Prima che il vecchio la portasse in quella casa, la piccola palma aveva trascorso tre anni in una serra insieme a centinaia di giovani palme disposte ordinatamente sopra assi di legno, in un gran capannone, sul cui tetto numerosi lucernai lasciavano passare luce e calore. Giorni tutti uguali si erano succeduti, mentre rimaneva piantata in un vasetto. Era stata poi trapiantata in un vaso più grande per essere venduta al mercato. Nessuna radice era andata rotta in quella circostanza, ma l’improvvisa perdita del limite entro il quale fin allora era vissuta l’aveva scossa nei gangli più intimi del fragile fusto, e perfino i rami avevano accusato uno stordimento. Ne aveva ricavato la triste sensazione di essere estirpata e morire. Lentamente, aveva disteso le radici nella terra fresca e grassa, dentro il vaso più capace. Nel veloce trasloco dalla serra al furgone che doveva trasportarla al mercato una visione le era apparsa improvvisa: sopra di lei si era spalancato uno spazio infinito pieno di luce che emanava da una grande lampada, e un alito primaverile profumato di essenze sconosciute l’aveva pervasa fin dentro i rami non ancora del tutto schiusi. Poi, nel furgone buio e rumoroso, una nuova sensazione di morte, e la speranza che la visione ritornasse e che cielo sole e vento diventassero per sempre i contorni della sua esistenza. Com’era tiepido il sole di marzo nella piazza del mercato dov’era stata scaricata e dove aveva preso a vibrare! Ecco, dunque, da dove le derivava il calore che fino ad allora l’aveva nutrita! Aveva sempre sospettato che ci fosse un fuori rispetto a un dentro, e che essa per sbaglio fosse nata dentro, mentre avrebbe dovuto nascere fuori. Ora sapeva che cosa poteva essere la vita.
Poi il vecchio l’aveva acquistata e la piccola palma si era ritrovata in un salotto. Lì aveva trascorso quattro anni, crescendo in altezza e in larghezza; anni fatti sempre della stessa aria, della stessa acqua e della stessa luce, attraversati dalla stessa paura dei giochi fanciulleschi, in una terra che si era riempita di innumerevoli radici avviluppantesi su se stesse, fino a soffocare. Col tempo la palma recava segni evidenti della sua reclusione nei rami troppo sottili e nel pallore grigiastro delle fronde, che ne denunciavano un avanzato stato di asfissia.
Un giorno un bambino si punse, emise un grido pauroso, seguito da un pianto dirotto con cui chiamava la madre in aiuto. Così la palma fu trasferita nel cortile del palazzo condominiale: cemento tutt’intorno, un pezzetto di cielo in alto e il sole solo a mezzogiorno; vento, neanche a parlarne: in cambio, effluvi dell’aria condizionata e vapori di scarichi domestici provenienti dalle case circostanti. I cani di tutto il vicinato, accompagnati dai loro padroni, sembravano attratti da quella pianta, che puntualmente riverivano, sollevando una zampa. Neppure il cielo troppo stretto del cortile poteva tenerla in vita. I rami presto si piegarono verso terra, e intristirono. La palma allora fu trasportata nella più vicina discarica, dove rimase abbandonata, priva del suo vaso, semicoperta da resti nauseabondi entro i quali andava confondendo le fronde avvizzite.
Piovve, e un germoglio comparve alla base del fusto riarso. L’uomo della discarica lo raccolse e lo piantò in una piccola fossa scavata poco lontano dai rifiuti, innaffiandolo per la prima e ultima volta. Così la palma ricominciò a vivere.
[1999]