di Pietro Antonio Giannini
In un precedente articolo apparso su Il Titano n. 12 del 22 giugno 2018 [leggilo in questo sito] abbiamo messo a confronto gli affreschi del ciclo dell’Apocalisse di s. Caterina, realizzati intorno al 1420, con le cosiddette Tavolette di Stoccarda, due dipinti su tavola, eseguiti intorno al 1330, che conservano quasi integralmente i bozzetti dei nostri affreschi. Dal momento che le Tavolette vengono collocate in ambiente napoletano, ed in particolare, per il tema trattato, all’interno del convento di s. Chiara, esse sono state attribuite a Giotto da M. Boskovitz (2000), considerandole studi preparatori per un ciclo di affreschi e tenendo presente che la scuola di Giotto che operava a Napoli in questo periodo è decisamente quella più attiva e più innovativa. Il soggetto di questi dipinti, l’Apocalisse di s. Giovanni descritta in ogni particolare, si presenta intrisa di simboli e concetti che indicano una approfondita conoscenza delle radici dello Spiritualismo francescano, l’ala più radicale dell’Ordine dei Minori, aperta anche ad influenze di movimenti condannati dalla Chiesa, come quello dei fraticelli e altri gruppi simili di frati mendicanti che, in seguito al dichiarato sostegno dato dal papa a posizioni moderate in tema di povertà, preferirono o lasciare l’Ordine di appartenenza ed entrare nel Terz’Ordine o addirittura abbandonare del tutto la Chiesa e fondare una loro Chiesa alternativa talvolta con un suo pontefice ed un suo apparato ecclesiastico. Abbiamo sostenuto, perciò, che il ciclo dell’Apocalisse di s. Caterina, anch’esso quindi un’antologia dello Spiritualismo, risale alla stessa fonte: in S Chiara, infatti, Giotto eseguì dei cicli di affreschi intorno al 1330 riguardanti, come in s. Caterina, Storie dell’Antico, del Nuovo Testamento e dell’Apocalisse, andati perduti già nella seconda metà del Cinquecento.
Possiamo dedurre perciò che il centro di diffusione di queste figurazioni, ma soprattutto di queste idee, sia s. Chiara, nota sede di comunità di francescani Spirituali, disposti ad ospitare frati che professavano concezioni controverse. Cercheremo ora di evidenziare qualcuna di queste idee, che erano all’epoca tanto diffuse quanto dirompenti e contestate dall’ufficialità della Chiesa ma che erano sostenute dagli esponenti più alti della cultura del periodo in campo religioso, da Pietro di Giovanni Olivi a Angelo Clareno e Ubertino da Casale, e che accoglievano sia la posizione ufficiale rappresentata da s. Bonaventura sia sostenitori di concezioni apertamente eretiche, derivate da Gioacchino da Fiore, da Gerardo di Borgo s. Donnino fino a Michele da Cesena. Nessuna sorpresa se esse erano accettate in un ambiente così “centrale” quale era Napoli: la corte e le persone dei monarchi, re Roberto e soprattutto la moglie Sancia, favorivano e condividevano infatti le stesse opinioni. Accenniamo di passaggio ad alcune di queste idee cardine più connesse con gli affreschi di s. Caterina: