Vincenti cerca di far deflagrare questo pensiero mainstream attraverso il decentramento e il depotenziamento semiotico dei fatti narrati, che diventano meri pre-testi per poter dire altro, e il frazionamento del testo tramite un cut up diverso da quello utilizzato da Burroughs o dagli autori del programma televisivo “Blob”, e inteso, più che altro, come taglio e divertito accostamento di argomenti, o registri espressivi, apparentemente distanti tra loro, che un sapiente campo lungo restituisce nella stessa pagina con sapienza e ironia, quando non con un vero e proprio distaccato sarcasmo. Ciò avviene là dove l’autore si rende conto che l’illusione di una simile operazione è destinata ad infrangersi sull’impossibilità di andare al di là di un mondo già strutturato mediaticamente che non permette voci fuori dal coro, come la sua.
Una nota a parte meritano le citazioni da canzoni italiane famose e meno famose, che aprono molto spesso i pezzi, anche in questo libro.
In tale presa di coscienza, nell’improvviso blackout del tran tran televisivo, nell’attimo di silenzio che intercorre saltando da un canale all’altro, che riflesso sullo schermo nero finalmente appare in tutto il suo splendore, troviamo Paolo Vincenti, seduto in poltrona con in mano una bottiglia di coca cola, alle sue spalle la libreria piena di classici e accanto il suo mai domo demone della scrittura. Barlumi di autenticità che percorrono e illuminano per intero questa ultima fatica dell’autore.
[Prefazione a Paolo Vincenti, Piazza Italia. Pubblicata per gentile concessione dell’autore del volume]