Questa epoca affascinata da certezze e incertezze

Però non saprei dire se l’incertezza sia veramente una cifra caratteristica di questo tempo, né se sia mai esistito un tempo in cui gli uomini non abbiano avuto incertezze.

Per esempio tutto il Novecento è stato un tempo di profondissime incertezze che la letteratura ha testimoniato superbamente. 

Magari si potrebbe anche osare e dire il contrario e cioè che il tempo che stiamo attraversando sia quello che più di ogni altro ha la possibilità di contare su maggiori certezze consapevoli, in quanto maturate in un confronto serrato, e qualche volta anche doloroso, con le incertezze.

Alla maturazione di certezze consapevoli, culturalmente sostanziate, ha contribuito in materia determinante la scienza.

Se la letteratura ha confessato, con sconfinata umiltà, di non possedere “la formula che mondi possa aprirti” perché la sola cosa che è in grado di dire è “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, la scienza, con la stessa sconfinata umiltà, ha dimostrato la capacità di sporgersi su mondi che prima erano assolutamente inimmaginabili.

Eppure per quel che riguarda l’impossibilità della letteratura di proporre una qualche certezza, si potrebbe anche farsi venire un dubbio e sostenere che nella confessione dell’impossibilità si può rintracciare la consapevolezza dell’umano limite, della precarietà, della finitudine. Una certezza, dunque. Forse la certezza essenziale, quella che rivela la verità che coinvolge l’essere di ciascuno e di tutti nel tempo che appartiene a ciascuno e a tutti.

È questa certezza del limite, della precarietà, della finitudine che dà origine a tutte le nostre incertezze, che scatena tutte le nostre paure.

Forse la conoscenza coincide assai raramente con la certezza. Forse la conoscenza è addirittura un impulso all’incertezza, perché genera consapevolezza di quanto sterminati siano i territori dell’ignoto.

Certezza e incertezza del sapere sono le sponde dalle quali va e viene l’epoca che stiamo attraversando. Su ognuna delle due sponde si resta sempre poco tempo. Probabilmente sia l’una sia l’altra esercitano su di noi un fascino che può essere consapevole e inconsapevole. Probabilmente l’una e l’altra ci richiamano alternativamente. Fin quando ci ritroviamo sulla sponda del sapere, della certezza, siamo attratti da quella del non sapere, dell’ignoto, e verso quella navighiamo. Quando ci ritroviamo lì e riusciamo a stringere tra le mani un ciottolo, proviamo l’ansia di ritornare sulla sponda da cui siamo partiti, con un’altra piccola certezza conquistata, che ci può rasserenare o impensierire, a seconda delle circostanze e delle occasioni. Poi la storia si ripete: si va e si viene.

“Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l’oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato”.

Le Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli finiscono con queste parole. Con questa consapevolezza lucida per il poco che sappiamo; con l’attrazione per tutto quello che non sappiamo e che non potremo sapere mai del tutto.

Come ogni altro, anche questo tempo fa esperienza dell’incessante andirivieni. La nostra esistenza, quella della civiltà, si muovono tra sapere e non sapere, certezza e incertezza, tra una sponda e l’altra, confrontandosi allo stesso tempo con la bellezza di quello che si conosce e con l’immaginazione della bellezza di quello che non si conosce. Ciascuno stabilisce relazioni con queste due forme di bellezza. Qualcuno lo fa con le forme di un’arte, qualcun altro lo fa con quelle della scienza, qualcuno lo fa con lo sguardo o con un silenzioso pensiero, sentendosi soddisfatto dall’ammirare la bellezza di una certezza o dall’accettare la bellezza di un’incertezza o della profondità di un mistero.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 1 marzo 2020]

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