La «Buona Scuola» deve avere la «sua missione»

Certo in questi termini si rappresenta la scuola ideale e si delineano le figure di dirigenti, docenti e operatori scolastici ipotetici, preparati professionalmente, corretti eticamente, integri moralmente, per cui sembrerebbe un discorso bello, ma vuoto d’ogni concretezza e utilità pratica. Eppure in ogni campo prefigurare l’ideale costituisce il primo passo concreto da cui partire, decisi a percorrere poi per intero il cammino necessario. Si tratta, allora, di prevedere pericoli e distorsioni. In primo luogo s’impone urgente l’adeguato investimento strutturale ed economico per la formazione professionale integrale anche in itinere sia dei dirigenti che dei docenti. E a questo riguardo bisognerebbe porre mano a non poche dinamiche delle università italiane. In secondo luogo è fondamentale individuare e fissare – ovviamente con metodi ispirati a democrazia e acquisiti nel massimo rispetto reciproco – norme precise di reclutamento, criteri oggettivi di selezione e di valutazione, per evitare i pericoli non infondati di discrezionalità, clientelismi e favoritismi. Ma una periodica palese valutazione dell’attività e dei risultati della vita della scuola è assolutamente necessaria e doverosa nei confronti delle famiglie che affidano i loro figli, e della società che impegna risorse di varia natura.

Ora, osservando l’attuale realtà della scuola italiana è innegabile che negli ultimi decenni s’è assistito a un suo graduale e spesso radicale discredito. L’insegnamento è stato recepito sempre più come un generalizzato ripiego occupazionale soprattutto femminile, gli insegnanti sono stati descritti in molte sedi anche pubbliche come inadeguati, inoperosi, recalcitranti a ogni forma di rinnovamento e aggiornamento. Opinioni avvalorate, forse tacitamente ma sempre efficacemente, dal trattamento economico davvero ai limiti d’ogni decoro. Opinioni, però – altrettanto onestamente – non sempre ingiustificate e non del tutto infondate, se si riscontrano i comportamenti di alcuni dirigenti e docenti, riguardo le abilità manageriali, la  serietà della preparazione delle lezioni, l’assidua puntualità della presenza e l’esemplarità nell’assolvimento d’ogni compito connesso alla funzione educativa. Ma perché gridare allo scandalo! E’ ovvio che anche nella scuola, come in ogni altro settore, ci possono essere persone censurabili, ma che non motivano né giustificano generalizzazioni fuorvianti e offensive. Nella scuola, infatti, a fronte di alcuni casi negativi se ne registrano innumerevoli veramente nobili e degni d’ogni rispetto: è noto, del resto, che da sempre la scuola si è retta sulla dedizione professionale e sulla abnegazione umana soprattutto degli insegnanti, che hanno saputo scindere la consapevolezza dell’importanza del loro ruolo dalla considerazione da parte della società e della politica.

Non si può sottacere una preoccupazione di più ampio respiro. Nel decidere i mutamenti nella scuola, è stato dato peso eccessivo (se non esclusivo) alle problematiche di natura economica, occupazionale e lavorativa soprattutto dei giovani, trascurando gli aspetti del loro sviluppo umano completo e integrale. E’ vero che oggi la dimensione della cultura prevalente (se non unica) è quella dell’economica, cui tutto il resto dev’essere commisurato e subordinato. Ma la scuola, se deve necessariamente restare aderente alla realtà storica, non può nello stesso tempo non salvaguardare con coerenza la sua missione essenziale: deve agire per preparare operatori e clienti del mercato globalizzato, ma nello stesso tempo per formare futuri cittadini di società sempre più a dimensione della dignità umana.

[«Affari Italiani», 20 maggio 2015]

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