ecco lo scoppiettio del mosquito di Vincenzo Farina che tornava dal pastificio dopo il turno di notte.

Ormai conosceva quei rumori a memoria. Tra poco sarebbero passati in processione i traíni carichi di chianche e pezzotti di pietra leccese, tirati dai mastodontici cavalli polacchi con il valenzinu legato dietro, pronto alla bisogna.

Aprì pian pianino l’imposta della finestra: il plenilunio inondò la stanza. Ecco perché non riusciva a dormire! Una meravigliosa luna piena spargeva una lama d’argento sui muretti a secco, sul mandorlo di fronte, sui tetti e sulle case. Gli ulivi, scintillanti, sembravano voler sfidare le stelle.

Rimase lì per un po’, quasi incantato. Poi richiuse l’imposta e tornò a letto. Era stanco e voleva dormire. Il giorno prima aveva lavorato con suo padre fino a tarda sera.

Si girò sul fianco sinistro e coprì l’orecchio destro con la mano a cupoletta. Pian piano i ricordi cominciarono ad affiorare. Pareva che gli cadessero addosso come la nebbia di ottobre sui raspi spelacchiati dei vigneti.

Ricordi e sogni, sogni e ricordi. Si rincorrevano, si intrecciavano, si confondevano nel dormiveglia.

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