di Antonio Errico
Mi metto a scrivere e non so che cosa scrivere, stavolta. Vorrei scrivere qualcosa di diverso da quello di cui tutti scrivono e tutti parlano in questi giorni. Però non so che cosa scrivere. Non mi viene nessun argomento di quelli che mi vengono di solito, stavolta. Come se il discorso possa essere uno solo; come se la parola, detta o scritta, possa riferirsi ad un argomento solo. Perché tutto il resto sembra inutile, superfluo, fuor di luogo, banale, insignificante. Siamo presi da una storia che ci coinvolge, ci stravolge, ha cambiato il nostro modo di fare, di lavorare, di esistere.
Si avverte la sensazione che qualsiasi scrittura che non sia cronaca, resoconto di quello che accade, funzione sociale, non abbia nessun senso, nessuna ragione, che possa essere una perdita di tempo oltraggiosa.
Allora penso di scrivere qualche riga su quanto sia vero che la scrittura non riesca a staccarsi dalle cose che accadono, perché ne risente, perché le subisce. Non può fare altro che essere una proiezione di esse. Non può fare altro che tradurle in qualche forma e maniera. Anche cercando di astrarre, di decontestualizzare, di metaforizzare, di riscontrare analogie e differenze, di rintracciare precedenti e stabilire paragoni, cercandoli nelle storie della letteratura o nei fatti della scienza, o nei fatti di ogni giorno, che sono, ad un tempo solo, letteratura e scienza della vita.
Forse, in fondo, non si può fare altro che scrivere del presente e del mondo che gira intorno. Anche quando si scrive di un passato remoto, anche quando si scrive audace fantascienza, si scrive sempre del presente e del mondo che gira intorno e delle creature che abitano quel mondo. Perché il soggetto che scrive appartiene a quel mondo, fa parte di quelle creature, e come loro, insieme con loro, attraversa le storie che accadono.