di Franco Melissano
Era rimasto di nuovo a bocca asciutta Salvatore Minùtolo.
La piazza del paese, fino a qualche minuto prima gremita di giornalieri in cerca di lavoro, si era andata rapidamente svuotando dopo la scelta operata dai fattori degli agrari e dei signorotti del posto.
I giovani scapoli si erano imbucati all’istante nelle bettole del centro: un po’ di pezzetti di cavallo al sugo e qualche bicchiere di vino aspro e allappante avrebbero ritemprato le forze.
Gli altri, che per sfamare la famiglia non si potevano consentire quel lusso, erano già rincasati. Domani si sarebbero alzati all’alba, e qualche ora di sonno in più avrebbe sostituito, almeno in parte, vino e pezzetti.
Solo Salvatore, poggiato al basamento della colonna sormontata dalla Madonna in pietra leccese, era rimasto lì, come incantato, a fissare, con lo sguardo vitreo perso nel vuoto, i putti e i mascheroni apotropaici del palazzo baronale che sembravano guardarlo con aria divertita e beffarda.
Con lui non aveva certo ecceduto in bontà madre natura. Due occhi globosi e glauchi spiccavano sul volto scarno e glabro che pareva interamente occupato dall’enorme naso ricurvo come un uncino di macellaio. Sulle gambe, corte e magre, si innestava un busto smilzo e striminzito, con due spallucce strette e incassate da cui sbucavano le braccia ossute e nervose, ballonzolanti nelle maniche della vecchia giacchetta di panno come gli stecchi di uno spaventapasseri.